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Infortuni in itinere: casi particolari

Infortuni in itinere: casi particolari
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio stradale, itinere

25/07/2017

Una riflessione sulla valutazione dei rischi legati alle circostanze di tempo, di luogo e dell’orario di lavoro dei lavoratori.


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Lo scorso 21 giugno una dottoressa dell’Ospedale di Teramo, al termine del turno di lavoro è stata uccisa da uno stalker. Rispetto all’inquadramento del caso tra quelli risarcibili dall’INAIL va chiarito se possa rientrare tra gli infortuni sul lavoro “in itinere”, essendosi verificato nell’esercizio delle proprie mansioni.

Sul punto - sia prima dell’entrata in vigore del Dlgs. 38/2000, che in vigenza del T.U. 1124/1965 - erano presenti due indirizzi giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione di segno diametralmente opposto.

 

Una prima tesi estendeva il concetto di infortunio assicurato affermando il principio secondo cui, in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l’entrata in vigore del Dlgs. 38/2000, era indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore in itinere se derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur se in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo.

 

L’altra tesi riteneva che la causa violenta doveva essere connessa all’attività lavorativa, nel senso che doveva attenere all’attività o, quantomeno, occasionata dal suo esercizio.

 

In tale secondo indirizzo si inseriscono anche quelle pronunce secondo le quali l’art. 12 del Dlgs. 38/2000 - che ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio in itinere, disciplinandolo nell’ambito della nozione di “occasione di lavoro” di cui all’art. 2 del DPR n. 1124-1965 – esprime criteri normativi (come quelli di “interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate”) che delimitano l’operatività della garanzia assicurativa, condizionando l’indennizzabilità dell’infortunio alla sussistenza di un vincolo “obiettivamente ed intrinsecamente apprezzabile con la prestazione dell’attività lavorativa” e all’accertamento di “una relazione tra l’attività lavorativa ed il rischio al quale il lavoratore è esposto, indispensabile a concretizzare quel “rischio specifico improprio” o “generico aggravato” che rientra nella ratio del suddetto art. 2.

 

La Suprema Corte, Sezioni Unite, con la sentenza n. 17685 del 7/9/2015, ha scelto la tesi più restrittiva affermando il principio secondo cui per l’infortunio in itinere deve sussistere la necessità non solo della “causa violenta” ma anche dell’«occasione di lavoro», per cui, in caso di fatto doloso del terzo, deve escludersi dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare l’«occasione di lavoro» in quanto il collegamento tra l’evento ed il “normale percorso di andata e  ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro”  risulti basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica. Appunto nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l’aggressore e la vittima, del tutto estranei all’attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuale, alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro.

Nel caso trattato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, la lavoratrice era stata aggredita ed accoltellata dal proprio convivente mentre si recava al lavoro.

 

Quindi, nell’ipotesi specifica, a prima vista, un’eventuale istanza di riconoscimento del fatto quale infortunio sul lavoro “in itinere” sembra precluso.

 

Tuttavia, negli isolati orientamenti giurisprudenziali esistenti in materia, va evidenziata la sentenza del 3 dicembre 2013 del Tribunale di Bari che aveva ritenuto che la circostanza delle modalità anche orarie dell’attività lavorativa della vittima abbia costituito, oggettivamente e soggettivamente, la cornice ideale (e probabilmente l’unica possibile per un omicida di quel tipo) per realizzare il proposito criminoso in quanto affrontava repentinamente la vittima di mattino presto, allorquando le strade sono poco popolate di gente e mentre era ancora in sella alla sua bicicletta, situazione che ne rendeva più che difficoltosa la fuga e la difesa.

 

In definitiva, occorre accertare se le circostanze di tempo e di luogo e dell’orario di lavoro della vittima costituiscano una condizione senza la quale l’aggressore non avrebbe avuto possibilità di eseguire il piano criminoso.

 

Dunque, nel caso in esame si dovrebbero approfondire le circostanze di fatto che hanno indotto l’aggressore a commettere il delitto sul luogo di lavoro della vittima.

Per questo seguiremo con attenzione ed interesse gli sviluppi della vicenda.

 

Avv.to Mauro Dalla Chiesa

 

Fonte: ANMIL



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Rispondi Autore: Luca - likes: 0
26/07/2017 (14:58:43)
Più che di sicurezza mi sembra che si parli in questo caso di tecnicismi normativi per il quale il datore di lavoro può solamente essere passivo. Ritengo che dovrebbe essere un "problema" dell'azienda solamente la gestione di quegli episodi che sono correlati all'attività lavorativa (come ad esempio un sovraccarico di lavoro che possa comportare un incidente stradale, uno svincolo di accesso all'azienda pericoloso, ecc); per il resto l'azienda non ha neppure potere di intervenire e quindi non può far altro che subire passiva o cercare di vedere con che mezzo il lavoratore si è mosso (paradossalmente in bici sarebbe un problema) e se ha fatto il tragitto più breve...è solo un problema di individuare chi paga più che fare eventuale prevenzione.

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