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Industrial smart working

L’esperienza nata dalla pandemia Covid19, ci ha dimostrato come siano state le organizzazioni più agili quelle che meglio hanno potuto fronteggiare la crisi, garantendo una continuità operativa anche nelle fasi più buie dei diversi lock down. A fare la differenza, in primis, il grado di digitalizzazione, che ha reso incomparabilmente più facile a chi era già meglio strutturato, il passaggio a modalità di lavoro in remoto e la conseguente possibilità di garantire un’adeguata business continuity. Va poi sottolineato che, mentre nel settore dei servizi è stato possibile “spostare” il lavoro dall’ufficio alla casa, ben altra situazione si è vissuta nell’industria, tanto che la produzione è scesa in molti casi anche del 90%, soprattutto nelle PMI più lontane, spesso per ragioni culturali oltreché di possibilità di investimento, da un approccio digitale alla produzione. In un tessuto economico fatto per la maggior parte di PMI familiari, il passaggio ad un sistema 4.0 è stato certamente più lento, ma è altrettanto chiaro ormai come la pandemia, nella sua portata “rivoluzionaria”, abbia costretto ad accelerare definitivamente la messa in discussione di modelli manageriali e operativi tradizionali già da tempo obsoleti, per fare spazio, anche nell’industria, ad una profonda innovazione culturale oltreché tecnologica.

 

Evidentemente più facile nel contesto delle attività proprie dei cosiddetti white collar, la remotizzazione del lavoro si va diffondendo anche nell’industria, coinvolgendo in modo significativo l’operatività on site anche nei settori tradizionali della manifattura, dell’industria estrattiva, della produzione industriale in generale. Si profila, già da tempo, una rilettura del blu collar tradizionalmente inteso, verso una figura di smart connected worker, ossia di lavoratore la cui esperienza e competenza può essere potenziata grazie all’uso delle tecnologie digitali, per favorire un miglioramento della competitività che passi, prima di tutto, attraverso un miglioramento del work life balance e della salute e sicurezza. Le tecnologie dell’ Industria 4.0 giocano un ruolo decisivo in questa direzione e decreteranno l’avvento dell’industrial smart working.

 

Ma come fare a portare lo smart working e il lavoro in remoto nel settore industriale? Quali le tecnologie? Quale cambio di passo culturale è necessario? Quali si profilano essere i vantaggi?

Secondo quanto sottolineato nel White Paper elaborato nel contesto del World Manufactoring Forum del 2020, per andare incontro anche nel settore industriale e manifatturiero, ad un New Normal post pandemico che sappia correttamente integrare modalità di lavoro agile, occorre innanzitutto considerarne le peculiarità e la conseguente necessità di garantire un buon equilibrio tra produttività e salute e sicurezza sul lavoro. Un ambiente di lavoro orientato alle persone, infatti, dovrà fare leva su una combinazione di elementi fisici e virtuali, in cui gli strumenti digitali serviranno a riorganizzare il lavoro per aumentarne la flessibilità e la sicurezza. Una tale trasformazione nei luoghi di lavoro, in cui oggi le persone sono abituate a lavorare solo sul campo, operando contemporaneamente, insieme agli altri sulle linee di produzione, agendo sulla base di azioni routinizzate, avrà bisogno di essere sostenuta da un’importante azione formativa sui modelli culturali di appartenenza e di comportamento, nonché da un adattamento delle relazioni industriali che pongano al centro il rapporto tra nuovi luoghi e tempi di lavoro e sicurezza.


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A questo proposito, va sottolineato come la necessità di garantire maggior sicurezza ai lavoratori impegnati in compiti ad alto rischio e di ridurre i costi operativi sia stata, già prima della pandemia, una delle molle più potenti a favore dell’adozione del remote working nell’ambito industriale, spingendo un numero sempre più alto di aziende dell’impiantistica, del settore estrattivo, della siderurgia e, più in generale, dell’industria pesante ad estendere l’applicazione dei modelli di smart working anche agli operai delle officine, ai tecnici sul campo ed ai manutentori. L’industrial smart working, allora, diventa possibile nel momento in cui un’adeguata azione di cambiamento culturale supporta il convergere tra Operation Technology e IT.

 

Grazie all’uso di tecnologie immersive, che vanno dalla VR (realtà virtuale), all’ AR (realtà aumentata), all’uso di Avatar in ambienti 3D, è possibile pensare di remotizzare le fasi più pericolose di alcuni processi industriali, o di consentire la conduzione e la manutenzione a distanza di macchine e linee di produzione, o di mettere in atto attività formative in cui l’utente avrà la possibilità di cimentarsi in situazioni verosimili, restando in totale sicurezza fino al completamento del suo percorso. Certo è che questo rappresenta un indubbio vantaggio in termini di salute e sicurezza tanto che, già nel 2019, L’INAIL ha avviato un’intensa attività di ricerca, riconducibile alla progettazione e realizzazione prototipale di dispositivi di nuova generazione per la prevenzione del rischio individuale, collettivo e ambientale, finalizzata a valutare la fruibilità delle innovazioni per il controllo del pericolo di incidenti ed infortuni sia “tradizionali”, che "emergenti”.

 

Secondo alcuni ricercatori del Politecnico di Milano, per parlare di smart working in fabbrica occorre introdurre il concetto di Smart Factory e delle tecnologie che ruotano intorno al valore dei dati che vengono prodotti nella fabbrica. Grazie all’automazione, che lega i singoli processi a sensori in grado di rilevare dati, all’internet delle cose, che connette tutto quello che è rilevato dai sensori stessi, è possibile creare quel background di informazioni che possono essere rese disponibili anche da remoto, abilitando lo smart working. Per le PMI tutto questo è possibile partendo dalle tecnologie di automazione di base, che sono generalmente disponibili a costi relativamente accessibili ma, ancor prima, occorre aiutare le Direzioni aziendali e il management ad acquisire una forte consapevolezza che il cambiamento è non solo necessario ma possibile. Una volta definiti gli obiettivi strategici, occorre fare un assessment che evidenzi l’as is dell’aspetto organizzativo, dello stile del management, delle tecnologie presenti e gli spazi fisici disponibili, nonchè una sentiment analysis sul percepito dei lavoratori circa la nuova configurazione, per poi confrontarsi i business leader circa le priorità.

 

 

Occorre poi accertarsi che l’IT abbia le competenze e le strutture per supportare il personale da remoto. A questo punto sono da definire gli indicatori KPI da monitorare, che andranno a misurare la produttività la qualità, le competenze, la condivisione dell’informazione, il livello di assenteismo, la soddisfazione del cliente, ecc.

 

Ultima e decisiva tappa, definire un percorso di implementazione dello smart working che preveda l’adeguamento degli spazi, la formazione di manager e collaboratori, l’adozione di nuove tecnologie abilitanti, la rivisitazione dell’organizzazione e dei processi.

 

Massimo Servadio

Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni

 

Riferimenti:  https://worldmanufacturing.org/wp-content/uploads/WMF2021_E-Book_b.pdf




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