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Rischio chimico: cosa sono e come prevenire l’esposizione agli ftalati?

Rischio chimico: cosa sono e come prevenire l’esposizione agli ftalati?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Rischio chimico

24/01/2022

Una scheda informativa dell’Inail riporta indicazioni sugli ftalati negli ambienti di vita e di lavoro con particolare riferimento agli effetti sulla salute endocrina. I rischi per la salute, la normativa di tutela e le misure di prevenzione.

Roma, 24 Gen – Le sostanze pericolose e il rischio chimico non riguardano solo i luoghi di lavoro. E in questi anni gli ftalati, esteri dell'acido ftalico, sono tra le sostanze chimiche più discusse in riferimento ai pericoli per la salute e sicurezza sia dei lavoratori che della popolazione più in generale, come ricordato anche nell’articolo “ Interferenti endocrini: rischi per la salute e principio di precauzione”.

 

Per fornire utili informazioni su queste sostanze, che hanno portato anche a modifiche nei regolamenti europei, è un recente factsheet, dal titolo “Gli ftalati in ambienti di vita e di lavoro. Effetti sulla salute endocrina”.

 

Il documento, prodotto dal Dipartimento Inail di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (DIMEILA), ci permette non solo di conoscere meglio queste sostanze, ma anche di caratterizzare il rischio per la salute identificando i contesti lavorativi che potrebbero essere coinvolti.

 

L’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:


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Rischio chimico: cosa sono gli ftalati?

Il factsheet, a cura di L. Caporossi, M. De Rosa, B. Papaleo, ricorda che gli ftalati rappresentano un gruppo di molecole strutturalmente simili che sono state “ampiamente utilizzate a partire dal 1930”.

Ad esempio:

  • “le sostanze con maggiore peso molecolare, come il di-(2-etilesil) ftalato (DEHP), sono state impiegate a livello industriale come agenti plastificanti, materiali per costruzione, adesivi, sigillanti, in numerosi prodotti a base di polivinilcloruro (PCV), compresi prodotti per il confezionamento degli alimenti e dispositivi medici”;
  • “gli ftalati con peso molecolare inferiore, come il dietilftalato (DEP) o il dibutilftalato (DBP), sono stati invece impiegati principalmente come solventi, nella preparazione di cosmetici e prodotti per la persona o per la casa, nella formulazione di insetticidi, come eccipienti in prodotti farmaceutici”.

 

Ftalati: i problemi per la salute nei luoghi di vita e di lavoro

Il principale problema che è stato riscontrato è che alcuni ftalati “agiscono a livello molecolare come xenoestrogeni e sono in grado di interagire con i recettori degli ormoni femminili, determinando effetti competitivi; possono causare effetti di tipo anti-androgenico con decremento dei livelli di testosterone nell’uomo e incidere sull’omeostasi degli estrogeni”.

 

Si indica che “sono classificati, in larga misura, come tossici per la riproduzione umana; in caso di esposizione umana, sono emerse evidenze di alterazione della qualità del liquido seminale nell’uomo e di riduzione della fertilità nella donna. Inoltre, recenti indagini suggeriscono che alcuni di questi composti svolgono un ruolo nell’etiologia dell’endometriosi; ad alte dosi possono produrre ulteriori effetti avversi in organi target come il fegato e i reni”.

 

Il documento segnala che l’utilizzo molto diffuso di queste sostanze chimiche ha determinato, negli anni, una esposizione rilevabile per la popolazione generale e riporta i riferimenti di diverse indagini.

In ogni caso le concentrazioni rilevate nella popolazione, benché diverse a seconda dei territori, “risultano sempre in certa misura comparabili e correlabili a effetti avversi per la salute riproduttiva”. E le fonti espositive “sono state principalmente identificate nell’assorbimento dermico di prodotti contenenti ftalati, in molti casi dovuto all’igiene della persona o della casa, nella possibile contaminazione alimentare da confezionamento in plastica e in trattamenti parenterali con dispositivi medici contenenti ftalati”.

 

Veniamo all’esposizione nei luoghi di lavoro.

 

Si indica che l’esposizione professionale a ftalati “si realizza, potenzialmente, in tutti i contesti industriali, in cui questi composti chimici vengono prodotti e/o utilizzati per la realizzazione dei manufatti che li contengono, come ad esempio nelle produzioni di guarnizioni o tubi in gomma, prodotti a base di PVC e lacche industriali”.

 

Tuttavia gli ftalati sono stati identificati “anche in ambiti non industriali”.

Ad esempio, la loro presenza negli smalti per unghie “ha comportato la documentazione in numerosi studi di una esposizione specifica per le estetiste che dedicano gran parte del proprio orario lavorativo alla cura delle unghie”.

 

Ftalati: la normativa di tutela e le misure di prevenzione

Si indica che dal 1979 in Europa il legislatore ha iniziato a prendere decisioni per tutelare i consumatori da possibili esposizioni improprie a ftalati (direttiva europea 79/769/CEE) e con l’emanazione del Regolamento REACH (Regolamento n. 1907/2006) è stato possibile “richiedere per le sostanze identificate come interferenti endocrine e/o tossiche per la riproduzione, la necessità di essere inserite in regime di autorizzazione, con il dichiarato intento di prevedere un percorso di sostituzione ed eliminazione”.

 

Si segnala che attualmente le restrizioni relative ad alcuni ftalati “sono aumentate e riguardano, oltre ai giocattoli, anche i materiali destinati al contatto con alimenti e sono stati inseriti in regime di autorizzazione REACH 11 ftalati”.

 

Riprendiamo dal documento la tabella 1:

 

 

Poiché gli ftalati rientrano pienamente nella definizione di ‘ agenti chimici’, “negli ambienti di lavoro la gestione di queste sostanze richiede l’applicazione del Titolo IX, Capo I, del d.lgs. 81/2008” e “sarà essenziale l’applicazione di ogni misura di prevenzione e protezione atta a ridurre/eliminare l’esposizione e garantire al lavoratore una manipolazione dei prodotti in sicurezza”.

 

Inoltre dove possibile, sarà opportuno “valutare i potenziali livelli espositivi presenti (ambientali e biologici), per garantire che non si verifichino situazioni espositive da considerare preoccupanti”. Chiaramente la presenza degli ftalati negli ambienti di vita “determina una possibilità di confondimento del dato, anche se ormai sono disponibili, anche in Italia, valori di riferimento per la popolazione generale”: questi valori “possono essere impiegati per confrontare il livello espositivo rilevato in ambiente di lavoro, rispetto alla popolazione generale”.

 

Si segnala poi che il medico competente “sarà chiamato, in presenza di un ciclo produttivo che preveda la sintesi o l’utilizzo di ftalati, a valutare l’opportunità di inserire gli indicatori di funzionalità endocrina nel proprio protocollo di sorveglianza sanitaria” e a effettuare una “anamnesi estesa specificatamente alla salute riproduttiva, per valutare potenziali situazioni di rischio precoce”.

 

Tale protocollo – conclude il factsheet che riporta anche una utile bibliografia essenziale - “richiederà, opportunamente, una diversificazione delle azioni in base al genere”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Inail, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, “ Gli ftalati in ambienti di vita e di lavoro. Effetti sulla salute endocrina” a cura di L. Caporossi, M. De Rosa, B. Papaleo, Factsheet edizione 2021 (formato PDF, 122 kB).

 

 

 

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