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Un piano di caricamento va protetto contro il rischio di caduta dall’alto

Un piano di caricamento va protetto contro il rischio di caduta dall’alto
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

25/02/2019

Un piano di caricamento di altezza inferiore ai 2 metri va comunque protetto dal rischio di caduta dall’alto quando non viene utilizzato esclusivamente per le operazioni di carico e scarico ma anche come piano di lavoro destinato ad altre operazioni

 

La protezione contro il rischio di caduta dall’alto da un piano di caricamento sopraelevato, che non è stata imposta dal legislatore con il D. Lgs. n. 81/2008 contenente le disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, è l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione chiamata a esprimersi su di un ricorso presentato da un datore di lavoro con riferimento a un infortunio occorso a un suo lavoratore dipendente infortunatosi per essere appunto caduto da un piano di caricamento. La suprema Corte ha trovato l’occasione per precisare cosa sia da intendersi per piano di caricamento e di mettere in evidenza la differenza che sussiste fra piano di caricamento e piano di lavoro ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i..

 

Condannato un datore di lavoro nei primi due gradi di giudizio per il reato di lesioni colpose a danno del lavoratore aggravate alla violazione delle norme antinfortunistiche sulla sicurezza dei posti di lavoro e sul ricorso lo stesso ha presentato un ricorso nel quale ha messo in evidenza l’esonero concesso dal legislatore dalla installazione di dispositivi di protezione collettiva contro la caduta dall’alto per tali tipi di piani. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha precisato che un piano di caricamento di altezza inferiore ai 2 metri può pure non essere protetto dal rischio di caduta dall’alto ma solo se viene utilizzato esclusivamente per le operazioni di carico e scarico e non come nel caso in esame per altri tipi di operazioni e lavorazioni per il quale i giudici di merito hanno ritenuto applicabili altre norme di protezione pure previste dal dallo stesso D. Lgs. n. 81/2008 anche se non contestate all’imputato e non rientranti nel capo di imputazione.

 

La Corte di Cassazione, altresì, in merito alla lamentela avanzata dall’imputato per la violazione non richiamata nell’imputazione, ha sottolineato che in tema di reati colposi non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa. 

 

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Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminata la pena inflitta dal Tribunale a un datore di lavoro e legale rappresentante di una società in due mesi di reclusione confermando nel resto la sentenza con la quale allo stesso era stata riconosciuta la penale responsabilità per il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590 comma 2 in relazione all'art. 63 comma 1 e 64 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 in riferimento all'allegato IV punto 1.7.3.) in danno di un dipendente della società stessa.

 

Avverso tale provvedimento l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, adducendo alcune motivazioni. Con un primo motivo si è lamentato per una erronea applicazione della legge penale in punto di affermazione di responsabilità evidenziando che erroneamente nei due primi gradi di giudizio gli era stata contestata come nesso causale per il reato di cui all'art 590 cod. pen. una violazione degli art. 63 e 64 del D. Lgs. n. 81/2008, in riferimento all'allegato 4 punto 1.73.3. per non avere dotato di parapetto o altre difese equivalenti il luogo di lavoro in cui si trovava ad operare il lavoratore al momento dell'infortunio.

 

L'infortunio, ha precisato l’imputato nel ricorso, era avvenuto su di un piano di caricamento costruito appositamente in posizione sopraelevata al fine di permettere a un camion di scaricare agevolmente delle merci dal pianale con i mezzi meccanici (muletti o transpallets manuali). Il lavoratore in particolare si trovava all’interno di tale piano allorquando inciampando è finito sul bordo dello stesso ed è caduto nel livello inferiore riportando le lesioni di cui al procedimento. Il ricorrente ha contestata la sentenza di condanna in quanto, secondo lo stesso, il piano sopraelevato dal quale è caduto il lavoratore non era un piano di lavoro in quanto esso, per stessa ammissione degli organi di vigilanza intervenuti, era stato funzionalmente costruito per il carico e lo scarico delle merci all'interno del magazzino ed era destinato funzionalmente a quella tipologia di lavoro.

 

Ha ricordato l’imputato nel ricorso che gli articoli 63 e 64 del D. Lgs. n. 81/2008 si riferiscono ai luoghi di lavoro mentre la norma sulla quale si sarebbe dovuto accentrare correttamente l’attenzione è quella di cui all'allegato IV punto 1.7.3. secondo la quale "Le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti su tutti lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti. Tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore a m. 2,00" ragion per cui sarebbe caduta in errore la Corte di Appello laddove ha classificato il luogo da cui è caduto il lavoratore infortunato come posto di lavoro sulla semplice asserzione che in quel luogo lo stesso stava facendo un lavoro diverso dal caricamento. Se così fosse e cioè se il piano di caricamento fosse un piano di lavoro, ha sostenuto il ricorrente, anche gli interni dei rimorchi dei camion potrebbero essere definiti luoghi di lavoro e dovrebbero pertanto essere dotati di parapetti contro le cadute dall'alto i quali invece impedirebbero di utilizzare i mezzi secondo la loro destinazione naturale. Nella istruttoria dibattimentale, ha quindi messo in evidenza il ricorrente, era stato provato che sul piano sopraelevato venivano caricate le merci e che pertanto quello, indipendentemente dalle operazioni sullo stesso effettuate dal lavoratore, era un piano di caricamento per necessità di utilizzo privo di parapetti cosi come stabilito dal punto 1.7.3. dell'allegato IV del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Come secondo motivo di riscorso l’imputato ha evidenziato che la sentenza di appello lo avrebbe condannato per il reato di lesioni colpose ritenendolo responsabile della violazione di altro profilo di colpa specifica mai contestatogli e non riconducibile ai profili di colpa specifica ex art 63 e 64 del D.lgs. n. 81/2008. La Corte territoriale infatti, pur confermando che il piano su cui stazionava il lavoratore era senza dubbio un piano di caricamento, gli ha imputato un profilo di colpa specifico diverso rispetto a quello richiamato nel capo di imputazione, essendo stato tale piano adibito anche ad altre operazioni. Secondo la Corte di appello, infatti, il datore di lavoro non sarebbe incorso nella violazione delle norme contravvenzionali richiamate nel capo di imputazione ma avrebbe violato le regole imposte dall'art 18 del D. Lgs. n. 81/2008. Tale ultima violazione, si legge in ricorso, non è mai stata contestata all'odierno ricorrente, il quale correttamente nei precedenti gradi di giudizio si è difeso ravvisando che quel piano era un piano di caricamento e che come tale non poteva essere dotato di parapetti come esplicitamente previsto dalla norma. Alla luce di quanto sopra detto il ricorrente ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi proposti nel ricorso in quanto il ricorrente si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata. E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza della suprema Corte, ha sostenuto la Sez. IV, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. Comunque logica e congrua ha ritenuta la Cassazione la motivazione della condanna avanzata dalla Corte territoriale e pertanto immune da vizi di legittimità.

 

Con riferimento alla dinamica dell’accaduto offerta dalla parte offesa e non contestata dalla difesa, la Corte di Cassazione ha messo in evidenza che, secondo quanto emerso, il lavoratore, quando sul piano di caricamento è inciampato nel coperchio di una cassa ed è caduto al di sotto, era intento a compiere operazione di imballaggio di merce per cui stava compiendo una operazione lavorativa diversa da quella del semplice carico o scarico ma semmai preliminare alla stessa. Dalla testimonianza resa da un operatore della ASL, inoltre, era emerso che il piano era utilizzato per compiere altre operazioni, in quanto su di esso erano stati trovati dei macchinari, oltre ad essere utilizzato normalmente come passaggio per accedere agli uffici posti al suo margine.

 

Logica è stata considerata quindi dalla Corte di Cassazione la conclusione alla quale era pervenuta quella territoriale allorquando ha constatato che il piano di caricamento in esame fosse anche un luogo di lavoro e come tale non era dotato di protezioni atte a contrastare il pericolo di caduta e ha sostenuto che la difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi appropriati. Né il richiamo fatto dalla Corte di Appello ai più generici doveri in capo al datore di lavoro di cui all'art. 18 del D. Lgs. n. 81/2008 ha portato, come ha lamentato il ricorrente, ad una modifica sostanziale dell'editto accusatorio.

 

Non va trascurato, in proposito, ha così concluso la Corte suprema, che dalla stessa è stato più volte sottolineato come in tema di reati colposi non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, citando a supporto altre sentenze della Cassazione che sono pervenute alle stesse conclusioni quali la sentenza Sez. IV 4 n. 51516 del 21/6/2013 (Miniscalco ed altro, Rv. 257902), la sentenza Sez. IV n. 35943 del 07/03/2014 (Denaro ed altro, Rv. 260161) e la sentenza Sez. IV n. 18390 del 15/2/2018 (Di Landa, Rv. 273265).

 

Essendo quindi il ricorso inammissibile la suprema Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.

 

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 5900 del 07 febbraio 2019 (u.p. 17 gennaio 2019) - Pres. Piccialli – Est. Pezzzella - P.M. Zacco - Ric. N.D - Un piano di caricamento di altezza inferiore ai 2 metri può non essere protetto dal rischio di caduta dall’alto ma solo se viene utilizzato esclusivamente per le operazioni di carico e scarico e non come piano di lavoro destinato ad altre operazioni.



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