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Le esercitazioni aziendali: analizzare e restituire

Le esercitazioni sono uno strumento potente per migliorare la sicurezza in azienda. Al di là degli obblighi di legge sono in grado di evidenziare gli aspetti tecnici, organizzativi e comportamentali implicati nella sicurezza fornendo importanti indicazioni di miglioramento continuo.

 

Le esercitazioni pur essendo, forzatamente, una rappresentazione benigna della realtà (non si può certamente incendiare un macchinario per vedere l'efficacia dell'intervento) hanno la capacità di mettere tutti in condizioni simili a quelli reali. Per spiegarne l’efficacia è utile riprendere la distinzione proposta da Piattelli Palmarini (2011) tra immaginarsi e immedesimarsi.

 

Immaginarsi è sostanzialmente un esercizio della mente astratto che possiamo applicare a qualunque cosa o a qualunque circostanza: questo lo si può fare anche in un'aula di formazione, ma si tratta pur sempre di pura e astratta immaginazione. Immedesimarsi, invece, significa calarsi con la mente, con le emozioni e con il corpo, attivando il vissuto e le sensazioni che si possono provare, o che provano altri, in quella determinata situazione.

 

Il processo di immedesimazione, che implica anche differenze nell’attivazione neuronale rispetto all'immaginazione, accresce la possibilità che chi partecipa all’esercitazione possa mettersi in contatto con le proprie reazioni emotive di fronte all’evento.

 

Passare da modelli formativi legati all’immaginazione verso quelli caratterizzati dall’immedesimazione è importante perché, come ricordano Killingsworth e Gilbert (2010), abbiamo tutti una scarsa capacità di prognosticare su come reagiremo di fronte a una situazione di emergenza.

Immedesimarsi può aiutare a colmare questo gap, dando il giusto spazio anche alle emozioni. Infatti, come ricorda Damasio (1994), le emozioni vanno considerate come parte integrante della razionalità e non come elementi estranei che vi si contrappongono.

 

Questo è il motivo per cui le esercitazioni vanno programmate e progettate con attenzione. Non è improntante se sono annunciate o a sorpresa, la ricerca e l’esperienza che abbiamo condotto ci suggeriscono che ciò che conta per una predisporre una strategia di coinvolgimento di tutti i partecipanti nell’analisi e nella riconsegna dei risultati. buona esercitazione è:

  • predisporre l’organizzazione di un impianto esercitativo attraverso una regia con un "copione" che individui lo scenario e i ruoli degli "attori" chiamati in causa;
  • predisporre un piano di osservazione, con i relativi strumenti di supporto, in grado di intercettare l’accaduto con la maggior fedeltà possibile. È importate non confondere un'esercitazione con un momento addestrativo. Questo è il motivo per cui gli osservatori non devono intervenire nella scena in nessun modo: né con le parole, né con i gesti (a volte le comunicazioni non verbali sanno essere estremamente eloquenti!). Nel contesto esercitativo l’intervento dell’osservatore avrebbe due effetti negativi: le sue correzioni non permetterebbero di vedere le conseguenze delle scelte compiute dai partecipanti e, in secondo luogo, gli stessi perderebbero l'opportunità di auto-osservarsi e di auto correggersi. Se la correzione avviene dall’esterno, infatti, si toglie ai partecipanti il fondamentale senso di autoefficacia, cioè la consapevolezza di riuscire ad affrontare da soli le situazioni, determinato dall’auto correzione;
  • condurre un’analisi approfondita dei dati emersi adottando la logica di consolidare gli aspetti positivi accanto a quella dell’apprendere dagli errori;

 

Sui primi due punti ci siamo soffermati con altri contributi (Zuliani, 2017a, 2017b); qui desideriamo approfondire alcuni aspetti relativi all'analisi e alla condivisione dei risultati.

 

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Analisi delle esercitazioni

L’esercitazione non ha lo scopo di attribuire attestati di bravura o rimproveri, ma indicare le vie per migliorare la sicurezza in azienda. Per farlo occorre ricostruire con la maggior precisione possibile ciò che è accaduto. Ecco perché insistiamo sul fatto che gli osservatori non devono mai intervenire attivamente nello scenario (salvo contaminare l'esito stesso dell'esercitazione) e che è necessario utilizzare strumenti obiettivi di registrazione dell'accaduto.

 

Lavorare per analizzare quello che è avvenuto durante un’esercitazione utilizzando dati oggettivi (come attraverso l’utilizzo di telecamere) aiuta a correggere una distorsione che spesso produciamo nel richiamare alla memoria quello che è capitato.

Infatti, troppo di frequente coltiviamo delle “illusioni positive” che ci spingono a ritenerci più efficaci di quello che siamo stati (Taylor e Brown, 1998). Pur nella delicatezza connessa alla legge sulla privacy, le riprese video sono uno strumento formidabile, in quanto permettono di averne una memoria oggettiva, di analizzare comportamenti e tempi reali spesso non percepiti fin nei più piccoli dettagli, e di rivedere l’evento a distanza di tempo.

 

Accanto alla ricostruzione oggettiva dell’evento è importate anche raccogliere le informazioni dai singoli osservatori e partecipanti, evidenziare attivamente i punti di dissenso, provare a vedere i risultati da una prospettiva diversa da quella usualmente utilizzata. In questo modo l’obiettivo è quello di individuare gli aspetti di miglioramento ascrivibili agli aspetti tecnici, organizzativi e comportamentali evidenziati nell’esercitazione.

 

Si tratta di un’analisi critica che deve precedere la restituzione e la discussione di quanto accaduto con tutti i partecipanti.

 

Restituzione dei risultati

La restituzione dei risultati può contribuire a tre specifici benefici:

  • condividere il miglioramento del Piano di Emergenza relativamente ad alcuni punti critici emersi durante l'esercitazione;
  • coinvolgere i partecipanti nell'analisi e nell'individuazione delle azioni di miglioramento nella sicurezza aziendale;
  • costruire con le maestranze un patto di mutua responsabilità relativo alla realizzazione delle azioni di miglioramento.

 

La realizzazione di questi tre punti appare ancora critica nel nostro paese dove prevale la strategia DAD (Decidi Annuncia Difendi), che privilegia l’aspetto tecnico-progettuale secondo la quale sono i responsabili aziendali a decidere i cambiamenti procedurali e i lavoratori sono soggetti da convincere della bontà della scelta fatta. La cultura della sicurezza non si può creare solamente attraverso un processo informativo che parta dall’idea che chi propone le decisioni sia nel giusto e chi le deve in qualche modo subire sia “ignorante” (che non sa, ad esempio, quanti sono i benefici della scelta prodotta), o sprovveduto o in malafede.

 

Una buona politica di sicurezza deve accettare che ognuno ha diritto ai suoi dubbi, alle sue perplessità e persino alle sue paure: negare questa realtà o ridurla a mero e fastidioso ostacolo per la realizzazione di un qualsiasi progetto rischia di creare delle fratture nell’azienda. Per centrare l’obiettivo sul comune desiderio di migliorare la sicurezza lo si può realizzare favorendo un clima che permetta una partecipazione e una comunicazione aperta, tenendo in considerazione la condizione dei membri del gruppo, aiutandoli in situazioni difficili e centrando l’attenzione su “che cosa è giusto” piuttosto che su “chi ha ragione”. Ecco allora che la restituzione dei risultati diventa un cardine del sistema di gestione della sicurezza.

 

Una buona conduzione dell’analisi e della restituzione dei dati di un’ esercitazione può accrescere il senso di fiducia dei membri dell’azienda verso questo prezioso strumento e verso le osservazioni sui loro comportamenti, che avranno sperimentato non essere fatte per giudicare o per sanzionare, ma per arrivare a un miglioramento della sicurezza di tutti.

 

Antonio Zuliani e Wilma Dalsaso
 
 
Fonte: PDE, n. 54
 

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