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Campi elettromagnetici: gli spettrometri a risonanza magnetica

Campi elettromagnetici: gli spettrometri a risonanza magnetica

Una guida riporta diversi casi riguardanti l’applicazione della direttiva 2013/35/UE sui campi elettromagnetici. Focus sulla valutazione svolta per un’unità a risonanza magnetica nucleare situata in un laboratorio destinato alla spettroscopia.

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Lussemburgo, 6 Giu - Riguardo all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici (CEM) ci siamo più volte soffermati sul tema della risonanza magnetica nucleare (RMN), con riferimento in medicina alla tecnica radiologica che consente una precisa visualizzazione degli organi e delle strutture interne dell’organismo umano. Più raramente abbiamo invece parlato della risonanza magnetica nucleare in uso anche nell’ambito industriale con riferimento alla spettroscopia, cioè allo studio della struttura interna di atomi, molecole e solidi tramite l’analisi degli spettri.

 

Ne parliamo oggi con riferimento al contenuto di una delle guide non vincolanti per l'implementazione della direttiva 2013/35/UE sui campi elettromagnetici elaborate dalla Commissione Europea. In particolare il contenuto della guida dal titolo “ Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 2: Studi di casi”, che presenta diversi studi di casi che riguardano settori professionali diversi e che si basano su valutazioni realmente effettuate di situazioni reali.

 

Nella guida si indica, infatti, che gli spettrometri a risonanza magnetica nucleare (RMN) possono rappresentare un pericolo per gli operatori a causa dei forti campi magnetici statici.

 

Sono apparecchi che vengono usati “per indagare le proprietà dei materiali; le industrie manifatturiere, per esempio, li impiegano per analizzare i composti chimici”. E in questo caso lo studio “si è svolto in un’azienda farmaceutica, ove le unità RMN sono situate in un laboratorio appositamente destinato alla spettroscopia”. Infatti nell’azienda si prevedeva di acquistare una nuova unità e “il responsabile della sicurezza intendeva riesaminare la valutazione dei rischi prima di elaborare un piano di azione”.

In vista dell’esame il responsabile ha raccolto informazioni generali sulle unità di risonanza magnetica nucleare e ha rilevato che:

- “l’elettromagnete genera un forte campo magnetico statico (0 Hz); l’induzione varia da circa 0,5 a 20 T a seconda dell’unità. Le piccole unità da banco usano di solito magneti permanenti di terre rare, mentre le unità indipendenti più grandi impiegano magneti superconduttori. Il magnete mantiene tutta la propria energia per lunghi periodi di tempo per migliorare la stabilità del campo, e ridurre l’intensità di campo quando i lavoratori si avvicinano non rappresenta quindi una soluzione praticabile;

- i fabbricanti hanno progressivamente migliorato la progettazione delle unità per inserirvi schermature attive e passive, atte a ridurre l’intensità del campo magnetico statico accessibile al lavoratore. Ciò rende possibile contenere quasi interamente il campo magnetico pericoloso entro i limiti del criostato. In unità più antiquate, o schermate in maniera meno efficiente, il campo magnetico pericoloso può estendersi per alcuni metri nell’area di lavoro;

- questi campi magnetici esterni sono spesso distorti e deviati da strutture di acciaio (come ad esempio travi) presenti all’interno dell’edificio”.

 

Riguardo poi all’approccio alla valutazione dell’esposizione, si segnala che il responsabile della sicurezza “sapeva che il fabbricante della nuova unità era in grado di fornire informazioni sull’intensità del campo magnetico accessibile ai lavoratori” ed era in grado anche di “indicare l’entità di eventuali rischi derivanti da effetti indiretti, come il rischio propulsivo di oggetti ferromagnetici o l’interferenza con attrezzature e dispositivi medici elettronici”.

Il fabbricante ha fornito un tracciato del campo magnetico statico di dispersione intorno all’unità.

 

Sempre riguardo alla valutazione il responsabile della sicurezza:

- sapeva che era possibile “valutare l’intensità del campo magnetico statico intorno all’unità con un magnetometro adeguato, e che era molto più facile ottenere un risultato attendibile con una sonda isotropica (triassiale) anziché con una sonda ad asse unico. Tale approccio avrebbe però richiesto un investimento di tempo e denaro, e sarebbe stato anche necessario valutare i pericoli connessi all’operazione di misurazione, soprattutto se lo strumento è rivestito di metallo. Nella valutazione il responsabile per la sicurezza ha scartato l’ipotesi di effettuare misurazioni, in quanto il fabbricante avrebbe offerto informazioni valide”;

- ha esaminato i gruppi di lavoratori che avrebbero avuto accesso al laboratorio RMN e i compiti che essi avrebbero probabilmente svolto: ha rilevato che “gli addetti alla revisione inviati dai fabbricanti delle unità RMN avrebbero avuto saltuariamente accesso al laboratorio, comprese le aree ove il campo magnetico è più forte — per esempio la base del criostato — per svolgere le operazioni di sintonizzazione dello spettrometro. Egli ha osservato tuttavia che la sua azienda avrebbe chiesto a questi addetti alla revisione di fornire per iscritto una valutazione dei rischi e un elenco di procedure di sicurezza in relazione al lavoro che avrebbero svolto; essi avrebbero inoltre dovuto dimostrare la propria competenza (per esempio documentando la propria adeguata formazione ed esperienza pratica) prima della visita. Su tale base il responsabile della sicurezza ha concluso che i rischi connessi al loro lavoro fossero limitati. Egli ha rilevato altresì che il personale della ditta che aveva in appalto le pulizie non avrebbe avuto accesso al laboratorio”.

 

Veniamo ai risultati della valutazione dell’esposizione.

 

La guida indica che “avendo effettuato l’esame delle unità esistenti nel laboratorio RMN, il responsabile della sicurezza sapeva che la distanza di sicurezza può variare considerevolmente in funzione della progettazione e in particolare della schermatura: per le unità più antiquate, non schermate e con forte intensità di campo può giungere a parecchi metri, mentre per le unità moderne e adeguatamente schermate può essere praticamente pari a zero”.

Tuttavia secondo le previsioni “l’intensità di campo non doveva superare i valori limite di esposizione (VLE) per gli effetti diretti nei luoghi accessibili ai lavoratori dell’impresa. Benché l’amplificatore a radiofrequenza emettesse una potenza notevole, si prevedeva che il campo a radiofrequenza venisse interamente contenuto nell’unità e non fosse accessibile ai lavoratori”. In base alle informazioni fornite dal fabbricante si è concluso che “probabilmente i livelli di azione (LA) per gli effetti indiretti sarebbero stati superati in un raggio di 1,3 metri dalla superficie esterna del criostato”.

 

Il responsabile per la sicurezza conosceva l’esistenza di una precedente valutazione dei rischi relativa al laboratorio RMN che seguiva la metodologia proposta da OiRA (la piattaforma interattiva online dell’EU-OSHA per la valutazione del rischio).

 

Queste le misure organizzative già adottate nel laboratorio RMN per prevenire o limitare l’esposizione (oltre ad aver scelto un’unità RMN la cui schermatura attiva e passiva rispetti lo “stato dell’arte”):

- “l’ubicazione delle unità RMN in un laboratorio dedicato con controllo fisico dell’accesso (sotto forma di accesso da tastiera);

- l’affissione di segnali di avvertimento e divieto, ai sensi della direttiva 92/58/CEE, sulla porta d’ingresso del laboratorio. Tra questi segnali deve comparire un avvertimento per le persone che indossano attrezzature mediche elettroniche;

- il divieto di introdurre strumenti e altri oggetti ferromagnetici nel laboratorio;

- la separazione delle unità RMN dalle altre attrezzature e postazioni di lavoro del laboratorio;

- la collocazione di una catena di separazione e la segnalazione sul pavimento di un perimetro a 0,5 mT per controllare l’accesso;

- attività di informazione, istruzioni e formazione per i lavoratori che operano nel laboratorio, insieme a un’adeguata supervisione;

- la richiesta agli addetti alla revisione di una documentazione scritta in materia di sicurezza e di una dimostrazione della propria competenza, prima della visita”.

 

Rimandando alla lettura integrale della guida che riporta diverse immagini e una tabella con le varie misure preventive e precauzionali, segnaliamo in conclusione le precauzioni supplementari adottate in seguito alla valutazione.  

 

Si indica che in linea generale le misure organizzative “sono state considerate sufficienti benché siano trascorsi cinque anni dall’ultima volta in cui i lavoratori hanno ricevuto una formazione in merito ai pericoli e alle precauzioni connessi al laboratorio RMN”.

Il responsabile della sicurezza ha dunque elaborato un piano d’azione articolato nei seguenti punti:

- “aggiornare la formazione dei lavoratori del laboratorio con una serie di brevi sessioni di sensibilizzazione, dando la priorità ai nuovi assunti;

- verificare che i lavoratori addetti alla manutenzione siano informati dei pericoli, in particolare di quelli derivanti da ‘strumenti ferromagnetici volanti’;

- verificare che il personale della ditta che ha in appalto le pulizie sia informato del divieto di entrare nel laboratorio;

- inserire nel prossimo bollettino di sicurezza aziendale un articolo sui pericoli connessi al laboratorio”.

 

 

Commissione europea “ Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 2: Studi di casi”, versione in italiano (formato PDF, 6.11 MB).

  

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui rischi correlati ai campi elettromagnetici

 

 

 

Tiziano Menduto



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