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Sistema prevenzionale e resilienza di un’organizzazione

Sistema prevenzionale e resilienza di un’organizzazione
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

04/02/2021

Le aziende che basano la loro politica della sicurezza su una formalizzazione spinta delle procedure prescrittive, si troveranno sempre in difficoltà nell’affrontare situazioni nuove o impreviste.

Tutti noi che ci occupiamo di tutela della salute e sicurezza sul lavoro abbiamo come obiettivo quello di ottenere l’assenza di eventi che portino a delle conseguenze che, nello specifico contesto sociale ed economico, siano ritenute inaccettabili.

Possiamo quindi considerare la sicurezza come il mantenimento nel tempo dell’assenza di eventi.


Le aziende affrontano durante la loro attività tutta una serie di pericoli che generano dei rischi e cioè la probabilità di danni alle persone ma anche all’ambiente e ai beni aziendali.

Chi si occupa di sicurezza sul lavoro dovrebbe lavorare con l’obiettivo di prevenire eventi che, pur avendo una bassa probabilità di verificarsi, hanno elevato potenziale di produrre conseguenze di gravità elevata.

 

Il livello di rischio che viene percepito come accettabile in un determinato contesto e in uno specifico momento è determinato, in particolare, dal contesto sociale.

 

Ad esempio, in Italia, nel 2019 ci sono stati 276 omicidi e quasi 8.000 morti per tumori di origine professionale. Gli omicidi, però, sono considerati socialmente più inaccettabili dei morti per malattie professionali contratte sul posto di lavoro.

 

In Italia, come negli altri Paesi economicamente e socialmente avanzati, quando si verificano dei gravi eventi, vengono inasprite le regole a cui le aziende devono attenersi.

Credo, però, che sia ormai ben noto a tutti (o quasi) che l’inasprimento delle regole e delle sanzioni non possano garantire, da sole, la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

Quel che serve, oltre alle regole ed alle sanzioni, è lo sviluppo della capacità delle aziende di anticipare quel che è ragionevolmente prevedibile e, soprattutto, della capacità di reagire efficacemente di fronte a situazioni impreviste.

 

Infatti, come diceva Benjamin Disraeli a fine ‘800: <<Quello che ci aspettiamo raramente accade: ma quello che meno ci aspettiamo di solito succede!>>.

 

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Ricordando anche una misura generale di tutela introdotta dalla direttiva “Quadro” 89/391/CEE poi ripresa dall’attuale D. Lgs. n° 81/2008 (art. 15 comma 1, lett. b): << la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro>> che palesemente ribalta l’usuale approccio, è necessario procedere, al momento della progettazione del sistema prevenzionale aziendale, all’individuazione dei pericoli e ad un’analisi dei rischi.

 

Chi, all’interno delle aziende, ha l’incarico di progettare il sistema prevenzionale, prova ad individuare le condizioni di funzionamento che possano originare un rischio. A questo punto, di norma, si costruiscono delle barriere che garantiscano la prevenzione dei rischi.

In genere, si tratta di varie tipologie di barriere.

 

Innanzi tutto, si procede con la progettazione tecnica al fine di creare un livello di sicurezza oggettiva considerata accettabile nello specifico contesto e momento temporale.

 

Poi si passa alla definizione di procedure che riguardano i processi base come la produzione, la manutenzione, ecc., in modo da svilupparli all’interno del perimetro che garantisca il non superamento dei limiti di sicurezza definiti.

 

Un’altra tipologia di barriera che viene creata passa attraverso lo sviluppo delle competenze del personale mediante processi formativi mirati all’interiorizzazione e al rispetto delle procedure.

 

Infine, si passa alla barriera costituita dall’operatività dell’organizzazione prevenzionale volta ad assicurare il rispetto delle regole definite anche mediante audit periodici.

 

L’approccio si basa sull’assunto che se le regole vengono rispettate, le situazioni in cui i rischi possono concretizzarsi e sulla cui ipotesi sono state costruite le citate barriere, hanno una bassissima probabilità di verificarsi.

 

Nella realtà, per quanto si possa essere stati attenti a mappare le situazioni che possono portare ad eventi negativi, per tutta una serie di ragioni, avvengono degli eventi che non erano stati previsti e che, in quanto tali, non sono gestiti dalle citate procedure.
A questo punto, sono i lavoratori stessi che si trovano a dover governare gli eventi stessi.
Ciò, in genere, avviene per almeno due ragioni:

  • nel sistema aziendale sono presenti variabili che non erano state previste;
  • gli eventi, anche se previsti in una procedura, possono combinarsi tra loro oppure eventi previsti possono combinarsi con eventi non previsti.

 

Nel primo caso, sono gli stessi lavoratori che percepiscono questi cambiamenti e adattano ad essi il loro modo di operare cercando di mediare tra gli obiettivi produttivi e quelli di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

 

Nel secondo caso, le combinazioni possibili sono talmente tante che non è neanche possibile immaginare una procedura che possa coprirle tutte. La conseguenza è che i lavoratori, di fronte ad una nuova situazione, forniranno una risposta che deriva dalle competenze possedute, dalle risorse disponibili e dal supporto offerto dalla struttura organizzativa esistente.

 

Il più delle volte, questi adattamenti alla situazione contestuale, garantiscono il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela della salute e sicurezza e di produzione.

Però sono sempre questi adattamenti che, in alcuni casi, diventano determinanti nella genesi di un evento.

 

Per esperienza di chi scrive, anche come consulente tecnico nei procedimenti penali, raramente questi adattamenti sono stati identificati o, quanto meno, è stato attribuito loro il giusto peso, nella genesi di un infortunio sul lavoro.

 

Pertanto, tutti noi che ci occupiamo professionalmente di sicurezza sul lavoro, dobbiamo avere sempre ben presente che il sistema prevenzionale che abbiamo progettato e implementato, fin dal suo iniziale funzionamento, sarà soggetto a tutti questi adattamenti che ne accresceranno, progressivamente, la sua ampiezza e complessità.

 

È chiaro, pertanto, che il sistema prevenzionale si evolve nel tempo.

I cambiamenti possono riguardare l’insorgenza di nuovi rischi, la forza lavoro, le tecnologie, le richieste del mercato, ecc.

Ad esempio, mutano le esigenze produttive con la richiesta di una maggiore produttività che porta a spostare il punto di equilibrio, tra sicurezza e produzione, verso quest’ultima creando uno squilibrio tra obiettivi produttivi nel breve periodo e obiettivi di sicurezza nel medio-lungo periodo.

 

Anche a livello procedurale ci sono dei cambiamenti in quanto vengono sviluppate nuove procedure che scendono più nel dettaglio delle attività da eseguire.

Insomma, il sistema prevenzionale funziona in modo ben diverso da quello iniziale sulla cui configurazione a tavolino era stata effettuata l’analisi dei rischi.

 

Il sistema si muove su un piano, ai cui opposti estremi sono fissati dei limiti riguardanti la sicurezza e la produzione, cercando, come detto prima, un punto di equilibrio.

Per la sicurezza si tratta, ovviamente, non di un limite reale ma solo virtuale in quanto non si conosce la sua reale posizione o, almeno, non la si conosce fin tanto che esso non viene superato.

 

Nonostante ciò, l’azienda continua a funzionare tranquillamente, il sistema prevenzionale con le sue regole e procedure consente di mantenere risultati produttivi adeguati alle aspettative dei vertici aziendali senza creare ostacoli, gli adattamenti in corso d’opera continuano ad essere effettuati, ecc.

 

Tutto ciò fa percepire che il sistema prevenzionale continua ad essere sicuro così come agli inizi del suo funzionamento, non ci sono incidenti, gli indicatori riguardanti i tassi di frequenza, gravità, incidenza, ecc., sono su valori accettabili, ecc., tanto da poter affermare che tutto fila liscio.

 

Però, se volessimo grattare la crosta, potremmo trovare delle sorprese.

Ad esempio, potremmo scoprire che:

  • ai lavoratori è stato chiesto di aumentare la produttività,
  • è aumentata la frequenza con cui le procedure, nonostante gli adattamenti intervenuti, vengono disattese,
  • si accettano situazioni e comportamenti pericolosi che, invece, necessiterebbero del fermo produzione;
  • i manutentori hanno minor tempo disponibile per eseguire gli interventi di manutenzione,
  • è aumentata la distanza, in termini di comunicazione, tra le posizioni apicali e i lavoratori;
  • alcuni lavoratori cominciano a manifestare segnali di disagio e si avvicinano sempre più al punto di rottura;
  • gli appaltatori vengono scelti con il criterio del massimo ribasso senza più un’accurata analisi preventiva delle loro capacità organizzative ed operative;
  • ecc., ecc.

 

In una situazione di questo tipo, ovviamente, non c’è da domandarsi “se” si verificherà un incidente o un infortunio grave ma solo “quando”.

 

È anche vero che negli ultimi due decenni la tendenza al miglioramento continuo si è fortemente diffusa tra le aziende ma è altrettanto vero che è stato raggiunto un limite e la continua spinta derivante dalla formalizzazione ha esaurito i suoi effetti non producendo più una riduzione degli incidenti e degli infortuni, intesi come malfunzionamenti del sistema prevenzionale.

 

Il motivo di questa situazione, a parere di chi scrive, è dovuto allo squilibrio tra:

  • la spinta alla formalizzazione da parte del management, per avere condizioni prescrittive nell’esecuzione delle attività da parte del personale;
  • l’individuazione delle aree di responsabilità nell’ambito del comportamento dei lavoratori, al fine di mantenere lo status quo dell’organizzazione con il sistema di poteri esistente;
  • l’insufficiente attenzione verso ciò che avviene sul campo e cioè le situazioni reali che i lavoratori si trovano ad affrontare quali, ad esempio:
    • il livello qualiquantitativo delle procedure formalizzate accettabile dai lavoratori;
    • le situazioni in cui le procedure non sono applicabili;
    • le difficoltà concrete nell’applicazione delle procedure;
    • il ruolo del management nell’applicazione delle procedure;
    • le contraddizioni tra le procedure e le esigenze produttive;
    • il livello di integrazione delle procedure nel sapere operatorio dei lavoratori;
    • gli adattamenti alle procedure attuati dai lavoratori per permetterne la concreta applicazione alle attività lavorative;
    • il gap tra le procedure ed il sapere operatorio dei lavoratori;
    • le contribuzioni dei lavoratori favorite o ostacolate dalle procedure.

 

Queste organizzazioni, quando basano la loro politica sulla sicurezza su una formalizzazione spinta dell procedure prescrittive, si troveranno in difficoltà nell’affrontare situazioni nuove o impreviste.

 

Questo perché vale sempre il principio che ribadisce che le organizzazioni che basano il proprio sistema prevenzionale sulla formalizzazione delle risposte a situazioni prevedibili, quasi sempre non sono in grado di dare risposte efficaci quando si manifestano situazioni impreviste.

 

Quindi il vero obiettivo dovrebbe essere quello di avere un’azienda con un sistema prevenzionale in grado di rispondere alle situazioni impreviste in quanto le competenze del personale, il funzionamento dei gruppi (formali e informali) e la qualità dell’organizzazione favoriscono:

  • il mantenimento di un alto livello di attenzione alla salute del sistema durante l’esecuzione delle attività;
  • l’individuazione di tutti i segnali che rimandano a potenziali malfunzionamenti del sistema;
  • la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti.

 

In concreto, quindi, stiamo parlando della capacità di un’organizzazione di “anticipare, cogliere precocemente e rispondere adeguatamente alle variazioni del funzionamento del sistema in rapporto alle condizioni di riferimento per minimizzare gli effetti conseguenti sulla sua stabilità dinamica”.

 

Nell’ambito degli studi dei sistemi organizzativi, questa è la definizione di Resilienza.

Oggi le formalizzazioni procedurali in tema di salute e sicurezza sul lavoro, preparano il sistema riguardo le situazioni previste ma non sono in grado di assicurare una risposta adeguata in caso di situazioni impreviste.

Davanti ad un imprevisto, l’efficacia della risposta del sistema dipenderà da ciò che lavoratori e management saranno in grado di mettere in atto in quel momento.

 

La Resilienza di un sistema dipende dalla capacità di:

  • eliminare i malfunzionamenti prevedibili mediante la formalizzazione procedurale e la concreta applicazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali necessarie;
  • favorire l’adozione di comportamenti sicuri mediante iniziative formative volte alla modifica degli atteggiamenti riguardo la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
  • assicurare, da parte del management, il rispetto delle regole esercitando un leadership efficace;
  • anticipare, percepire e rispondere ai malfunzionamenti non previsti dell’organizzazione grazie a:
    • la valorizzazione del sapere operatorio dei lavoratori,
    • la qualità delle iniziative da loro messe in atto,
    • il funzionamento dei gruppi (formali e informali),
    • un management in grado sia di monitorare in tempo reale le situazioni che si presentano che di favorire le integrazioni tra le varie tipologie di conoscenze presenti nel sistema utili ai fini della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

 

Allora cosa deve fare un’organizzazione per sviluppare la propria Resilienza?

Innanzi tutto, deve essere cosciente che il livello di sicurezza in un determinato momento temporale è sempre soggetto agli impatti negativi derivanti dalle evoluzioni del sistema e dai suoi cambiamenti con particolare riferimento al conflitto tra gli obiettivi produttivi a breve termine e gli obiettivi di sicurezza a medio-lungo termine.

 

Poi, l’organizzazione deve essere cosciente che i segnali di avvicinamento e superamento dei limiti di sicurezza del sistema non vengono necessariamente rilevati dagli indicatori abituali perché la maggior parte di questi segnali sono rilevati da chi opera sul campo e, raramente, vengono riportati all’interno del sistema informativo formalizzato attivo nell’organizzazione.

 

Inoltre, l’organizzazione deve favorire la risalita delle segnalazioni dei near miss verso il management e la loro discussione con il coinvolgimento dei vari attori coinvolti.

Infine, l’organizzazione deve riconoscere la necessità di confrontare le conoscenze degli esperti nelle varie aree con quelle dei lavoratori al fine di concordare l’individuazione delle regole e delle procedure compatibili con le evoluzioni del sistema, visto che, in materia di tutela della salute e di sicurezza sul lavoro, ciascun attore possiede soltanto una parte delle conoscenze necessarie per affrontare le situazioni non previste.

Questa, a parere di chi scrive, sarà la sfida per le aziende nei prossimi anni.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione




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Rispondi Autore: massimo tansini - likes: 0
04/02/2021 (07:40:48)
eccellente ripasso, punto della situazione e impostazione del lavoro futuro.
grazie
Rispondi Autore: Andrea Passone - likes: 0
04/02/2021 (08:10:32)
Articolo chiaro, preciso e soprattutto illuminante.
Grazie mille
Rispondi Autore: Francesco Addriso - likes: 0
04/02/2021 (14:28:38)
Articolo utile a sensibilizzare tutti gli attori. Ma quante condizioni di "progettazione tecnica al fine di creare un livello di sicurezza oggettiva" mi/ci tocca individuare sul campo? Nonostante la marcatura CE di un apparecchio, macchina, elettrodomestico?
Proprio perché il costruttore-progettista ha sottovalutato
"la valorizzazione del sapere operatorio dei lavoratori". O no?

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