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Rischio stress: è possibile valutarlo con misure biologiche?

Rischio stress: è possibile valutarlo con misure biologiche?
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio psicosociale e stress

19/07/2017

Un contributo ricorda alcuni studi condotti per ricercare marcatori biologici relativi allo stress lavoro correlato. Gli studi sugli eventi fisiopatologici provocati dallo stress e le possibili conseguenze sulla valutazione dei rischi.

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Trieste, 19 Lug – Sappiamo, come ricordato in diversi articoli della normativa relativa alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008), che l’analisi dei rischi deve essere condotta o rielaborata anche in relazione all’evoluzione della tecnica, delle conoscenze e della prevenzione. Ed è interessante conoscere quali sono le ricerche, gli studi, al di là dei risultati, che ci potranno permettere in futuro nuovi strumenti per migliorare la conoscenza dei fattori di rischio, le loro conseguenze e l’impatto sulla vita dei lavoratori. Ancor più se questi studi riguardano un rischio, lo stress lavoro-correlato, che nelle aziende non sempre è riconosciuto, valutato e gestito adeguatamente.

 

Al di là della valutazione svolta mediante questionari potrebbe essere possibile in futuro anche una valutazione attraverso misure biologiche?

 

Per rispondere a questa domanda o, meglio, per ricordare che il mondo accademico si sta interrogando su questa possibilità, presentiamo oggi un breve contributo raccolto nel volume “ Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro correlato” curato da Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste. Volume che, presentato al seminario “Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro-correlato. Strumenti di valutazione e buone pratiche” (13 marzo 2017, Trieste), riporta i materiali della giornata di studi “Sicurezzaccessibile” che si è svolta, sempre a Trieste, nel mese di ottobre 2015.

 

In “Stress lavoro correlato: la ricerca di nuovi marcatori biologici” - contributo a cura di Alessio Polacchini e Enrico Tongiorgi (Dipartimento Scienze della Vita – Università di Trieste),  Damiano Girardi e Alessandra Falco (FISPPA Section of Applied Psychology, University of Padova), Nunzia Zanotta e Manola Comar (Institute for Maternal and Child Health-IRCCS, Burlo Garofolo) e Nicola A. De Carlo (Human Science Department, LUMSA University, Roma) - si ricorda innanzitutto che nel mondo lavorativo “i pericoli reali o semplicemente percepiti rappresentano fattori di stress che possono attivare una rete di reazioni comportamentali, psicologiche e fisiche della persona (strain psicofisico), collettivamente noti stress lavoro-correlato (Girardi et al, 2015)”.

 

In particolare si indica che lo stress cronico correlato al lavoro è un “fattore emergente nello sviluppo di malattie fisiche e mentali (come la depressione) e i suoi effetti possono essere spiegati dal modello di carico allostatico (Juster et al, 2010; McEwen, 2000), analogamente a quanto succede per altri tipi di stress”. E molti studi mostrano come lo “ strain psicofisico causato da problemi legati al lavoro” sia un “fattore sempre più importante nello sviluppo di problematiche sia fisiche sia mentali e diverse persone riferiscono di sintomi fisici e psicologici legati allo stress (Ganster e Rosen, 2013; Nixon et al, 2011)”. E lo “strain psicofisico” è anche stato “associato a un aumento di assenze per malattia certificata dal medico parallelamente a ridotte prestazioni di lavoro (Falco et al, 2013; Falco, Girardi et al, 2013)”.

 

Fatta questa premessa il contributo indica che gli eventi fisiopatologici provocati dall’esposizione prolungata a stress mentale negli esseri umani “coinvolgono l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), l’asse simpatico-surrenale (SAM), nonché il sistema endocrino e il sistema immunitario (Chandola et al, 2010; Dhabhar, 2009; Juster et al, 2010; McEwen, 2000)”. E si segnala che “oltre agli ormoni dello stress come Corticotropic Release Hormon (CRH), Adeno-CorticoTropic Hormon (ACTH) e i glucocorticoidi, l’osservazione che anche le alterazioni del sistema immunitario rappresentano un meccanismo fisiopatologico primario nello stress cronico è una delle maggiori scoperte scientifiche del decennio (Bierhaus et al, 2003; Reiche et al, 2004; Schmidt et al, 2010; Segerstrom e Miller, 2004)”. Inoltre altri studi hanno dimostrato che “il sistema simpatico è in grado di stimolare la produzione di citochine infiammatorie (Bierhaus et al, 2003; McEwen, 2012) che a sua volta fanno aumentare la produzione di glucocorticoidi, che solitamente hanno effetti anti-infiammatori, ma in certe situazioni possono agire come agenti anche pro-infiammatori (Munhoz et al, 2010)”. E lo stress cronico è “noto per aumentare la suscettibilità alle infezioni e il cancro, a causa della soppressione immunitaria, ma può anche aggravare le condizioni allergiche o autoimmuni verosimilmente a causa di uno sbilanciamento tra citochine coinvolte nella risposta di tipo-1 verso quelle implicate nella risposta di tipo-2, il che significa una diminuzione della immunità cellulare a favore di una immunità umorale (Dhabhar, 2009; Glaser et al, 2001)”.

 

Rimandiamo ad una lettura integrale del contributo che segnala vari altri aspetti e ipotesi, come la possibilità che lo stato infiammatorio “possa rappresentare un correlato funzionale dello stress cronico, per il quale l’interleuchina 6 (IL-6), gli interferoni (IFN) e i fattori di necrosi tumorale (TNF) sono i biomarcatori più studiati (Hansel et al, 2010)”.

 

In ogni caso, come si indicava a inizio articolo, lo “strain psicofisico” è solitamente “valutato dal lavoratore stesso mediante ausilio di questionari auto-compilati o da medici del lavoro con l’ausilio di questionari ad hoc, che consentono la valutazione quantitativa delle dimensioni specifiche di strain psicofisico, come l’ansia, sintomi simil-depressivi, problemi gastrointestinali e addominali, alterazioni cardiache e dolori muscolo-scheletrici che portano ad alterazioni ergonomiche (Falco et al, 2013)”.

Tuttavia – continua il contributo – “oltre alla funzione importante di questi questionari, sarebbe di grande beneficio poter includere nella valutazione anche misure biologiche oggettive, che non sono ancora disponibili”.

 

Ecco il motivo di questo studio in cui si è testata “l’ipotesi che lo strain psicofisico possa influenzare i livelli ematici di citochine, chemochine e fattori di crescita, tra cui il BDNF e che queste relazioni potrebbero essere più forti nei soggetti femminili che in quelli maschili (Evolahti et al, 2006)”. In particolare nello studio è esaminata la relazione “tra la gravità delle diverse dimensioni di strain psicofisico e il livello di citochine, chemochine e fattori di crescita in soggetti volontari sani impiegati presso una struttura sanitaria”.

 

Non rimane che concludere con l’auspicio che in futuro, attraverso studi come questo e attraverso la validazione di idonei mezzi di analisi, possa essere possibile avere nuovi strumenti per migliorare e facilitare in futuro nei luoghi di lavoro l’analisi del rischio stress lavoro correlato.

 

 

 

Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro correlato”, Sicurezza accessibile - Giornata di studi - Trieste, 20 ottobre 2015, volume curato da di Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste, presentato al seminario “Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro-correlato. Strumenti di valutazione e buone pratiche” (formato PDF, 7.58 MB).

 

 

RTM



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