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Rischio chimico: analisi degli agenti chimici e competenze necessarie

Rischio chimico: analisi degli agenti chimici e competenze necessarie
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio chimico

12/12/2016

Un manuale prodotto dall’ULSS di Treviso si sofferma sulla valutazione del rischio chimico. Focus sulle competenze necessarie per la valutazione, sulle incompatibilità, sull’uso di software e algoritmi e sull’individuazione degli agenti chimici presenti.

Treviso, 12 Dic – La valutazione del rischio chimico nelle aziende deve essere effettuata dal datore di lavoro con la collaborazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e del medico competente, il cui ruolo “è fondamentale per gli aspetti tossicologici”.

In ogni caso la consulenza di un chimico “esperto” è “opportuna se gli attori della valutazione non sono sicuri di possedere conoscenze specifiche sufficienti sulla materia”. Infatti la materia è molto difficile “perché occorre avere buone conoscenze di igiene industriale, tossicologia e chimica per tradurre la valutazione dei rischi in concrete misure di prevenzione nella realtà aziendale”.



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Rischio chimico - 1 ora
Informazione ai lavoratori sui rischi specifici ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. 81/2008

 

 

A ricordare l’importanza di adeguate competenze e a fornire un utile supporto per i datori di lavoro è il “ Manuale di autodifesa del datore di lavoro”, un documento elaborato dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) dell’ Azienda ULSS 9 di Treviso (ad oggi sono disponibili tre capitoli).

 

Nel capitolo 9.1 “La valutazione del rischio chimico” si indica anche che l’uso di software per la valutazione del rischio chimico da parte di persone non competenti “espone a pericolosi errori e quasi sicuramente risulterà insufficiente”.

 

Riguardo a questo aspetto il documento riporta un utile esempio.

 

Immaginiamo – suggerisce il manuale - che “la scheda di sicurezza di un prodotto indichi che a contatto con sostanze alcaline si possono sviluppare reazioni pericolose; il datore di lavoro dovrebbe individuare, fra tutti gli agenti chimici presenti nella sua azienda, quali sono quelli che potrebbero determinare queste reazioni per tenerne conto durante l’uso e la conservazione; questa informazione (con la specificazione dei nomi dei prodotti) deve essere trasmessa ai lavoratori perché conoscano i pericoli e le condizioni corrette per tenerli in magazzino e per usarli. La sola dicitura ‘evitare il contatto con sostanze alcaline’, pur essendo corretta, ha un contenuto insufficiente nella pratica perché sposta l’onere di decidere cosa è incompatibile dal punto di vista chimico sull’utilizzatore della sostanza (lavoratore che non ha adeguata preparazione per farlo)”.

Invece il datore di lavoro ha “l’onere giuridico di dare questa informazione e il documento di valutazione deve essere lo strumento con cui gestisce il problema con l’aiuto dei suoi consulenti. Per assicurare che il documento risponda ai requisiti di concretezza e praticità, deve essere esplicitato come si deve effettuare in azienda l’immagazzinamento separato di prodotti incompatibili, quali sono i prodotti incompatibili fra di loro, identificandoli uno per uno con l’indicazione presente sull’etichetta, e come si devono usare gli agenti chimici per evitare reazioni indesiderate. Nessun software può entrare nel dettaglio operativo dell’azienda in modo così specifico. Poiché il datore di lavoro è comunque responsabile della valutazione, deve accertarsi che i consulenti a cui ricorre siano qualificati per svolgere questo tipo di valutazione, assicurandosi che i termini del contratto con il professionista siano congrui per ottenere questo risultato”.

 

Il manuale, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta le principali categorie di incompatibilità (ad esempio: ossidanti – riducenti; acidi – basi; cianuri – acidi; solfuri – acidi; ipocloriti – acidi; metalli – acido nitrico; acetilene – rame; aria ambiente umida – fosfuri) e indica che i prodotti commerciali effettivamente presenti “devono essere ricondotti a queste categorie in modo che gli operatori abbiano chiara cognizione delle incompatibilità”.

 

Si ricorda poi nel capitolo che molte linee guida “utilizzano algoritmi implementati in appositi software per effettuare la valutazione” e che anche documenti della Comunità Europea “sono dedicati all’uso di algoritmi”.

Tuttavia il termine “algoritmo” non esiste nel D.Lgs.. 81/08. Infatti il testo unico “lascia al datore di lavoro ampia libertà di scelta sui metodi da utilizzare per la valutazione dei rischi e non usa mai il termine algoritmo; il che significa che l’uso dell’algoritmo è possibile, anzi è consigliato, ma ciò che conta è che siano completamente rispettati tutti i criteri previsti” dall’art. 223 del testo unico per effettuare la valutazione, “cosa che non è completamente vera per tutte le linee guida pubblicate da vari enti (soprattutto quelle non aggiornate)”. L’uso dell’algoritmo (e del software) “deve essere comunque effettuato con cognizione di causa da parte di persona esperta della materia”.

 

Il manuale, che si sofferma anche sul concetto di rischio e di probabilità di un effetto specifico, segnala poi che prima di iniziare la valutazione del rischio chimico è necessario “individuare e quantificare tutti gli agenti chimici presenti”.

 

E con il termine presenti “non si devono intendere soltanto i prodotti acquistati e utilizzati nel ciclo produttivo ma anche quelli che ci sono nell’ambiente di lavoro a qualsiasi titolo (ad esempio prodotti confezionati e tenuti in magazzino o destinati alla sola vendita, prodotti impiegati per la pulizia dei locali che non hanno nulla a che fare con l’attività produttiva); questi ultimi possono essere noti, confezionati o no, oppure non noti perché si possono formare durante la produzione in modo più o meno prevedibile”. E per quanto riguarda la quantificazione, “è abbastanza facile per i prodotti acquistati che sono all’interno di un ciclo produttivo; nel caso di agenti presenti come prodotto della lavorazione, la quantità si può ipotizzare sulla base di altri parametri produttivi noti. Si ricorda però che l’aspetto quantitativo deve essere riferito, in fase di valutazione, alla persona esposta (è una valutazione che deve essere antropocentrica, come quella del livello equivalente nel caso del rumore)”.

 

Dopo aver accennato ad un esempio relativo ad infortuni mortali connessi alla presenza di metano nell’acqua emunta dal sottosuolo, il manuale ribadisce che tra gli agenti presenti occorre considerare quelli che si formano durante il processo produttivo, di cui si può ignorare l’esistenza “finché non ci si domanda se ‘nelle condizioni di produzione, si possono formare altri agenti chimici’”.

 

Si devono dunque considerare varie possibilità:

- “altri agenti chimici pericolosi si formano regolarmente durante il processo produttivo come prodotto di reazione;

- altri agenti chimici si possono formare per eventi accidentali o comunque in modo non regolare (es. incendio, miscelazione impropria di acidi con basi, dissoluzione e diluizione di acidi o basi con forte innalzamento di temperatura, sostanze acide a contatto di soluzioni di cianuri, solfuri, fosfuri etc.);

- altri agenti vengono deliberatamente prodotti in loco e non acquistati (es. azoto prodotto con generatore a membrana e non acquistato in bombole)”.

 

E, ricollegandoci a quanto detto a inizio articolo, questo è uno dei motivi che “richiede la presenza di un esperto di chimica e di igiene industriale perché non sempre le schede di sicurezza riportano le informazioni in tal senso (ma si possono trovare indicazioni sui principali prodotti di degradazione in caso di combustione o di altro evento accidentale con reazioni chimiche indesiderate)”. E può anche succedere “che il preparato acquistato non sia nemmeno classificato come pericoloso (ad esempio gli oli lubrificanti dei motori) e che gli agenti pericolosi, talvolta anche cancerogeni, si formino per surriscaldamento o altri processi di degradazione durante la lavorazione”.

Laddove ci sia il dubbio, “riteniamo necessario valutare il prodotto, anche con opportune analisi chimiche, nelle varie fasi di impiego, al fine di determinare la presenza e la quantità di tali agenti”.

Il manuale, “a puro titolo di esempio”, cita alcune situazioni tipiche:

- olio lubrificante motori, oli da taglio: “con l’uso ad alta temperatura possono dare luogo a idrocarburi policiclici aromatici (IPA) classificati come cancerogeni;

- plastica alla temperatura di lavorazione in pressofusione o a temperature più elevate in caso di malfunzionamento;

- colle termo-fondenti alla temperatura di utilizzo emettono gas (es. aldeidi), vapori e fumi;

- resine termoplastiche e termoindurenti che alla temperatura di lavorazione emettono gas, vapori e fumi (aldeidi, monomeri, prodotti vari di pirolisi);

- elettrodi di saldatura con emissioni che dipendono: dall’elettrodo, dal tipo di materiale saldato, dalla presenza di residui di verniciatura, oli residui di lavorazione;

- agenti chimici non classificati come pericolosi che possono comportare un rischio a causa delle loro proprietà chimico fisiche o del modo in cui sono utilizzati (es. in recipienti sotto pressione);

- la Formaldeide può essere presente in ampia gamma di prodotti, ad esempio adesivi, sigillanti, cosmetici, prodotti per la pulizia, biocidi, cere, polimeri (come monomero libero o come prodotto di degradazione), stucchi, inchiostri, toner, intonaci, plastilina”.

 

Infine si ricorda che l’allegato I del D.Lgs. n.145 del 28 luglio 2008, che ha sostituito l’allegato VI del D.Lgs. 52/1997 recependo le novità introdotte dal regolamento REACH, prevede al punto 1.4.: ‘L’etichetta tiene conto di tutti i pericoli potenziali connessi con la normale manipolazione ed utilizzazione delle sostanze e dei preparati pericolosi nella forma in cui vengono commercializzati, ma non necessariamente nelle altre possibili forme di utilizzazione finale, ad esempio allo stato diluito …”.

Dell’ultima frase bisogna tener conto “anche in fase di individuazione dei pericoli, che potrebbero non essere indicati nell’etichetta e nella scheda di sicurezza!”. Ad esempio – continua il manuale - la diluizione “può modificare le proprietà pericolose e la conseguente etichettatura (di solito in riduzione). Nel caso di discioglimento di un solido, invece, i rischi derivanti possono non essere riportati nella classificazione”. Il documento riporta ulteriori esempi pratici.

 

Concludiamo segnalando che prima di iniziare la valutazione del rischio chimico è “necessario acquisire le schede di sicurezza aggiornate”: infatti attualmente le schede sicurezza (SDS) devono avere una struttura aggiornata al Regolamento UE 453/2010 (che sostituisce l’allegato II del REACH). Lo stato di aggiornamento è indicato sulla scheda. La classificazione degli agenti deve essere aggiornata all’ultimo “Aggiornamento al Progresso Tecnico (ATP)” in materia di classificazione. Per le sostanze immesse sul mercato in quantitativi superiori a 10 t/anno, il produttore fornisce la scheda di sicurezza estesa con allegati gli scenari di esposizione (sds-e) che possono essere di ulteriore supporto in fase di valutazione di fasi specifiche di lavorazione”. Si sottolinea poi che le schede di sicurezza devono essere evidentemente “messe a disposizione dei lavoratori”.    

 

 

 

ULSS 9 Treviso, “Manuale di autodifesa del datore di lavoro”:

Capitolo 0.0 - Il manuale (formato PDF, 99 kB);

Capitolo 1.3 - Burocrazia e valutazione dei rischi (formato PDF, 116 kB).

Capitolo 9.1 - La valutazione del rischio chimico - agg. 9.3 del 04/02/2016 (formato PDF, 364 kB).

 

 

Link al work in progress del manuale di autodifesa...

 

 

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