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Lavoratori anziani: capacità funzionali e richieste lavorative

Lavoratori anziani: capacità funzionali e richieste lavorative

Nel libro d'argento su invecchiamento e lavoro un contributo si sofferma sull’invecchiamento della popolazione lavorativa in relazione a pensionamento e salute. La possibile incompatibilità tra capacità funzionali e richieste lavorative.

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Milano, 24 Nov – Con riferimento agli obiettivi dell’attuale campagna europea 2016-2017 “ Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età” sta aumentando l’attenzione tra gli operatori sulle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione in Europa e in Italia. Un invecchiamento che, previsto anche a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita - in Italia “è ormai arrivata a 79.5 anni per gli uomini e a 84.9 per le donne” - e al ridotto tasso di fertilità, si collega direttamente anche ai temi pensionistici. Infatti l’ invecchiamento della popolazione ha “indotto molti governi europei a riformare le pensioni pubbliche innalzando l’età pensionabile (Jagger et al., 2008), definita come l’età a cui i lavoratori possono cominciare a ricevere una pensione senza riduzioni del suo importo dovute al pensionamento anticipato, per trattenere un maggior numero di lavoratori anziani al lavoro”.

 

Per approfondire questo tema, le cui conseguenze sono chiaramente l’invecchiamento della forza lavorativa, ci soffermiamo sui contenuti del libro “Aging E-book, il Libro d'argento su invecchiamento e lavoro”, un libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione ( CIIP) e recentemente presentato da PuntoSicuro con un’ intervista realizzata ad “Ambiente Lavoro Convention” (Modena, 13/14 settembre 2017).

 

Nella prima parte del libro un intervento - dal titolo “Invecchiamento della popolazione lavorativa, pensionamento e salute” e a cura di Angelo d’Errico (Medico del lavoro, Epidemiologo Associazione italiana di Epidemiologia) - indica che se nel 2001 “più del 50% dei lavoratori europei definiti come anziani (più di 50 o più di 55 anni, a seconda delle definizioni utilizzate) erano pensionati o inattivi”, dopo dieci anni, “a seguito dell’implementazione delle riforme pensionistiche, in molti paesi europei la situazione è cambiata e solo in pochi paesi persiste una forte anticipazione del pensionamento”. E il sesto rapporto della Fondazione Europea (2016) cita che “nell’Europa 27 in 10 anni la percentuale di lavoratori ultra cinquantenni è aumentata del 10% (dal 24 al 35%)”.

In particolare in Italia la riforma Fornero, “innalzando l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni e quella di anzianità a 42, ha provocato un nuovo aumento dell’effettiva età a cui i lavoratori si ritirano dal lavoro”.

 

Si ricorda poi che l’estensione della vita lavorativa “ha riguardato soprattutto i lavoratori meno istruiti, che sono stati quelli soggetti al maggiore incremento dell’età effettiva al pensionamento e potrebbero aver subito il più forte impatto sulla salute conseguente al rinvio del ritiro dal lavoro, per la possibile maggiore suscettibilità dei lavoratori anziani all’esposizione a fattori di rischio occupazionali, anche a causa delle peggiori condizioni di salute”. 

E, in definitiva, in merito all’invecchiamento della forza lavoro, il documento indica che “le richieste lavorative generalmente si riducono poco con l’età, ma si riduce la capacità lavorativa, cosa che può portare ad una possibile incompatibilità tra la capacità funzionale del lavoratore anziano e il livello di richieste sul lavoro”. E come conseguenza la maggior parte delle imprese potrebbero non aver sufficienti risorse finanziarie “per adattare le condizioni di lavoro ad un gran numero di lavoratori con limitazioni funzionali o gravi malattie croniche, che quindi diventerebbero a rischio di disoccupazione e di pensionamento per invalidità”. E dunque, affinché l’occupazione sia sostenibile, “è essenziale che le richieste lavorative siano adattate allo stato di salute e alle capacità di ciascun lavoratore”.

 

La distribuzione per età dei dati sull’esposizione a rischi lavorativi, con riferimento alla penultima indagine Eurofound (2012), mostra però che “l’esposizione ai principali fattori di rischio sul lavoro si modifica poco tra i lavoratori di entrambi i generi oltre i 50 anni, e persino tra quelli di età superiore a 60 anni”.

A questo proposito il documento CIIP riporta una tabella con la “proporzione di esposti a fattori fisici per almeno metà del turno di lavoro e medie di esposizione a psicosociali sul lavoro” con riferimento ai lavoratori di età superiore a 40 anni.

 

 

Si indica poi, riguardo ai fattori ergonomici, che “tra i lavoratori di età superiore a 60 anni, rispetto a quelli di età 56-60 anni, si osservano sia tra gli uomini che tra le donne modeste riduzioni della proporzione di esposti a posture dolorose e stancanti, a movimenti ripetitivi degli arti superiori e a movimentazione di carichi pesanti, mentre cresce quella di esposti alla stazione eretta prolungata e, limitatamente alle donne, alla movimentazione di persone. Riguardo ai fattori psicosociali, si rileva una modesta riduzione, pari a circa il 10-15%, del punteggio di esposizione a elevate richieste quantitative, insieme ad un corrispondente aumento della dimensione del controllo sul proprio lavoro (autorità decisionale e utilizzo di abilità tecniche), mentre le richieste emozionali e cognitive non variano tra gli uomini e scendono leggermente tra le donne. Anche le ore medie lavorate per settimana si riducono in maniera modesta, rimanendo comunque elevate tra gli uomini”.

 

Comunque a fronte di cambiamenti relativamente piccoli nell’esposizione ai fattori di rischio occupazionali tra lavoratori di età superiore a 60 anni, “sorge spontanea la domanda se la riduzione della capacità lavorativa attesa in questi lavoratori sia compatibile con la prosecuzione dello svolgimento dell’attività lavorativa”.

Si segnala comunque che la riduzione della capacità lavorativa nei lavoratori anziani “mostra comunque un’ampia variabilità individuale, che è determinata soprattutto dalla presenza di malattie croniche e di limitazioni funzionali ad asse eventualmente associate”. 

 

Nel contributo di Angelo d’Errico – che vi invitiamo a leggere integralmente - si è cercato poi di stimare la proporzione di soggetti affetti da seri problemi di salute nella fascia di età 62-67 anni, quella che “dovrebbe rimanere al lavoro a seguito della riforma”. E sono forniti diversi dati in riferimento ad alcune ricerche italiane ed europee.

 

Ad esempio si indica che “la prevalenza maggiore tra i problemi di salute è relativa all’artrosi, che soprattutto tra gli operai raggiunge percentuali di soggetti affetti molto elevate sia tra gli uomini (26%) che tra le donne (31%)”.  E riguardo al rachide lombare, “in uno studio francese è stato stimato che il 20% di soggetti di entrambi i sessi ed età 55-64 anni riferiva lombalgia per almeno 30 giorni negli ultimi 12 mesi e oltre il 10% era affetto da lombalgia cronica, definita come dolore lombare persistente per più di 90 giorni (Gourmelen et al., 2007)”.

Sulla base delle “prevalenze di patologie croniche e di disturbi funzionali osservati nella popolazione italiana nella fascia di età 62-67 anni”, si stima dunque che “una proporzione di soggetti in un range del 25-30% tra gli uomini e del 35-40% tra le donne abbia una capacità lavorativa ridotta a causa di limitazioni funzionali motorie, di disturbi mentali severi o di alterazioni patologiche dovute a malattie sistemiche”.

 

Si segnala anche che diversi studi hanno dimostrato che la “work ability”, misurabile per mezzo del Work Ability Index (WAI), è “influenzata negativamente dall’età, da alti livelli di richieste fisiche e psicosociali, stili di vita insalubri e scarsa forma fisica (Ilmarinen et al., 1997; Tuomi et al., 1997; van den Berg et al., 2008). Il WAI include le seguenti sette dimensioni di capacità lavorativa autoriferita:

1) valutazione soggettiva della capacità lavorativa rispetto alla massima nel corso della vita,

2) capacità lavorativa soggettiva in relazione alle richieste fisiche e mentali del lavoro,

3) numero di malattie diagnosticate da un medico al momento attuale,

4) grado di limitazioni nell’attività lavorativa dovuta a malattie,

5) numero di giorni di assenza per malattia nell’ultimo anno,

6) problemi di salute percepiti che riducano la probabilità di rimanere al lavoro per due o più anni,

7) grado soggettivo di ottimismo, vitalità e speranza”. 

 

Infine, un ulteriore aspetto preoccupante sottolineato nel documento è la possibilità che il recente aumento dell’età pensionabile “possa forzare i soggetti con bassa capacità lavorativa, che, come abbiamo visto, nei prossimi anni potrebbero costituire una parte rilevante dei lavoratori con più di 60 anni, a continuare a lavorare, soprattutto se in occupazioni caratterizzate da condizioni di lavoro sfavorevoli, come l’elevata esposizione a lavoro fisico intenso e a fattori psicosociali avversi, che possano aumentare la probabilità di un ulteriore peggioramento del loro stato di salute”. 

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

CIIP, “ Aging E-book, il Libro d'argento su invecchiamento e lavoro” (formato PDF, 2.6 MB).

 

 

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Rispondi Autore: giorgio magliulo - likes: 0
26/09/2019 (19:27:09)
in questo caso giustamenteda quello che o letto posso anche condividerlo allora mi chiedo lo stato dove per tutti over 60 che anno ricevuto la letterina che ti dice si licenzia il sottosritto per fine lavoro ora dico cosa devi fare visto l eta e perdere il lavoro significa perdere tutto ma lo stato doveee

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