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L’organizzazione di lavoro e la promozione della salute nelle aziende

L’organizzazione di lavoro e la promozione della salute nelle aziende

La salute e l’equità di salute nel lavoro dovrebbero essere un valore guida per l’organizzazione aziendale. Lo racconta un intervento che si sofferma sul tema delle disuguaglianze e promozione della salute nelle aziende.

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Milano, 6 Dic – Sono sempre di più i convegni, i seminari, i workshop in cui si affrontano i temi delle disuguaglianze di salute, anche con riferimento al mondo del lavoro e alla possibilità di attuare nelle aziende idonei programmi di promozione della salute. Un altro termine che si sta diffondendo, in materia di valutazione delle disuguaglianze, è “Health Equity Audit” (HEA), un processo che serve a identificare quanto equamente servizi e risorse siano distribuiti in relazione ai bisogni di salute e, di conseguenza, a individuare le azioni prioritarie da mettere in campo.

 

Per parlare del tema delle disuguaglianze e della promozione della salute possiamo fare riferimento ad un intervento al workshop “Promuovere la salute contrastando le disuguaglianze” che si è tenuto a Milano il 5 luglio 2017, organizzato dalla Direzione generale Welfare della Regione Lombardia e da Eupolis-Accademia di formazione per il SSL (servizio sociosanitario lombardo).

 

Nell’intervento L’Health Equity Audit e gli sviluppi dell’organizzazione del lavoro”, a cura di Roberto Di Monaco (Università di Torino –Dipartimento di Culture, Politica e Società) e Silvia Pilutti (Prospettive ricerca socio-economica - Torino) viene mostrato il legame tra organizzazione di lavoro e salute. E riguardo alla domanda “perché valutare l’equità dell’impatto sulla salute dell’organizzazione aziendale? Quando non c’è equità? La tesi proposta è che “rafforzare le persone, soprattutto quelle meno dotate di risorse e capacità individuali, dovrebbe e talvolta è sempre più un valore guida e meno un costo”.

 

E riguardo al tema dell’organizzazione lavorativa si indica che “l’innovazione organizzativa corre nelle aziende migliori e richiede scelte sempre più strategiche”.

 

Si segnala che da 15 anni “crescono i modelli High Performance Work Sistems. Dal modello Toyota alle metodologie di eccellenza: leanproduction, sixsigma, WCM ecc”. Si fa in particolare riferimento a:

- “organizzazione del lavoro (gruppi di lavoro, decentramento, delega, ampliamento competenze individuali, autonomia, responsabilità);

- coordinamento del lavoro (meno comando gerarchico, aumento flussi informazioni, anche bottom-up, misurazione delle performance, decentramento decisioni);

- gestione del personale (più competenze trasversali, formazione, incentivazione, anche non monetaria, relazioni industriali cooperative)”.

Vengono sottolineati poi alcuni aspetti e criticità:

- “l’effettiva implementazione nell’impresa è ambigua e parziale: vi sono orientamenti learning-flessibili-smart e orientamenti neotayloristi (a seconda della cultura d’impresa);

- gli effetti sulla performance sono differenti: i primi accrescono innovazione organizzativa e qualità, i secondi solo l’efficienza;

- i primi tendono al coinvolgimento e valorizzazione di tutti”.

E si indica che oggi servono “più spazi per caratterizzare i modelli aziendali: differenziazione del personale, domanda di conciliazione/personalizzazione, decentramento contrattuale, welfare aziendale, lavoro agile, utilizzo di alternanza, apprendistato e formazione”.

 

Veniamo ora al percorso della salute, all’effetto pesante delle disuguaglianze sociali sulla salute. Esiste, infatti, un “ampio potenziale di salute da recuperare, soprattutto nelle aree meni qualificate”.  Ma “non si recupera con interventi individuali” ed è “necessario lavorare sui processi sociali negli ambienti di lavoro”.

 

Cosa c’è dietro le disuguaglianze di salute nel lavoro?

L’intervento indica che sono “mediate dai processi sociali”. E i “meccanismi sociali (esempio cooperazione, fiducia, reputazione, coordinamento, imitazione, ecc.):

- riguardano modi di funzionare del contesto sociale di lavoro;

- sono fondati su interazioni delle persone e influenzano i comportamenti;

- sono alla base del nesso causale che genera l’effetto, il comportamento.

E sono “alla base dei fattori di rischio e stress/logoramento”.

 

Come possono migliorare le cose nel contesto di lavoro? Come è possibile aumentare il controllo sulla salute?

 

Sono almeno 3 i livelli di azione per promuovere salute e ridurre le diseguaglianze:

- la qualità dell’ambiente fisico: “in quali ambienti le persone lavorano?

- la qualità dell’ambiente sociale: a quali regole si ispirano i comportamenti individuali e collettivi? Gli stili di vita? A quale idea di qualità del lavoro ci si riferisce? Quali incentivi, norme e valori sociali orientano verso questa idea?

- il senso dell’esperienza: quale significato viene attribuito individualmente e collettivamente all'esperienza, alla pratica di lavoro? Quali narrazioni esprimono questa esperienza”? 

 

Andando dai bisogni al miglioramento continuo per la salute e la sostenibilità si indica che l’OMS “individua 5 chiavi strategiche per lo sviluppo della promozione della salute nei luoghi di lavoro:

- impegno e coinvolgimento della leadership;

- coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti;

- etica del lavoro e legalità;

- sostenibilità ed integrazione;

- utilizzo di un processo sistematico e globale per efficacia e continuo miglioramento”. 

Insomma le azioni sulla salute “vengono collocate in una strategia aziendale molto ampia”.

 

E, infine, sempre riguardo alla promozione della salute nei luoghi di lavoro e con riferimento al programma Workplace Health Promotion (WHP), questi sono i benefici per l’azienda:

- “programma ben pianificato per la salute e la sicurezza;

- immagine positiva di azienda che si prende cura;

- miglioramento del clima;

- riduzione del turnover;

- riduzione dell’assenteismo;

- aumento della produttività;

- riduzione dei costi di assistenza sanitaria/ assicurazione;

- riduzione del rischio di contenziosi e sanzioni”.

 

E questi sono i benefici per i lavoratori:

- “ambiente di lavoro sano e sicuro;

- rinforzo dell’autostima;

- riduzione dello stress;

- miglioramento del clima;

- aumento della soddisfazione del proprio lavoro;

- aumento delle capacità di tutela della salute;

- miglioramento della salute;

- aumento del benessere”.

 

In conclusione “la salute e l’equità di salute nel lavoro dovrebbero essere un valore guida per l’organizzazione aziendale. Secondo questa ipotesi, i due percorsi convergono. Vi è una forte coerenza di obiettivi, di metodo e sinergie dirette, nell’ambito delle strategie di innovazione e sviluppo organizzativo”.

 

Tuttavia – continua la relazione – “questo è vero solo nelle aziende che scelgono l’innovazione e la qualità, in una prospettiva di lungo periodo. Nella massa delle aziende questo cambiamento rischia di essere troppo lento, incerto, nascosto oppure non condiviso. Per questo le pratiche innovative, le retrostanti teorie e strategie e gli impatti positivi andrebbero studiati, narrati e diffusi”.

 

In questo senso i programmi WHP e le metodologie di Health Equity Audit possono essere “punti d’ingresso importanti nella relazione tra strutture per la promozione della salute e aziende e quindi nella lotta alle disuguaglianze”.

 

 

RTM 

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

L’Health Equity Audit e gli sviluppi dell’organizzazione del lavoro”, a cura di Roberto Di Monaco (Università di Torino –Dipartimento di Culture, Politica e Società) e Silvia Pilutti (Prospettive ricerca socio-economica - Torino), intervento al workshop “Promuovere la salute contrastando le disuguaglianze” (formato PDF, 948 kB).



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