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L’approccio sistemico nella gestione della sicurezza

L’approccio sistemico nella gestione della sicurezza
Massimo Servadio

Autore: Massimo Servadio

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

30/03/2017

Un sistema complesso quale la gestione della sicurezza necessita di una “rete relazionale” adeguata che integri processi aziendali, gestione operativa e soprattutto sostegno e impegno sinergico da parte dei dipendenti e del management. Di M. Servadio.


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Studi INAIL dimostrano che l’innovazione tecnologica non ha avuto il ruolo fondamentale, atteso, nell’abbattimento del fenomeno infortunistico. Nasce, quindi, la necessità di intervenire anche e soprattutto sulla componente “biologica” dell’organizzazione aziendale, attivando nuove strategie di gestione delle risorse umane, ripensando l’azienda come un sistema complesso dove queste agiscono e interagiscono.

 

L’approccio sistemico intende l’impresa come un sistema, ovvero un insieme di componenti / risorse integrate e relazionate per il raggiungimento di un fine comune che è la sopravvivenza. Per componenti si intendono le unità organizzative dove i partecipanti attivi sono le risorse umane e la loro efficacia di relazione (consonanza) e interazione (risonanza) con l’ambiente interno ed esterno rappresenta la discriminante di equilibrio stesso dell’intera struttura. Pertanto “l’organizzazione come sistema è una coalizione di gruppi d’interesse e i suoi fini sono il frutto di un continuo processo di negoziazione che si sviluppa in due direzioni: all’interno dell’organizzazione, fra i suoi membri, all’esterno con l’ambiente” (Scott, 1985).

 

Nell’approccio sistemico, per come è stato teorizzato da Von Bertalanffy (1951), non esiste un ambiente assoluto, ma l’ambiente dipende sempre dall’osservatore: l’organizzazione è un sistema aperto che trova nello scambio con l’esterno la chiave per continuare a mantenere ordine ed equilibrio. Un processo di trasformazione di risorse in entrata (materie prime; denaro; tecnologie; forza lavoro; know how; informazioni) e in uscita (prodotti; posti lavoro; retribuzioni; influenze sul trend; impatto ecologico) che favoriscono opportunità di crescita, apprendimento, adattamento (a un livello di entropia “collaudata”).

 

L’impresa, in definitiva, è:

-un sistema meccanico (una macchina che deve lavorare in dinamiche di efficienza);

-un sistema organico (un organismo che deve vivere in simbiosi con l’ambiente);

-un sistema cibernetico (un meccanismo che opera per obiettivi);

-un sistema cognitivo (un produttore e diffusore di conoscenza)

In questo modello l’infortunio sul lavoro diventa una patologia del sistema, “la cui individuazione non può prescindere dall’analisi dell’intero sistema” (Marocci; Scatolini, 2013).

 

Come correggere un sistema che produce infortuni?

Secondo Cazamian ogni fenomeno va analizzato inserito nel contesto di riferimento; la sicurezza sul lavoro deve quindi essere esaminata in funzione del modo di essere dell’azienda.

Se si considera l’impresa come luogo di conflitto che influenza la sfera più intima delle persone, allora il conflitto diventa, non solo concausa d’infortunio, ma anche indicatore fondamentale da prendere in considerazione per ogni tipo di azione correttiva.

Ma dove nasce il conflitto?

Il conflitto ha origine con l’alienazione del lavoro, sia dal punto di vista conoscitivo sia economico.

L’alienazione conoscitiva proviene dalla divisione sociale del lavoro, finalizzata alla frammentazione del processo per funzioni specializzate. A ciò si aggiunge il secondo tipo di alienazione che riguarda la contrapposizione di interessi fra impresa e lavoratori e, di conseguenza, il consolidamento di valori culturali e affettivi differenti.

In quest’ottica il concetto di sicurezza assume due connotazioni: una soggettiva, individuale (e spesso difficilmente comunicabile) e una oggettiva, visibile e condivisibile. Anche in questo caso l’atteggiamento delle parti sociali coinvolte è completamente differente.

I lavoratori, per traguardare l’obiettivo di raggiungere il target di produttività previsto al minimo dispendio di energie, hanno una soglia di accettazione del rischio che varia in funzione di variabili esogene ed endogene all’organizzazione: visione del mondo; propensione personale al rischio; organizzazione del lavoro; politica degli incentivi; senso di appartenenza; etc.

E’ dunque coerente definire come “probabilistica” la “logica che guida i lavoratori nella tutela della propria salute, basandosi sulla statistica ingenua” secondo la quale “in tanti anni di lavoro non è mai accaduto nulla” (Marocci; Scatolini, 2013).

 

L’impresa, invece, perseguendo lo stesso obiettivo di produttività, non ha interesse a intervenire nei meccanismi di “accettazione del rischio” così standardizzati, consapevole che ogni intervento correttivo comporterebbe un investimento di energie umane, ma soprattutto un investimento di risorse economiche: il classico luogo comune “sicurezza = costo”. Anche in questo caso la logica è probabilistica.

Ne consegue che la logica generale che spinge l’agire all’interno dell’organizzazione, in rapporto alla percezione del rischio, è di tipo probabilistico.

 

Tuttavia, mentre le dinamiche decisionali sono molto simili tra lavoratori e impresa; il modo di interpretare l’incidente che si è verificato è del tutto differente: i lavoratori (e i sindacati) riconducono l’incidente a fattori tecnici legati alla manutenzione dell’impianto; alle metodologie di progettazione; ai ritmi spesso insostenibili di lavoro. Per il management, di contro, l’incidente sul lavoro (e quindi l’infortunio) è da imputare al comportamento del lavoratore e, spesso, rientra nell’ambito dell’agire responsabilmente.

 

Alla luce di tali constatazioni, come suggerisce Cazamian, “l’azione preventiva dovrebbe includere tanto le campagne antinfortunistiche quanto gli interventi sull’ambiente fisico di lavoro”.

 

Affinché questi benefici siano davvero concreti (e per riuscire a ridurre davvero i rischi in azienda) occorre tenere in considerazione una serie di fattori che vanno dal modello organizzativo adottato al livello di preparazione delle persone; dal livello tecnologico e di efficienza degli impianti al grado di motivazione e partecipazione del personale; dal monitoraggio continuo dei processi alla verifica dei risultati e output raggiunti.  Pertanto stabilire una politica della SSL che definisca impegni generali per la prevenzione dei rischi; identifichi tutti i pericoli e valuti i rischi ad essi associati; individui i soggetti potenzialmente esposti; fissi obiettivi “appropriati, raggiungibili e congruenti” (indagine INAIL), quindi elabori programmi di intervento mirati, assegnando tempi, risorse e responsabilità necessari è la prassi virtuosa per integrare la SSL nei processi aziendali e nella gestione operativa.

Solo così l’impresa è in grado di elevarsi a sistema vitale: approccio che concepisce la dinamica evolutiva dell’organizzazione legata alla sua capacità di adattamento, alla sua apertura al mondo, alla sua spinta al miglioramento secondo scelte consapevoli da parte del management.

 

Massimo Servadio

Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni.

 

 



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