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Regole, attività individuale e sicurezza sul lavoro

Regole, attività individuale e sicurezza sul lavoro

Quando si parla di comportamenti ci si riferisce al rispetto delle regole, anche se, spesso, essendo contraddittorie impongono all’individuo di fare una sua valutazione, prendere delle decisioni e agire con conseguenze non sempre positive.

Il comportamento di un individuo, in generale, è la modalità con cui le persone reagiscono a situazioni ambientali differenti o a stimolazioni individuali sia psichiche che fisiche; esso si manifesta a chi lo osserva tramite la postura assunta, i movimenti effettuati, le modalità di utilizzo di un’attrezzatura di lavoro, le modificazioni fisiologiche osservabili (affaticamento, sudore, ecc.) e così via.

 

Osservando un individuo mentre lavora, è importante andare oltre ciò che stiamo vedendo e chiederci come e con quali obiettivi è stata organizzata la sua attività. Quindi diventa essenziale andare ad esplorare anche le variabili cognitive, psichiche e sociali che influiscono sul comportamento che si sta osservando.

 

Come noto agli addetti ai lavori, quando in azienda si parla di comportamenti, ci si riferisce ai comportamenti riguardanti il rispetto delle regole.

 

Le regole, in genere, provengono da diverse fonti:

  • le regole fornite dai superiori e cioè quelle fornite quotidianamente in termini di obiettivi produttivi;
  • le regole formali quali procedure, istruzioni, uso DPC, uso DPI, ecc.;
  • le regole derivanti dal funzionamento delle attrezzature di lavoro e degli impianti;
  • le regole derivanti dal sapere operatorio e cioè quelle apprese con l’esperienza all’interno dell’organizzazione e del gruppo di lavoro.

 

Viste la diversità delle fonti che originano le regole, queste potrebbero rivelarsi parzialmente contraddittorie. Quindi, un individuo che svolge un’attività non si limita a rispettare le regole ma si trova a doversi attenere ad una serie di obblighi che, spesso, non possono essere adempiuti tutti e nello stesso momento. Pertanto, un individuo sarà chiamato a dover fare delle scelte dando priorità ad obblighi che possono essere tra loro contraddittori.

 

L’individuo, in questa situazione, farà una sua valutazione, prenderà delle decisioni, metterà in atto delle azioni e comunicherà con gli altri individui.

Quando un individuo darà un certo tipo di risposta a fronte dei citati obblighi, evidentemente ciò sarà stato frutto di una rapida analisi costi-benefici (quasi sempre a livello inconscio).

Tra i costi, l’individuo avrà preso in considerazione, ad esempio, la fatica psicofisica, il rischio di infortunio, la disapprovazione dei colleghi e/o dei superiori gerarchici, gli adempimenti formali, ecc.

Tra i benefici avrà considerato, ad esempio, la minor fatica psicofisica, la possibilità della dimostrazione delle proprie capacità, il raggiungimento degli obiettivi in minor tempo, il riconoscimento da parte dei colleghi e/o dei superiori gerarchici, il minor rischio d’infortunio, il ritorno economico in termini retributivi per il raggiungimento degli obiettivi, ecc.

Ovviamente, l’analisi costi-benefici varierà da individuo a individuo ma anche in funzione del contesto e senza dimenticare che le scelte che comportano conseguenze certe, immediate e positive sono quelle verso cui si orientano gli individui rispetto quelle che comportano conseguenze incerte, lontane nel tempo e negative.

 

Comunque, nessuno mette in dubbio che tali comportamenti derivanti dall’applicazione delle regole, se effettivamente messi in atto, possano contribuire fattivamente al mantenimento di buoni standard in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

 

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Il problema, però, è che se ci si focalizza solo su di essi, si tralasciano altri comportamenti connessi a ciò che, di propria iniziativa, i lavoratori hanno messo in atto come, ad esempio:

  • l’applicazione parziale ma motivata di una procedura in determinati e ricorrenti momenti produttivi;
  • l’interruzione dell’attività con una attrezzatura o impianto a fronte di segnali che evidenziano una sua perdita di affidabilità;
  • la segnalazione dei rischi;
  • le proposte di miglioramento ad un processo lavorativo;
  • il mantenimento di un alto livello di vigilanza tra tutti i colleghi del gruppo di lavoro;
  • le attività di mentoring e coaching informale verso un collega neoassunto;
  • ecc., ecc.

 

Chi opera all’interno delle aziende e non come visitatore occasionale degli ambienti di lavoro con visione da normotecnoburosauro, è perfettamente conscio che se da una parte esiste una correlazione positiva tra il rispetto dei comportamenti imposti dalle regole e la sicurezza nelle aziende, questa correlazione è nettamente maggiore nelle aziende dove si favoriscono le iniziative spontanee da parte dei lavoratori in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

 

Prima abbiamo parlato di attività ma senza darne una definizione realmente pertinente.

Possiamo definirla come l’impiego del proprio corpo e della propria intelligenza per raggiungere determinati obiettivi in determinate condizioni.

 

Un’attività ha una dimensione visibile e cioè il comportamento e una serie di dimensioni non visibili come, ad esempio, la percezione, la conoscenza, le emozioni, il ragionamento, la motivazione, la presa di decisioni, ecc.

 

L’attività di un individuo, dunque, altro non è che la risposta, in un determinato momento, ad una serie di fattori come, ad esempio:

  • gli obiettivi produttivi, i compiti da svolgere, le regole che li definiscono e come l’individuo li interpreta;
  • le risorse disponibili e l’ambiente, fisico e sociale, in cui è chiamato ad utilizzarle;
  • le condizioni psicofisiche;
  • le conoscenze, le capacità e le competenze acquisite;
  • i valori, gli atteggiamenti e le motivazioni;
  • i valori del gruppo a cui appartiene (reparto, squadra, ecc.);
  • la leadership concretamente esercitata dal management aziendale.

 

Nell’eseguire la sua attività, l’individuo mira a raggiungere gli obiettivi fissati tenendo conto delle variazioni:

  • organizzative, procedurali e tecniche,
  • delle proprie condizioni psicofisiche.

 

Nella realtà, però, accade che gli obiettivi che l’individuo cerca di raggiungere non siano, tra loro, compatibili. Ci possono essere procedure ed istruzioni (regole), emanate da funzioni aziendali diverse, che risultano contraddittorie. In questo caso, l’individuo ed i suoi colleghi, operanti nello stesso gruppo o squadra, dovranno fare una scelta tra le regole da applicare e, combinandole tra loro, dare una risposta che, nella situazione reale, sia quella in grado di fornire il livello di tutela dell’integrità psicofisica atteso.

 

Appare chiaro, a questo punto, che non è possibile pensare che una attività non sia altro che l’applicazione di procedure o istruzioni. Questo perché risulta palese che la risposta fornita non è solo il rispetto della procedura o istruzione ma anche e soprattutto, l’apporto fornito dall’individuo o dal gruppo/squadra per far fronte alla situazione reale.

 

Per completezza va anche detto che l’attività concretamente eseguita dall’individuo e/o dal gruppo/squadra, può essere completamente diversa da quanto indicato nelle procedure ed istruzioni.

 

Quando ciò succede, le motivazioni, in genere, risiedono proprio nelle procedure ed istruzioni in quanto queste:

  • non sono chiare,
  • sono ridondanti,
  • hanno descrizioni sovrabbondanti,
  • non sono aderenti alla situazione temporale in cui devono essere applicate,
  • sono considerevolmente differenti dal saper operatorio sedimentato in azienda,
  • provocano un sovraccarico psico-fisico ritenuto non accettabile;
  • ecc.

 

Purtroppo, l’errore che si commette è quello di pensare che lo scostamento debba essere misurato rispetto le citate regole, considerandolo una non conformità la cui risoluzione consiste nel recuperare l’applicazione delle regole disattese, invece di andare ad analizzare quali siano le reali motivazioni che hanno portato a questa devianza come, ad esempio, le possibili contraddizioni tra i vari fattori prima indicati.

 

Pertanto, il comportamento di un individuo, osservato in un certo contesto e in un certo momento, è il prodotto ultimo di come l’attività è stata strutturata.

 

Di conseguenza, pensare di cambiare il comportamento degli individui senza intervenire su ciò che ha portato ad organizzare l’attività come noi la vediamo, è pura utopia.

Quindi, quello che si dovrebbe fare, quando si osserva un comportamento non adeguato ai fini della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, è comprendere cosa condiziona l’organizzazione dell’attività ed intervenire su quei fattori che l’influenzano.

 

Si tratta, quindi, di abbandonare l’approccio, per certi versi semplicistico, centrato sul comportamento e passare all’approccio centrato sull’attività in modo da individuare quelli che sono i fattori i veri e più profondi del comportamento degli individui che influenzano la tutela della salute della sicurezza sul lavoro.

 

Come detto prima, l’attività svolta da un individuo tende a raggiungere degli obiettivi, tutelando, finché possibile, la propria integrità psicofisica.

 

Ad esempio, ci sono situazioni in cui un individuo può adottare dei modus operandi che soddisfano sia gli obiettivi di performance sia quelli di tutela del proprio stato psicofisico.

 

Quando, invece, ciò non è possibile, l’individuo è costretto ad adottare modalità operative che sono sì performanti ma minano significativamente il suo stato psicofisico in quanto comportano:

  • situazioni di incertezza,
  • difficoltà nella presa di decisioni,
  • sovraccarico mentale,
  • sovraccarico fisico,
  • conflittualità all’interno del gruppo/squadra.

 

La conseguenza, in questo secondo caso, è che il raggiungimento dei risultati fissati non tiene conto dell’impatto che ciò ha provocato sull’individuo sia dal punto di vista fisico che da quello psichico.

Se il metro di valutazione è basato solo sul raggiungimento degli obiettivi, questo secondo aspetto sarà sistematicamente trascurato.

Ciò andrà avanti fino a che, la variazione di alcuni fattori determinanti (contesto, competenze individui, ecc.), produrrà uno scostamento che non renderà più possibile il raggiungimento degli obiettivi fissati.

 

Pertanto, un’organizzazione illuminata, dovrà sempre valutare il raggiungimento di un obiettivo sia per quanto riguarda il risultato, ma anche e soprattutto per quanto riguarda l’impatto psicofisico sugli individui che svolgono le attività.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

Leggi tutti gli articoli dell’Ing. Carmelo Catanoso

 

 



Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Michele Montresor - likes: 0
17/02/2021 (09:16:43)
Ottimo intervento dell’ing. Catanoso che sposta decisamente l’asse del problema dal (semplice) comportamento del lavoratore (front-line direbbe Reason) all’attività che altro non è che un comportamento situato (contestualizzato). Ciò che, mi pare, non tiene in conto il sistema BBS almeno per come l’ho cosciuto 10 anni fa direttamente dal suo massimo esponente italiano l’ing. Fabio Tosolin. L’articolo mette in evidenza quelle numerose situazioni (appunto) ove il potere decisionale del lavoratore (subordinato – gli “art.21” meriterebbero un discorso a parte) è alquanto limitato. Sappiamo bene infatti (ne sono stati stesi fiumi di inchiostro -> Herik Hollagen, Sidney Dekker, Antonio Chialatri, Maurizio Catino, Luca Save, …) che il comportamento del lavoratore altro non è che il risultato di un lungo (e a volte misterioso) processo decisionale di cui l’ultimo attore protagonista ne riceve il copione. Solo l’analisi approfondita (abbasso i semplicismi) dei meccanismi organizzativi che hanno generato talli “distorsioni”, è in grado di “svelare” (rilevare) le criticità che “quel” comportamento hanno generato ovvero favorito ovvero influenzato. Senza nulla togliere alla responsabilità degli operatori a cui l’81 riserva, ex art. 20, precise responsabilità. Situate. Appunto.
Grazie all’ing. per questo interessante contributo. (e spero che l’appellativo “normotecnoburosauro” non fosse dedicato alla mia categoria, anche se sono consapevole che alcuni colleghi sono afflitti da tale patologia – per fortuna curabile – di cui però so essere afflitti molti consulenti privati che pertanto non svolgono un buon servizio alle imprese).
Rispondi Autore: Luigi Pinto - likes: 0
17/02/2021 (10:54:35)
..e se pensassimo la sicurezza come fenomeno sistemico finalizzato a ricercare/misurare non solo ciò che diverge, ma soprattutto ciò che funziona?
Rispondi Autore: Michele Montresor - likes: 0
17/02/2021 (16:01:08)
Vero. Ma come afferma il sostenitore della Safety I e Safety II Ed. Hirelia (Erik Hollnagen - a breve recensione sulla rivista di Ambiente e Lavoro e disponibile on-line) i due approcci non si dovrebbero escludere ma integrare.
Ma sulla Safety II ancora molta strada sarà necessario percorrere per tradurre tale teoria in fatti concreti ed utilizzabile nelle imprese (quelle virtuose).

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