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Il ruolo del datore di lavoro nei modelli di organizzazione e gestione

Il ruolo del datore di lavoro nei modelli di organizzazione e gestione
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

15/03/2013

Il D.Lgs. 81/2008 e il modello di organizzazione e gestione previsto dalla legge 231/2001. Il ruolo del datore di lavoro, l’interesse delle persone giuridiche, l’efficacia esimente e le caratteristiche dei modelli organizzativi.

 
Bergamo, 15 Mar – In questi ultimi decenni l’approccio del Legislatore alla prevenzione degli incidenti è profondamente cambiato sotto la spinta di una moderna strategia di prevenzione di derivazione europea. Strategia che ha portato a nuove direttive europee e a nuovi decreti nazionali con un nuovo modo di operare la prevenzione e di giudicare le responsabilità.
 
In questo senso l’ Ordine degli ingegneri della Provincia di Bergamo, partendo dal presupposto che l’ingegnere può svolgere le funzioni e i ruoli di tutti i soggetti coinvolti nelle attività di prevenzione degli  infortuni, ha ritenuto opportuno organizzare un convegno per fare il punto sulla situazione. Il convegno “La prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro secondo la moderna strategia di derivazione Europea” si è tenuto il 16 novembre 2012 a Bergamo e i materiali/atti del convegno sono stati pubblicati sul sito dell’Ordine.
 
PuntoSicuro si sofferma oggi sull’intervento del Dottor Walter Saresella, Consigliere presso la Corte di Appello di Milano, dal titolo “Il Testo Unico ed il modello di organizzazione e gestione previsto dalla legge 231/2001”.
 
Nel documento agli atti il Dott. Saresella racconta la genesi dei modelli organizzativi riportando uno degli aspetti di criticità del sistema introdotto con il D.Lgs. 626/94: la “codificazione pratica dei ruoli e degli assetti decisionali in relazione alla gestione della normativa in tema di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro”.
In particolare il dibattito ha ruotato intorno al ruolo del datore di lavoro, definito dal D.Lgs. 626/94 come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, aveva la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’ unità produttiva… in quanto dotato di poteri decisionali o di spesa”.
Con questa definizione si sono aperti una serie di “varchi interpretativi che consentivano, e consentono, di individuare come datore di lavoro un soggetto che non stava necessariamente al vertice amministrativo della società: era sufficiente l’individuazione di un soggetto dotato di poteri decisionali e di spesa sufficienti a reggere il ruolo’”. Il datore non doveva più essere necessariamente “l’organo di vertice dell’amministrazione della azienda, ma poteva essere anche un ‘datore di lavoro diffuso’ e, cioè, collocato nei punti strategici vitali dell’organizzazione aziendale complessa senza però essere presente nell’organo amministrativo del vertice sociale”.
Era tuttavia evidente che il vero potere stava altrove e cioè nei vertici societari (“è in questa sede che si individuano e si attuano le strategie aziendali”).
Con tale “abbassamento del ruolo del ‘ datore di lavoro’ e la rivalutazione giurisprudenziale della responsabilizzazione degli organi di vertice dell’azienda (persone fisiche)”, è stato possibile razionalizzare il sistema sanzionatorio “verificando anche ipotesi di forme di responsabilità che coinvolgano anche la società in sé.
Ci si è posti quindi il problema di verificare la possibilità di ritenere ipotesi di responsabilità della società, connessa a comportamenti costituenti reato”.
Problema che “era già stato risolto nel nostro ordinamento quando, con D.Leg. 8 giugno 2001 n. 231, si era posta la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica in relazione ad una serie di reati dolosi (corruzione, concussione, falso in bilancio) a seguito dei quali emerge un utile specifico in capo alla società (ad esempio creazione di fondi neri)”.
 
Il documento, a cui vi rimandiamo per una lettura integrale, riporta diverse parti del decreto 231/2001, ad esempio in relazione alla responsabilità dell’ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.
Successivamente con legge 3 agosto 2007 n. 123 il Legislatore fissa un nuovo punto fermo inserendo nel decreto 231/2001 l’art. 25-septies relativo a “omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro”.
 
Ma se l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio (art 5 legge 231/2001), “quale interesse ha la persona giuridica nella realizzazione di un delitto di lesioni o di omicidio colposi quali sono gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”?
L’interesse non è quello immediatamente connesso al reato, ma sono “i fatti connessi al fatto reato, che lo precedono e ne consentono od agevolano la commissione; si pensi ad esempio alla mancanza di destinazione di risorse al ciclo produttivo eludendo così gli obblighi di legge legati alla sicurezza in senso soggettivo (formazione ed informazione), organizzativo (mancata costituzione dei servizi) ed oggettivo (fattibilità tecnologica): specialmente in relazione a questo terzo aspetto è di tutta evidenza come la mancata destinazione di adeguate risorse al ciclo produttivo, al fine di effettuare le corrette manutenzioni ordinarie e straordinarie, di adeguare le attrezzature ai precetti normativi ed in generale di garantire quanto di meglio la tecnologia consente di fare nei limiti della fattibilità tecnologica concretamente attuabile (cfr tra le altre già Cass. 27.9.1994 n. 10164 e C.Cost. 312/96), può integrare gli estremi di (un malinteso) interesse della società ad indulgere al reato, ponendone le premesse con una consapevolezza ‘a cavallo’ fra l’ipotesi di colpa cosciente e del dolo eventuale”.
 

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In questa prospettiva il Legislatore con l’introduzione del Decreto legislativo 81/2008 (TU) contribuisce “a razionalizzare il rapporto esistente fra normativa antinfortunistica e di igiene e la legge 231/2001”.
Tale norma dispone che vi sono modelli di organizzazione e di gestione idonei ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, modelli che devono essere adottati ed efficacemente attuati, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi a:
- rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
- attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
- attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; - attività di sorveglianza sanitaria;
- attività di informazione e formazione dei lavoratori;
- attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
- acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
- periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.
 
Inoltre il modello organizzativo e gestionale deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell'avvenuta effettuazione delle attività indicate al comma 1. E deve prevedere un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche ed i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. E deve essere previsto un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate.
Il Legislatore prevede inoltre “la presunzione di conformità al modello sopra decritto delle linee guida UNI –Inail, del modello British Standard OHSAS 10001:2007 ovvero dei modelli indicati dalla Commissione Consultiva Permanente in tema di sicurezza ed igiene”.
 
Dunque il presupposto per la creazione di un modello di organizzazione e gestione “adeguato ai fini della tutela della società ai sensi della legge 231/2001 è il rispetto pieno ed esauriente del modello organizzativo in tema di sicurezza sul lavoro”. In questo senso quando il Legislatore pretende l’effettuazione della valutazione dei rischi (art 30 lett b), si deve considerare anche la necessità di predisporre una adeguata organizzazione aziendale sotto il profilo della distribuzione dei poteri mediante un coerente sistema di deleghe”. Il TU prevede che il documento di valutazione dei rischi “debba contenere l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbano provvedere” a cui debbano essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri”.
 
Il modello previsto dall’articolo 30 TU “per essere funzionale e non essere un mero fatto burocratico, deve garantire che il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento sia stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo.
 
Insomma, conclude l’intervento, il Legislatore pretende, “per avere una efficacia esimente della responsabilità della società connessa a fatti costituenti reato, la vigenza di un modello di organizzazione e di gestione adeguato, autonomo e sempre attivo a fronte di ipotizzabili ‘cali di attenzione’ della organizzazione aziendale”.
    
 
 
Il Testo Unico ed il modello di organizzazione e gestione previsto dalla legge 231/2001”, a cura del Dottor Walter Saresella, Consigliere presso la Corte di Appello di Milano, materiale relativo all’intervento al convegno “La prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro secondo la moderna strategia di derivazione Europea” (formato PDF, 51 kB).
 
 
Tiziano Menduto


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