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I cedimenti strutturali nelle piattaforme di lavoro elevabili

Le cause dei cedimenti, le fasi del danneggiamento, le misure di prevenzione e l’evoluzione dei dispositivi di monitoraggio. Un gruppo di lavoro per affrontare il rischio di cedimenti strutturali nell'impiego di PLE.

 
PuntoSicuro ha già presentato il convegno “Regolamentazione dell’uso sicuro di attrezzature di sollevamento potenzialmente pericolose. Attrezzature di lavoro: sorveglianza, controllo, verifiche periodiche. Formazione e addestramento. Stato dell’arte. Requisiti e professionalità dei soggetti coinvolti”. Convegno che si è tenuto il  6 ottobre 2010 alla Convention “ Ambiente Lavoro” di Modena ed è stato organizzato da IPAF Italia (International Powered Access Federation), un’organizzazione che promuove l’uso efficace e sicuro dei mezzi mobili di accesso aereo.
 
In relazione agli atti dell’incontro, pubblicati sul sito di IPAF, nei giorni scorsi abbiamo affrontato il rischio di intrappolamento nelle piattaforme di lavoro elevabili  ( PLE), ora invece ci soffermiamo su un altro rischio.

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Nell’intervento “Cedimenti strutturali nell'impiego di PLE”, a cura del Dott. Ing. Giuliano Bicchi, si segnala che negli ultimi tempi ci sono stati diversi eventi infortunistici gravi dovuti a cedimenti strutturali di piattaforme di lavoro elevabili.
Per comprenderne i motivi e porvi, se possibile, rimedio, è stato creato un gruppo tecnico di lavoro formato da costruttori, organismi notificati ed esperti.
 
Alcuni dei problemi evidenziati:
– “notevole incremento utilizzo PLE;
– aumento annuo di ca. 10.000 unità;
– parco macchine con oltre 20 anni di vita ancora in servizio;
– carente formazione del personale;
– utilizzo improprio o scorretto;
– espansione mercato del noleggio”.
 
In particolare le macchine prodotte dal 1995 al 2006  sono state 27657, mentre dal 1965 al 1994  erano state prodotte solo 8000  macchine.
 
I cedimenti avverrebbero poi per una “sequenza di cambiamenti nella struttura del metallo a livello microscopico che portano ad un danneggiamento localizzato”.
Le cause principali:
– “n° di cicli;
– difetti microscopici superficiali;
– concentrazioni di tensioni”. 
Vediamo quali possono essere le fasi del danneggiamento:
-  “incrudimento plastico del materiale;
-  nucleazione, formazione di fessure microscopiche;
-  propagazione della cricca fino a rottura finale”.
In particolare la velocità di propagazione della cricca, della piccola crepa, va da 0,1 a 0,00001 mm/ciclo  e  il fenomeno è “rilevabile visibilmente/strumentalmente prima della rottura”. Queste le influenze sulla resistenza a fatica della macchina: “corrosione, temperatura, dimensioni, finitura superficiale, tensioni residue”, …
 
Torniamo alle considerazioni causali dei cedimenti:
- “parco macchine con presenza notevole di vecchie macchine con oltre 20 anni di vita;
- formazione del personale non ancora regolamentata;
- utilizzo improprio o scorretto;
-  aumento notevole delle macchine destinate al noleggio”. 
In particolare l’autore ricorda che la UNI EN 280 fa riferimento ad un “n°cicli di carico da 40.000 a 100.000”.
Rimandandovi, per gli aspetti più tecnici alla lettura del documento, vengono anche segnalate:
- la “difficoltà nel conoscere a priori numero e modalità di lavoro della macchina”;
- l’ipotesi che “durante ogni ciclo di lavoro ciascun elemento della macchina raggiunge la massima escursione della sollecitazione”;
- l’ipotesi conservativa che “non in tutti i cicli di lavoro si raggiunge per ogni elemento la configurazione che determina le massime sollecitazioni”;
- la difficoltà a determinare il tipo di servizio e il n° di cicli (in particolare per  PLE incidentate e riparate).
Riguardo alla cricca e al suo avanzamento, “supposto 0.001 mm, per 5 cicli/ora per 40 ore/settimana per 25 settimane (lavoro molto intenso), in 6 mesi di lavoro abbiamo una cricca lunga 5 mm”!
 
Vengono poi evidenziate delle “zone critiche a fatica”:
- “articolazione e rotazione navicella;
-  articolazioni bracci, bielle/forcella;
-  attacchi martinetti e perni;
-  rinforzi locali”.
 E sono proposti degliesempi d’indagine corredati di fotografie e suggerimenti.
Ad esempio si ricorda che la “formazione di ruggine fa supporre fessurazione”:  “se appena accennata, procedere con controlli non distruttivi” e fare un’approfondita pulizia della macchina.
Le eventuali riparazioni devono poi essere “fatte con istruzioni della casa costruttrice”.  Inoltre “rotture a fatica per urti e uso improprio, non sul momento rilevabili, sono impossibili da prevedere in fase di progettazione”.
 
Riguardo alle misure per prevenire cedimenti l’autore segnala:
-   controlli approfonditi del proprietario “con rapporto fotografico allegato al Registro di Controllo;
verifiche periodiche a forte contenuto tecnico da personale abilitato presso officine attrezzate;
-  frequenza delle verifiche in funzione dell’età della PLE;
-  raccolta e divulgazione delle informazioni derivanti dalle verifiche;
-  formazione specifica degli operatori, opportunamente regolamentata”.
 
La norma EN 280 “riporta un esempio che induce a pensare chedopo 10 anni di lavoro pesante la PLE dovrebbe aver terminato la sua vita. Ciò in realtà non accade, né vengono fatte revisioni”. In particolare “le gru, con livello di rischio inferiore, sono calcolate per numero cicli molto maggiore, con ipotesi di vita media di 20 anni”. 
 
Dopo un raccolta di esempi di effetti del sovraccarico (stabilizzatori, attacco stabilizzatori, staffature controtelaio, collegamenti anteriori controtelaio/telaio, controtelaio con traverse estensibili, colonna di rotazione, articolazioni, attacchi catene o funi rinvio, gruppi sostegno navicella, …) si affronta il tema dell’evoluzione dei dispositivi di monitoraggio.
 
Le norme tecniche tendono ad ottenere: “identificazione dei limiti di utilizzo, azioni da intraprendere dopo un dato periodo, considerazione delle effettive condizioni di utilizzo, determinazione costante della vita residua”.
 
Alcune delle indicazioni relative a questa evoluzione del monitoraggio:
-  “il costruttore deve classificare la macchina in una determinata “CATEGORIA”, come avviene per le gru mobili”;
- presenza di dispositivi e meccanismi diversi ciascuno con adeguata categoria;
- considerare l’insieme di questi e definire la categoria generale;
- calcolo (stimato) dello ‘Spettro di Carico’ = ?(Qs/Qmax) nell’unità di tempo;
- determinazione del ‘Regime di Carico’ (da leggero a molto pesante);
- determinazione, in funzione della Categoria, della ‘Condizione d’impiego’, cui si associa il max n° di cicli e/o ore operative ‘D’;
 - calcolo della ‘Vita Residua’ tramite dispositivi in grado di elaborare le modalità operative della macchina, conteggiarle e confrontarle con il valore ‘D’ preimpostato dal costruttore;
- registrazione dell’avvenuta manutenzione tramite ‘firma elettronica’”.
 
Cosa fare dunque in attesa di provvedimenti da parte degli enti normatori (UNI,CEN)? L’autore risponde che “premessa la ‘visibilità’ dei danni da fatica nelle PLE”, è necessario attivare “una procedura che preveda:
-  esecuzione di controlli approfonditi secondo indicazioni dei costruttori, con rapporto da allegare al Registro di Controllo;
verifiche periodiche a forte contenuto tecnico presso officine specializzate autorizzate;
-  creazione di database nazionale (INAIL?) degli incidenti avvenuti”.
 
L’intervento si conclude con una proposta del gruppo di lavoro: “emissione di una circolare dei Ministeri competenti per ispezione (triennale?) delle PLE da parte di officine autorizzate dal costruttore”.
 
 
 
 

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