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Buone prassi per l’invecchiamento in sanità: l’ergonomia partecipativa

Buone prassi per l’invecchiamento in sanità: l’ergonomia partecipativa

Indicazioni e buone prassi per affrontare il tema dell’invecchiamento della forza lavoro in sanità.  L’approccio olistico della medicina del lavoro, l’adattamento del lavoro all’uomo e l’ergonomia partecipativa.

 

Roma, 25 Giu – Riguardo al tema dell’invecchiamento della forza lavoro è ormai evidente che molti lavori “che un tempo erano svolti solo da giovani sono oggi affidati a lavoratori anziani”. E in Italia, come ricordato anche in altri articoli del nostro giornale, il problema dell’invecchiamento è particolarmente acuto nelle attività sanitarie che, “per il fatto di essere rivolte a persone bisognose di assistenza e malate, comportano l’inevitabile esposizione occupazionale a rischi chimici, biologici, fisici e psicosociali e devono essere svolte per tutto l’arco delle 24 ore in ogni giorno della settimana”.


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A ricordarlo è una relazione che si è tenuta all’evento di chiusura in Italia (Roma, 7 novembre 2017) della campagna europea 2016/2017 “ Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età” e che ha fatto conoscere alcune buone pratiche per affrontare le problematiche connesse all’ invecchiamento della forza lavoro.

 

L’invecchiamento in sanità e l’approccio olistico

Nell’intervento “Le Buone Pratiche”, curato dall’ ASL Roma 4 e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma (la medicina del lavoro dell’Università coordina da 20 anni la sorveglianza sanitaria dei lavoratori della ASL), ci si sofferma sul problema acuto dell’invecchiamento in sanità ricordando che:

  • occorre evitare “che l’esposizione a rischi extra-lavorativi e l’adozione di errati stili di vita compromettano le condizioni fisiche e psicologiche dei lavoratori;
  • un lavoratore della sanità malato non è in grado di assistere i pazienti”.

La promozione della salute in sanità “non è quindi una opzione, ma un obbligo”.

 

Il lavoratore – continua l’intervento – “deve essere in ogni momento sano, in grado cioè di controllare efficacemente il proprio ambiente di lavoro”. E la medicina del lavoro “deve adottare un approccio olistico che consenta di monitorare al tempo stesso l’esposizione a rischi occupazionali e non occupazionali”.

Inoltre la promozione della salute che nasce dal luogo di lavoro “deve estendersi fuori di esso, negli stili di vita e nei comportamenti salutogenici che ciascun lavoratore adotta e mantiene”.

 

Riguardo poi all’ invecchiamento della popolazione sanitaria, è necessario trovare un migliore adattamento del lavoro all’uomo.  Ed è importante:

  • “Individuare gli interventi ergonomici che possono favorire l’inserimento dei lavoratori anziani nei luoghi di lavoro e consentire la loro permanenza in servizio attivo;
  • Identificare i rischi occupazionali e non-occupazionali e predisporre soluzioni tagliate a misura per ogni singolo lavoratore, in una ottica di collaborazione di ogni unità lavorativa al raggiungimento degli obiettivi produttivi che sono, in sanità, connessi con la salute del paziente”. 

 

I gruppi di ergonomia partecipativa

La relazione si sofferma su un particolare protocollo ergonomico e segnala che il concetto di base che consente l’applicazione di tale protocollo è “basato sul modello A.S.I.A.© (assessment, surveillance, information/implementation, audit), cioè in una stretta integrazione dei diversi momenti di valutazione, monitoraggio, informazione, implementazione e verifica”.

 

Si indica che il processo ergonomico prevede un protocollo in quattro fasi:

  1. “Identificazione delle richieste fisiche, fisiologiche e psicologiche del lavoro (assessment);
  2. Valutazione delle capacità fisiche, fisiologiche e psicologiche del lavoratore (surveillance);
  3. Identificazione delle discrepanze sul piano fisico, fisiologico e psicosociale tra richieste e risorse, e riduzione e controllo delle discrepanze mediante applicazione di strumenti, macchine e modelli di organizzazione del lavoro e mediante formazione e informazione dei lavoratori (information/implementation);
  4. verifica della validità delle soluzioni proposte, della loro applicazione, e dei diversi momenti di valutazione, sorveglianza, formazione che compongono il ciclo (audit)”. 

 

La metodologia più vantaggiosa per l'elaborazione delle proposte di miglioramento e adattamento del lavoro è poi l'ergonomia partecipativa:

  • “i gruppi di ergonomia partecipativa (GEP©) sono costituiti da un insieme di lavoratori che concorrono allo svolgimento di un preciso compito lavorativo;
  • alla riunione partecipano il medico competente, il responsabile o un addetto del servizio di prevenzione, un responsabile dei servizi infermieristici ed uno della direzione sanitaria; queste figure non hanno un ruolo attivo nel gruppo, ma forniscono pareri tecnici se richiesti;
  • il metodo della riunione prevede che i lavoratori descrivano sinteticamente il lavoro prodotto dal proprio gruppo; identifichino una o più attività o condizioni critiche e passino quindi a valutare approfonditamente queste attività”. 

 

Nei gruppi di ergonomia partecipativa gli stessi lavoratori “sono invitati a cercare e discutere le possibili soluzioni del problema e a scegliere quella che ha le caratteristiche di maggiore semplicità, economia, applicabilità. La soluzione elaborata dal gruppo viene quindi formalizzata e proposta perché sia vagliata e, se ritenuta valida, applicata”.

E dunque il lavoro dei GEP© ha “sia una funzione diagnostica (perché consente di evidenziare quali gruppi hanno maggiori difficoltà a produrre soluzioni condivise) che una terapeutica (perché aumenta la capacità di collaborazione all’interno del gruppo)”.

 

I risultati del protocollo ergonomico

La relazione riporta alcune indicazioni sui risultati dell’applicazione del protocollo ergonomico descritto:

  • “Le metodiche di ergonomia partecipativa aumentano significativamente il work engagement, il coinvolgimento nella propria attività, che è una grandezza associata con il benessere lavorativo, e la soddisfazione tratta dal lavoro;
  • Mediante la metodologia partecipativa sono stati realizzati sia interventi ergonomici sul posto di lavoro e sull’organizzazione di lavoro (prevenzione primaria), sia modificazioni dei compiti individuali da svolgere all’interno del gruppo di lavoro, in corrispondenza di patologie i cui effetti sono riconosciuti e verificati oltre che dal medico anche dai colleghi di lavoro (prevenzione secondaria);
  • I casi di rilevanza clinica identificati dal medico competente in sede di visita periodica sono regolarmente avviati al servizio sanitario nazionale (prevenzione terziaria) e si tende a stabilire un regolare contatto con i curanti, al fine di favorire il recupero e reinserimento del lavoratore;
  • Nei casi in cui la condizione morbosa produca una significativa disabilità, il percorso di recupero del lavoratore è discusso (previo suo consenso) all’interno dei GEP©, così da essere concordato con i colleghi di lavoro oltre che con i dirigenti e preposti (disability management)”. 

 

In definitiva l’ergonomia partecipativa “consente di ridisegnare il luogo di lavoro così che esso sia a misura d’uomo. L’applicazione di questa strategia ha consentito (e consentirà in futuro, l’intervento è continuo) di modificare gradualmente e costantemente i luoghi di produzione e l’organizzazione del lavoro così da adattarli alle mutate caratteristiche della forza-lavoro”.

 

Rimandando alla lettura integrale delle slide relative all’intervento, che riportano anche altri effetti del protocollo, ad esempio la riduzione dei livelli dello stress lavoro-correlato percepito dai lavoratori, ci soffermiamo, in conclusione, sui fattori di successo di questa buona pratica:

  1. “Il passaggio dalla logica di tutela individuale a quella di tutela collettiva per i lavoratori;
  2. L’estensione dell’approccio laboristico (mirante alla prevenzione dei rischi che promanano dal lavoro) a favore di un approccio olistico (ricerca di tutti i fattori di rischio di malattie croniche) da parte del medico competente;
  3. L’abbandono della medicina del lavoro difensiva (Defensive occupational medicine), basata su limitazioni dell’idoneità lavorativa, a favore di una medicina della salute attiva (Pro-active occupational health), che promuove la salute d’intesa con i lavoratori”. 

 

E se i costi “consistono esclusivamente nel tempo impiegato dal medico competente, dal servizio di prevenzione e dai lavoratori ai fini della realizzazione dei GEP©”, i “benefici dei lavoratori, dell’azienda sanitaria e degli utenti/pazienti, che godono della migliore qualità delle cure prestate da uno staff sano e motivato, sono notevoli e facilmente misurabili”.

    

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Le Buone Pratiche”, intervento su buone prassi a cura dell’ASL Roma 4 e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, presentato all’evento di chiusura della campagna europea “Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età” (formato PDF, 328 kB).



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Rispondi Autore: Eliseo Giaconi - likes: 0
25/06/2018 (10:18:30)
con l'allungamento della vita i lavoratori sono destinati ineluttabilmente a lavorare più a lungo. Andrebbero ripensate alcune politiche del lavoro dato che alcune attività non possono essere più svolte ad una certa età. Benvengano quindi queste innovazioni a tutela di tutti dato che un lavoratore anziano potrebbe essere fonte di pericolo non solo per se stesso...

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