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Le piccole imprese e i costi degli adempimenti burocratici

Le piccole imprese e i costi degli adempimenti burocratici
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Normativa

06/05/2014

Un intervento si sofferma sul tema della semplificazione della normativa sulla sicurezza, dei costi diretti e indiretti degli adempimenti burocratici, delle attività a basso rischio infortunistico e delle soluzioni individuate da Confcommercio.

 
Roma, 6 Mag – Abbiamo presentato su PuntoSicuro l’ intervento di Lorenzo Fantini, ex dirigente del Ministero del lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, al convegno che si è tenuto il 5 febbraio 2014 “Salute e Sicurezza nel Decreto del Fare. Novità e prossimi sviluppi”, un convegno organizzato dall’Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro ( AiFOS) e la  Confcommercio con la collaborazione di Unione Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza.

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Se in occasione del convegno Fantini si è soffermato a lungo sul tema della semplificazione della normativa sulla sicurezza, ricordando che “la sicurezza va fatta da un punto di vista sostanziale e non da un punto di vista formale”, sul tema si è soffermato anche un secondo relatore: Pierpaolo Masciocchi, Responsabile nazionale Sicurezza della Confcommercio.
 
Nel suo intervento il Pierpaolo Masciocchi ha ricordato che se un eccesso di semplificazione può diminuire “le corrette tutele che giustamente l’impresa deve fornire”, bisogna partire dalla premessa che le imprese in Italia si trovano ad avere a che fare con un contesto normativo di riferimento complesso”. E il problema della complessità della normativa prevenzionale è un problema che si pone soprattutto nei confronti delle piccole imprese.
 
Infatti, come indicato anche nelle slide correlate all’intervento, ancora oggi “l’articolazione adempimentale prevista dal D.Lgs 81/08 è cadenzata in relazione alla numerosità dei lavoratori presenti in azienda e non, invece, alla rischiosità specifica dell’attività economica”.
Sono riportati tre esempi:
- uno studio professionale con due soci;
- un esercizio commerciale di semplice vendita al dettaglio con un solo dipendente;
- un ufficio con 100 dipendenti che lavorano alla scrivania”.
E in tutti e tre questi casi “gli adempimenti generali di sicurezza saranno gli stessi di un’industria manifatturiera”.
 
Posto che la vigente normativa sulla sicurezza sul lavoro è “interamente applicabile ogniqualvolta vi sia un datore di lavoro, pubblico o privato, e almeno un lavoratore”, “il datore di lavoro che si avvalga anche di un solo lavoratore, pur non esercitando attività pericolose, dovrà assolvere a tutti gli adempimenti generali di sicurezza cui è sottoposta una grande industria”.
E questa importazione del Testo Unico genera, secondo il relatore, problematiche anche in termini “di minore competitività e quindi di costi”.
 
Riprendendo in particolare alcuni dati pubblicati dall’Ocse, si può stimare “che per i vari adempimenti burocratici in materia di sicurezza sul lavoro mediamente ciascuna impresa sostiene un costo annuale che varia dal 5 al 20 per cento del proprio bilancio, corrispondente a circa l’8% del costo del lavoro per il personale dipendente”.
 
Sul tema dei costi degli adempimenti burocratici è intervenuto anche un recente studio condotto da Confcommercio che ha evidenziato come una impresa con 10 dipendenti spenda “mediamente 9.800 euro in adempimenti burocratici di sicurezza, di cui:
- 2.000 € per l’adeguamento strutturale;
- 5.000 € per l’adeguamento gestionale;
- 1.200 € per la manutenzione annuale per gli aspetti gestionali;
- 1.600 € per la manutenzione annuale di macchine e strutture”.
E a questo devono aggiungersi altri costi indiretti tra cui:
- “le spese legali per far fronte ad eventuali controversie con le autorità pubbliche deputate ai controlli;
- le giornate/uomo di lavoro perse per l’assolvimento ai vari adempimenti burocratici;
- le eventuali consulenze esterne”.
L’impatto di questi costi è poi “inversamente proporzionale alla dimensione dell’impresa. Perché è chiaro che una grande impresa li internalizza i costi. Una piccola impresa, evidentemente, ha più difficoltà a gestirli”.
E vi sono anche costi che in realtà non sono funzionali all’adeguamento dell’impresa a standard elevati di sicurezza, “che ovviamente sarebbero non dei costi, ma un investimento, un sano investimento”.
 
La soluzione, secondo Confcommercio, sta nel “riorientare e riorganizzare i livelli generali di tutela, associando a ciascuna attività economica specifici standards di sicurezza graduati in relazione al rischio infortunistico peculiare di quell’attività”.
E torniamo in questo modo a parlare del Decreto del Fare che “aveva introdotto, nella sua originaria formulazione, una norma (Art. 32, comma 1, lett. b) che prevedeva una semplificazione del processo di valutazione dei rischi per quelle imprese rientranti nei settori di attività a basso rischio infortunistico, proprio in ragione della constatata limitata pericolosità delle attività svolte. Pur essendo stata fortemente limitata in fase di conversione in legge, la portata di questa innovazione è comunque degna di nota. Per la prima volta nel nostro Paese si riconosce il principio di dover graduare i livelli di tutela in relazione alle specificità delle singole aziende - e quindi alla pericolosità delle attività esercitate - piuttosto che al numero di dipendenti impiegati”.
Il relatore segnala che la norma che prevede questa tipologia di semplificazioni “non è una norma immediatamente precettiva e quindi necessita per la sua attuazione di un Decreto che deve andare ad individuare i settori a basso rischio infortunistico”. Si sofferma poi sui lavori di di preparazione del decreto e sui criteri individuati nelle prime bozze che sono, secondo ConfCommercio, “particolarmente restrittivi nell’individuazione delle attività a basso rischio”.
 
Rimandandovi alla lettura diretta delle slide e dell’intervento testuale del Dott. Masciocchi, ci soffermiamo brevemente sulla seconda parte del suo intervento dedicato ad un progetto della Confcommercio.
 
La Confederazione ha infatti “avviato un progetto per consentire alle imprese di assolvere, con semplicità e sicurezza, alle nuove procedure standardizzate previste per le aziende fino a 10 lavoratori. L’iniziativa si tradotta nella predisposizione di una piattaforma integrata di strumenti e azioni di supporto e di assistenza al sistema associativo, che si fonda su due diverse linee di intervento:
- semplificare e, se vogliamo, standardizzare, l’attività di valutazione dei rischi per le imprese appartenenti ai settori rappresentati;
- orientare il legislatore e gli organi di controllo verso comportamenti adeguati e coerenti con la rischiosità specifica delle singole attività economiche”.
È stato dunque costituito un Gruppo di lavoro interassociativo che ha elaborato sulla falsariga della modulistica allegata alle procedure standardizzate una guida all’applicazione delle nuove procedure, delle schede analitiche contenenti i principali profili di rischio nei settori del terziario di mercato e un software - «ProVisio» - che permette la compilazione “guidata” e assistita delle procedure.
In particolare ProVisio, per ciascuna attività economica presa in considerazione:
- “evidenzia tutte le fasi e le sotto-fasi lavorative;
- associa a ciascuna fase i rischi e i pericoli tipici;
- indica tutte le misure tipiche di prevenzione e tutela;
- genera, in automatico, il documento standardizzato di valutazione dei rischi”. 
 
Dopo aver parlato delle attività del 2014 per implementare e aggiornare la piattaforma di servizio, l’intervento si sofferma anche su un secondo asse del progetto Confederale che si propone di costruire le basi per una validazione dei profili di rischio messi a punto dalla Confederazione “al fine di uniformare i comportamenti degli enti di controllo”.
 
Infatti si indica che “il difficile funzionamento della normativa della sicurezza sul lavoro in Italia è dipeso in larga misura anche da alcune pesanti disfunzioni dell’apparato di controllo amministrativo. Lo strutturale sottodimensionamento organizzativo e finanziario delle amministrazioni competenti, la notevole frammentazione delle competenze e una difficile ripartizione delle funzioni tra lo Stato e gli Enti competenti nei controlli hanno creato, fino ad oggi, un contesto di riferimento per le imprese quanto mai incerto e disomogeneo”.
 
Allo stato attuale – continua il relatore - la vigilanza sull’osservanza delle norme del decreto “è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché per il settore minerario, dal Ministero dello sviluppo economico, e, per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali, dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano. Esistono poi le competenze del personale ispettivo del Ministero del Lavoro, dell’Inail, delle Autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, degli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali”.
 
In conclusione l’obiettivo è proprio quello di “favorire il coordinamento e l’uniformazione dei comportamenti degli organi di controllo in sede di verifiche ispettive”. E lo strumento per arrivarci è quello di “giungere alla validazione/riconoscimento, eventualmente anche sotto forma di buone prassi, dei profili di rischio definiti dalla Confederazione” relativamente ai settori rappresentati.
 
 
 
 
 
Le slide dell’intervento di Pierpaolo Masciocchi, Responsabile nazionale Sicurezza della Confcommercio (formato PDF, 1.06 MB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 
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