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Salute e sicurezza sul lavoro di fronte alla globalizzazione

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Sanità e servizi sociali

25/10/2011

Elementi di riflessione sul ruolo della globalizzazione nella sanità pubblica con particolare riferimento alla salute e sicurezza sul lavoro. Gli obiettivi di un programma di lavoro su salute e sicurezza dei lavoratori anche nei contesti poveri.

 
Bologna, 25 Ott – Nell’ambito della manifestazione “Ambiente Lavoro”, il 4 maggio 2011 si è tenuto a Bologna un seminario dal titolo “Globalizzazione e salute” organizzato dalla Società Nazionale Operatori della Prevenzione (SNOP), una giornata di riflessione sul ruolo della globalizzazione nella sanità pubblica.
Infatti la globalizzazione rappresenta un ambito di riferimento fondamentale per la sanità pubblica: “il cortile di casa si è allargato oltre il vicino orizzonte e ciò che accade dall’altra parte del mondo influisce direttamente sulla nostra vita”.
 
In relazione a questo seminario presentiamo “ Globalizzazione e salute”, un documento di riflessione e proposta di iniziativa SNOP, su cui si è richiesto il contributo delle altre società scientifiche di sanità pubblica (SItI, Aie, Isde, SIMeVep, Simlii).


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Il documento affronta molti temi. Dalla necessità di allargare gli orizzonti professionali verso un obiettivo di salute globale alle crisi alimentari e alle disuguaglianze sempre più evidenti. Dalle malattie collegate ai cambiamenti climatici, alla relazione tra ambiente domestico e salute. Ad esempio nel documento si indica che la “crescente accelerazione dei processi di globalizzazione sta rapidamente mutando il mondo” e tali processi “stanno modificando i confini e gli orizzonti della pratica professionale degli operatori della prevenzione e sanità pubblica”. In questo senso la “globalizzazione delle comunicazioni, della finanza e dell'economia, il numero crescente di lavoratori migranti, la stretta interdipendenza tra Paesi per la produzione e l'utilizzo delle fonti energetiche, le crisi globali dell'acqua e dei prodotti alimentari, i cambiamenti climatici sono solo alcuni esempi di un mondo in cui gli stati nazione e i confini nazionali non sono più criteri idonei a definire comunità omogenee con caratteristiche definite”. E se la salute è ben lungi dall'essere globale, serve oggi un paradigma completamente nuovo per abbattere le esistenti barriere alla salute globale.
 
Rimandando ad una lettura del documento in relazione ai vari temi trattati, ci soffermiamo  sul capitolo dedicato alla “salute e sicurezza dei lavoratori di fronte alla globalizzazione”.
 
Questi i quattro assi su cui si può leggere il processo di globalizzazione degli ultimi anni che valgono fortemente anche in materia di sicurezza e salute dei lavoratori:
- “il cambiamento delle regole economiche, non solo con la scomparsa di molte delle tradizionali barriere doganali e di alcuni ‘muri’ tra aree separate e contrapposte del mondo, ma anche con la creazione di nuovi organismi regolatori (in primo luogo la Banca Mondiale e il WTO, altri dagli Stati nazionali e dalle Organizzazioni sovranazionali degli Stati) e di vincoli nuovi e fortissimi (ad esempio, il NAFTA, il GATT, il TLC);
- l’impressionante accelerazione della circolazione globale delle informazioni (in ampia parte tramite la diffusione di Internet);
- l’impressionante accelerazione della diffusione globale delle merci ( macchinari, materie prime, know-how …) e la scarsa prevedibilità (almeno con gli strumenti conoscitivi tradizionali) della direzione e dei tempi dei loro movimenti;
- l’accelerazione della circolazione delle persone, su numeri forse meno importanti di quanto non sia avvenuto in altri periodi storici ma che comunque mobilizza molti degli equilibri consolidati del passato anche recente (come per le merci, vi è scarsa prevedibilità della direzione e dei tempi di tali flussi)”.
 
Riguardo all’Italia solo da una decina di anni è consueto constatare che i lavoratori “sono, sempre di più, lavoratori non-Italiani, che questo sconvolge i modelli classici di formazione e comunicazione, che anche questo modifica il profilo epidemiologico degli infortuni lavorativi e delle malattie professionali”. Senza dimenticare inoltre che:
- “l’Italia ha esportato una buona parte di molte delle sue produzioni ‘critiche’, tanto sotto il profilo della salute e della sicurezza occupazionale quanto dal punto di vista ambientale, ad esempio siderurgia, chimica di base, conciario e tessile”;
- “alcuni rischi rientrano in Italia tramite proprio il commercio globale di materie prime, semilavorati ed anche prodotti finiti”.
 
Se le radici dei problemi “si trovano spesso in uno o più Paesi diversi da quello/i in cui esplodono, se persone, informazioni e cose si muovono massivamente e in modo almeno apparentemente caotico”, una strategia “ampia” per la promozione della salute e della sicurezza dei lavoratori assume una dimensione trans-nazionale, quanto meno su altri quattro assi:
- “la spinta allo sviluppo di regole internazionali o quanto meno internazionalmente coordinate e condivise che vadano oltre le mere enunciazioni di principio e stabiliscano criteri per l’individuazione e la valutazione dei rischi (fino ad affermare concretamente che un dato agente vada abolito”) e definiscano le “responsabilità per governarli prevedendo organizzazioni d’impresa (‘sistemi di gestione’ ma anche altro), reti di relazioni che comprendano una consultazione reale dei lavoratori, sistemi pubblici di controllo (quelli privati si definiscono già largamente per conto proprio);
- la promozione di un ruolo attivo dei lavoratori, anche tramite il rafforzamento (o la costituzione, dove non c’è nulla) delle loro organizzazioni sindacali e delle loro rappresentanze di comparto, di distretto e aziendali;
- il contrasto alla povertà, quale presupposto indispensabile all’esistenza e al rispetto dei diritti dei lavoratori anche in tema di salute e sicurezza;
- la cooperazione inter-nazionale che diviene, in igiene e sicurezza del lavoro, non solo uno strumento operativo ma un modo pressoché ineludibile di acquisire e condividere informazioni (anche tramite la ricerca di base e applicata in medicina del lavoro, in epidemiologia e in igiene industriale), conoscere a fondo (anche tramite la diffusione di protocolli e report di interventi di risk assessment e bonifica), ragionare, stabilire rapporti, definire obiettivi”.
 
Dopo aver fatto menzione degli “strumenti utili per raggiungere gli obiettivi di progetti di cooperazione che mirino a promuovere la salute e la sicurezza” dei paesi più poveri (ricordando, ad esempio che agenti, come il quarzo e l’amianto, che l’Europa considera “del passato”, sono un rischio significativo attuale ancora in buona parte del mondo),  il documento raccoglie alcuni possibili obiettivi di un programma di lavoro su salute e sicurezza dei lavoratori di fronte alla globalizzazione anche nei contesti ‘poveri’:
- “sensibilizzazione e motivazione dei lavoratori, dei loro sindacati, delle istituzioni e delle aziende per affrontare in modo efficace i problemi di salute e sicurezza occupazionale e ambientale;
- formazione in igiene industriale e ambientale, medicina del lavoro, epidemiologia occupazionale e ambientale, in loco;
- formazione specifica alla conduzione di interviste anamnestiche strutturate mediante questionari strutturati in loco;
- progettazione e conduzione di campagne di igiene industriale e ambientale a impatto economico contenuto per la determinazione delle esposizioni maggiormente significative e la valutazione dei rischi, con focus sui comparti tradizionalmente meno conosciuti e meno controllati: agricoltura; estrazione, trasporto e lavorazione del petrolio; estrazione e lavorazione dell’amianto; costruzioni; industrie manifatturiere a bassa composizione organica di capitale come quella delle confezioni tessili e delle calzature (non escluse quelle più o meno strutturate sul modello latino-americano delle maquilladoras o comunque situate in ‘zone franche’ non solo dal punto di vista delle tassazioni statali, ma anche della vigenza di contratti e regole di garanzia) e con approfondimenti mirati su alcune lavorazioni particolari dei contesti ‘poveri’ (ad esempio la demolizione di navi e rotabili ferroviari dismessi e il recupero di materie prime seconde dalle discariche);
- progettazione e conduzione di interventi di bonifica industriale e ambientale a impatto economico contenuto e limitato impatto tecnologico;
- sviluppo di una produzione editoriale tecnico-scientifica e di una manualistica divulgativa (ma non per questo semplicistica) ad impiego diffuso sui rischi occupazionali e ambientali, sui sistemi di sorveglianza sanitaria degli esposti ed ex-esposti, sullo sviluppo di indagini di epidemiologia occupazionale e ambientale mirata alle esigenze specifiche di Paesi ‘a basso reddito’ e contesti poveri in genere;
- sviluppo di sistemi informativi utilizzabili in loco, evitando la costruzione di iniziative parallele e non comunicanti (‘a canne d’organo’);
- sviluppo di interventi adattati alle esigenze locali per la comunicazione del rischio occupazionale e ambientale e per la promozione di comportamenti adeguati, con particolare attenzione per la protezione della prole anche prima della nascita;
- evoluzione della percezione dei rischi occupazionali e ambientali e del senso della responsabilità d’impresa per le aziende, soprattutto se in qualche modo vincolate ad accordi internazionali con gli organismi certificatori della qualità, le Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori, alla valutazione delle organizzazioni dei consumatori”.
 
Riguardo al tema della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro il documento si conclude chiedendosi se un programma del genere sia così radicalmente diverso da quello che può risultare utile anche per i lavoratori stranieri in Italia. O sia “così radicalmente diverso da ciò che occorre per i lavoratori italiani più disagiati dal punto di vista della provenienza geografica (molte aree del Sud, ma non solo), del basso livello di scolarizzazione, della insufficiente se non assente tutela sindacale e della parte pubblica”.
 
Ad esempio riguardo alla malattie professionali dei lavoratori nati fuori dall’Italia, si devono comprendere almeno alcune “cose essenziali:
- “si parla di lavoratori che spesso si portano dietro esperienza di lavoro pesanti nei Paesi d’origine, ma molti di loro sono ormai in Italia da una decina d’anni o più, e in questo Paese spesso hanno accumulato un ulteriore carico di esposizioni rilevanti;
- si può immaginare che tra di loro siano diffuse le patologie da sovraccarico biomeccanico cronico degli arti e del rachide, ma anche le patologie respiratorie e cutanee non dovrebbero essere eccezionali, così come i tumori professionali;
- oltre ai tradizionali fattori di rischio fisico, chimico e biologico vanno considerati quelli organizzativi e relazionali: lo stress lavoro-correlato non può che essere potenziato dalle motivazioni stesse dell’emigrazione (povertà, disoccupazione, guerre, situazioni persecutorie di qualsiasi natura) e dalle conseguenze dirette e indirette dello sradicamento, dello spaesamento, della difficoltà di inserirsi in un territorio in cui si parla una lingua diversa e diverse sono le abitudini di vita e di lavoro”.
 
  
Snop, “ Globalizzazione e salute”, documento di riflessione e proposta di iniziativa SNOP, su cui si è richiesto il contributo delle altre società scientifiche di sanità pubblica, presentato al convegno “Globalizzazione e salute” (formato PDF, 132 kB).
 
 


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