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Alcolismo e tossicodipendenza nei luoghi di lavoro

Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Industria alimentare

07/04/2009

Alcol e droga potrebbero essere responsabili del 47% degli infortuni di lavoro. Un approfondimento sulla normativa italiana, le criticità e le opportunità offerte in merito alla prevenzione e alla diffusione di gruppi di auto-aiuto.

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Sul Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia di gennaio/marzo 2008 è apparso un approfondimento che affronta il problema dell’alcolismo e della tossicodipendenza nei luoghi di lavoro affrontando le criticità della normativa italiana e le opportunità che si possono trarre dal nuovo quadro normativo
 

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Stiamo parlando di “Alcolismo e tossicodipendenza in ambiente lavorativo”, scritto da G.Vittadini (U.O. Riabilitazione Alcologica, Fondazione “S. Maugeri”, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia) e A. Lanfranco (Scuola di Specializzazione in Medicina del lavoro, Università degli Studi di Pavia).
 
Questo documento ricorda che l’alcolismo e la tossicodipendenza “costituiscono da sempre un problema importante ma poco conosciuto e considerato in ambito lavorativo”, benché tali comportamenti rappresentino “una delle principali cause di infortunio professionale” e siano responsabili “dell’emarginazione di numerosi soggetti dal mondo del lavoro”.
Riguardo ai dati sul consumo di sostanze psicotrope, il documento ricorda che una delle fonti più attendibili, il National Household on Drug Abuse, “calcola in circa l’8% l’uso di droghe illecite ed in circa il 4,5% l’abuso alcolico nei cittadini americani di età compresa fra i 18 ed i 65 anni, ovvero nella popolazione lavorativa”.
È dunque evidente come questo consumo si ripercuota anche nell’ambito lavorativo.
 
In Italia alcune norme di legge, come il DPR 309/90 e la Legge Quadro 125/2001, con i successivi decreti attuativi, “hanno affrontato la questione, evidenziandone l’estrema complessità, tanto che permangono, ancora oggi, diversi nodi da sciogliere dal punto di vista organizzativo e medico-legale”.
Nel marzo 2006 veniva pubblicato il provvedimento di individuazione delle attività lavorative per cui era fatto divieto di utilizzo di bevande alcoliche e nell’ottobre 2007 l’elenco delle attività lavorative che ricadevano sotto la potestà del DPR n. 309, “facendo carico, in entrambi i casi, della sorveglianza i Medici Competenti (quindi le aziende) in prima istanza e, in seconda battuta, i Servizi di Medicina del Lavoro ed i SER.D delle varie ASL”.
Rispetto a questi elenchi e seguendo quanto indicato in passato dal lavoro di Chiaravalli e coll. (“Alcol e lavoro: un commento etico-deontologico-giuridico della recente normativa”,  Med Lav 2007), è possibile affermare che:
- “non è chiaro da cosa derivi la decisione di effettuare controlli solo su alcune categorie e non su altre”;
- “poco o nulla i riferimenti legislativi esplicitano in termini di procedure, tempistiche e modalità di esecuzione degli accertamenti, nonché sui criteri di valutazione dei medesimi con la conseguente formulazione di un giudizio di idoneità o non idoneità alla mansione”;
- “poco o nulla viene detto sul comportamento da tenere di fronte ad un rifiuto del lavoratore a sottoporsi ai test”.
 
Il documento continua ricordando che “negli ultimi decenni l’attenzione della Medicina e della Psicologia del Lavoro si è progressivamente incentrata sul rapporto tra attività professionale e vita privata del lavoratore, prendendo inevitabilmente in considerazione il problema dell’abuso di sostanze psicoattive”.
Ad esempio nei Paesi anglosassoni sono stati avviati “programmi di assistenza ai lavoratori a tutto campo, gli EAPs (Employee Assistance Programs), nell’ambito dei quali uno dei servizi preminenti è costituito dal supporto a soggetti alcolisti e tossicodipendenti”.
 
Tornando tuttavia all’Italia, la normativa nazionale, malgrado le “complicazioni sia di tipo organizzativo sia di tipo legale”, dovrebbe portare alcuni benefici innegabili ma modesti.
Il più immediato e non meno importante sarà quello di “costringere lavoratori, datori di lavoro, medici e psicologi del lavoro ad ammettere che il problema esiste e non è marginale”.
Non dimentichiamo, tra l’altro, che l’uso di sostanze psicoattive “è, probabilmente, uno dei maggiori responsabili” degli infortuni sul lavoro.
Anzi secondo alcuni studi alcol e droga sarebbero responsabili addirittura del 47% degli infortuni (Bernstein M, Mahoney J., “Management perspectives on alcoholism. The employer’s stake in alcoholism treatment”, Occup Med 1989).
In questa situazione dalle indicazioni normative si potrebbe “ottenere molto di più, a patto che si parta da alcuni presupposti”.
Presupposto principale è la constatazione che la nostra società è una società con “tendenze all’iperconsumo”, al “soddisfacimento immediato anche dei desideri più banali, dietro il quale non si scorge nessun giudizio critico, elaborazione simbolica, significato”.
È una società tossicofilica, una società in cui è in corso un dibattito in merito all’uso di alcuni farmaci “per migliorare, almeno per un certo lasso di tempo, la memoria e la concentrazione anche di individui sani”. Miglioramento che alcuni “sostengono trattarsi di una nuova forma di doping, mentre altri ritengono non solo ammissibile ma addirittura auspicabile”.
Insomma “ci si trova a combattere la droga in modo meccanico, con i test biochimici, in una realtà (quella lavorativa) che basa la sua filosofia di vita” su un comportamento “drogato”.
 
Le restrizioni ed i controlli indicate dalla legge aprono tuttavia la via a due grandi opportunità: l’uso di una prevenzione mirata e la diffusione dei gruppi di auto-mutuo aiuto.
Insomma, conclude l’intervento, “l’onesto ma contorto e, a volte, contraddittorio labirinto delle nuove normative potrebbe forse diventare l’opportunità per un più interessante ripensamento di un problema antico ma sempre più attuale”.
 
Ricordiamo infine che recentemente la Regione Lombardia ha diramato le prime "indicazioni operative in ordine all’applicazione delle procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi", secondo quanto  definito nel Provvedimento 30 ottobre 2007 e nell’Accordo Stato-Regioni-Provincie autonome 18 settembre 2008.
 
  
 
Alcolismo e tossicodipendenza in ambiente lavorativo”, G.Vittadini (U.O. Riabilitazione Alcologica, Fondazione “S. Maugeri”, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia) e A. Lanfranco (Scuola di Specializzazione in Medicina del lavoro, Università degli Studi di Pavia), sul Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, VOLUME XXX - N. 1/Suppl.A – Psicologia, A39-A43 (formato PDF, 76 kB).
  
 
Tiziano Menduto


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