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Le vere cause degli infortuni: i costi dei gravi incidenti industriali

Le vere cause degli infortuni: i costi dei gravi incidenti industriali
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Industria

18/09/2018

Un documento riflette sulle vere cause degli infortuni che sono sempre organizzative. Focus sulla presentazione dei gravi incidenti industriali e dei costi connessi con particolare riferimento al settore petrolifero ed energetico.

  

È evidente che per estinguere un fenomeno negativo, è necessario comprenderne la natura. E questo vale anche per i tanti infortuni e malattie professionali a cui sono esposti i lavoratori e le lavoratrici nel mondo del lavoro.  Solo conoscendo e affrontando le vere cause degli infortuni di lavoro, si possono poi adottare azioni e misure efficaci per prevenirli.


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Le vere cause degli infortuni

Nella convinzione che sia necessario analizzare e riflettere sulle cause degli incidenti, pubblichiamo il documento “Le vere cause degli incidenti”, realizzato da Renato D’Avenia (HSE Manager e Consulente Tecnico d’Ufficio e Perito presso il Tribunale di Milano). Un documento che segnala nell’introduzione come “siano diverse le cause normalmente investigate nelle organizzazioni rispetto a quanto evidenziato dalla comunità scientifica”.

Si indica che “l’errore in termini di banale e imperscrutabile violazione o, peggio, il comportamento abnorme di un lavoratore come causa radice di un evento non è più sostenibile con le conoscenze attuali. La chimera del non meglio precisato fattore umano dovrebbe andare in pensione per sempre per dare spazio all’analisi delle vere cause degli incidentali che sono sempre organizzative (D’Avenia, 2018). È da molto tempo ormai che si conosce l’incidente organizzativo (Reason, 1997) e nel documento di D’Avenia si mostra “quanto gli studiosi abbiano studiato il fenomeno, spostando le cause da meri problemi tecnici/violazioni a cause organizzative assai profonde”.

 

Nel documento, che presenteremo in diversi articoli, ci si sofferma in particolare sugli incidenti industriali perché “di questi si hanno dati abbastanza strutturati a livello internazionale. Inoltre, pur volendo fare ragionamenti sulle statistiche Inail, le cause evidenziate dalle statistiche riconducono, appunto alla componente violenta, la quale nulla ci dice sulla complessità dei fattori che concorrono nella dinamica di un evento”.

In definitiva il contributo vuole avere “il senso di una riflessione rivolta a tutti gli operatori del settore”, perché “tutti insieme qualcosa si può cambiare”.

 

Gli incidenti industriali

Il documento indica che “un incidente industriale è caratterizzato da una componente tecnologica di base, ovvero gli effetti, talvolta devastanti, sono il risultato di uno o più eventi tecnici che danno luogo all’effetto visibile (incendio, rilascio di gas nocivi, esplosione etc.)”. Ed “esistono diverse banche dati che raccolgono gli accadimenti degli ultimi decenni”. Infatti “l'importanza di una banca dati integrata sugli incidenti industriali, in special modo nel settore chimico, è da tempo riconosciuta in tutto il mondo. Questi database possono essere utili per la definizione di politiche e il processo decisionale da parte dei normatori nazionali e internazionali, società finanziarie e assicurative, le industrie e la popolazione. Esse sono anche utili alla condivisione delle conoscenze al fine di fare fronte alle emergenze generate dagli incidenti”.

 

Nel documento, che riporta ulteriori dettagli sulla necessità di informazioni sugli incidenti, è presente una tabella che elenca le principali banche dati, i periodi di riferimento nonché la copertura territoriale.

 

Nome del Data  Base[1]

Agenzia

Periodo di riferimento

Numero di incidenti

Area geografica

MARS

MAHB

Dal 1980 ad oggi

450

EU-OECD

FACTS

TNO

Dalla fine del 1970

24000

Worldwide

MHIDAS

HSE

Dal 1964 ad oggi

11000

Worldwide

ERNS

EPA

Dal 1987 ad oggi

275000

USA

RISCAD

AIST & JST

1949–2006

4796

Giappone

RMP*Info

EPA

Dal 1990 ad oggi

15430

USA

IRIS

NRC

Dal 1990 ad oggi

605400

USA

 

Tabella 1 Banche dati internazionali sugli incidenti industriali

 

I gravi incidenti industriali e i costi connessi

La gestione strutturata di Salute, Sicurezza e Ambiente nelle organizzazioni aziendali “ha origine dalle ricadute di mercato seguite da alcuni incidenti gravi occorsi. In particolare, si fa riferimento ad incidenti quali quello di Bhopal avvenuto in India e quello di Seveso entrambi occorsi negli anni ‘80. Tali scenari sono denominati in vario modo dalla letteratura, Major Accident, Major Incident, Incidenti Rilevanti etc. La caratteristica comune è che essi hanno la potenzialità di procurare fatalità multiple e danni significativi all’ambiente come pure agli asset (Ogp, 2008). È importante studiare gli incidenti rilevanti ed è altrettanto significativo considerare in modo integrato i vari aspetti (Salute, Sicurezza, Ambiente e Business) in una logica di Loss Control (Bird, 2003). Questi eventi hanno un impatto reale su scala globale”.

 

Si indica poi che “storicamente, il settore petrolifero ed energetico in generale, pagano il prezzo più alto in termini di vite umane, di danni agli impianti ed all’ambiente a seguito di incidenti”. E il documento fa un approfondimento su questi settori che offrono i dati più ricchi in termini quali-quantitativi.

L’Health and Safety Executive (HSE) (1993) “ha effettuato uno studio sui costi degli incidenti analizzando un ampio campione di industrie compresi cantieri di costruzione, caseifici, compagnie di trasporto, piattaforme per la ricerca e la produzione di petrolio nel Mare del Nord ed ospedali del National Health Service (figura 1)”.

 

Costi non assicurati

 Figura 1 Rapporto costi assicurati/costi non assicurati (HSE, 1993)

 

“Per ogni $1 di spese assicurate per infortunio, salute e danni alla proprietà sono stati spesi da $13 a 58 non assicurati. Lo studio indica che le spese vere per gli incidenti sono molto più alte di quanto la maggior parte dei manager immaginano. Controllando questi incidenti e mancati incidenti che provocano perdite costose come infortuni, danni, perdite di processo, ecc., o che hanno il potenziale di farlo, un'organizzazione può migliorare i propri margini operativi.

Il messaggio è piuttosto chiaro: gli incidenti sono molto costosi in termini di sofferenza umana, pena ed angoscia, ecc., ma anche in termini economici”.

 

L’autore, che riporta molti ulteriori dati sugli incidenti nel settore petrolifero dal 1972 al 2009, indica che, sempre in termini di costi, “Sovacool (2008) pubblica un’analisi preliminare dei costi, e non solo economici, degli incidenti rilevanti occorsi nel settore energetico nel periodo compreso dall’Agosto del 1907 all’Agosto del 2007. Così come per gli infortuni sul lavoro, i dati che riguardano gli incidenti rilevanti, non sono raccolti in modo omogeneo nei vari Stati, per questa ragione gli autori fissano dei paletti per la pubblicazione dei risultati. In questo caso i dati riguardano il settore petrolifero l’idroelettrico, la produzione di gas naturale, il nucleare e le energie rinnovabili per tutte le fasi di produzione (estrazione, raffinazione, pipeline etc.). Un altro filtro riguarda l’entità delle perdite. Si considerano solo gli eventi che hanno procurato almeno un decesso o un danno alla proprietà quantificabile in 50.000 dollari”.

 

Nonostante tutti i criteri selezionati, “lo studio presentato mostra dati sottostimati sotto il profilo del numero degli eventi e della magnitudo delle conseguenze per diverse ragioni (Sovacool, 2008)”.

 

Rimandiamo alla lettura dei vari criteri adottati nell’analisi e segnaliamo che lo studio “evidenzia 279 incidenti rilevanti occorsi tra il 1907 e il 2007. I costi totali in termini di danni alla proprietà e di vite umane sono stati rispettivamente di 41 Miliardi di dollari e 181.156 decessi. Questi incidenti hanno tre caratteristiche in comune: la natura delle fatalità, la significatività dei danni e la frequenza con cui sono accaduti”.

 

 

Osservando la figura 2 – continua il documento – “salta all’occhio il dato sul settore idroelettrico. Un solo evento ha procurato la morte di 171.000 persone di cui 26.000 decedute subito e 145.000 nei mesi a seguire a causa delle ferite riportate, le malattie e le carestie. In 24 ore cadde l’equivalente di un anno di pioggia nei pressi delle di Shimantan e di Banqiao. L’evento atmosferico anomalo ha procurato il cedimento di 60 Dighe riversando a valle 1670 Milioni di tonnellate d’acqua in 5 ore. Un’onda larga 10 Km e alta tra i 3 e i 7 metri che ha spazzato via un’area larga 15 Km e lunga 55. Gli atri decessi sono comunque distribuiti in un numero abbastanza limitato di eventi, Chernobyl (4067 morti) è uno di quelli (dati sotto stimati), un altro riguarda l’oleodotto denominato “Piper Alpha” in Nigeria (1078 morti). Vi sono poi altri eventi che fanno capo al settore energetico, quali quello nucleare denominato “Three Mile Island”, il caso della Exxon Valdez, il disastro BP di Texas City, tutti citati nel lavoro di Sovacool”. Eventi di cui l’autore tornerà a parlare più avanti nel documento perché “le cause organizzative di questi, come altri altrettanto eclatanti, sono predominanti e meritevoli di estrema attenzione”.

 

La figura 3 mostra poi come gli incidenti nucleari “pesino sul totale dei costi il 41% dei danni materiali. Di contro l’industria del carbone del petrolio e del carbone coprono la quasi totalità degli eventi ma pagano un prezzo minore in termini di decessi e di costi per singolo evento

 

 

Tecnologia

Numero incidenti

% del totale

Gas naturale

91

33

Petrolifero

71

25

Nucleare

63

23

Carbone

51

18

Idroelettrico

3

1

 

Tabella 3 Numero incidenti per settore industriale 1907-2007, (Sovacool, 2008)

 

I dati esposti dimostrano dunque che “gli incidenti che riguardano il settore energetico hanno un costo complessivo per la Società di gran rilievo. Naturalmente ci si è limitati a fare ‘soltanto’ il calcolo di costi crudi e nulla si può dire circa la comparabilità dei rischi industriali con i rischi cosiddetti ‘normali’, quelli relativi alla normale attività lavorativa e quelli relativi al tempo libero in generale. I rischi occupazionali sono noti, ovvero gli effetti di questi sono massivamente prevedibili, come lo sono in buona parte quelli che riguardano il sociale più in generale (es. guida in stato di ubriachezza, le malattie cardiovascolari etc.). Alcolisti, carpentieri, soldati, gigolos, giocano parte attiva nel loro comportamento rischioso. Tutti invece potremmo essere costretti a subire i rischi di una fusione nucleare, un’esplosione di una nube di vapore gassosa e/o di un inquinamento da idrocarburi nelle acque. Gli effetti globali degli incidenti rilevanti si possono al più stimare e quelli associati agli eventi atmosferici eccezionali li possiamo forse solo immaginare sulla scorta delle esperienze passate”.

 

Concludiamo la presentazione della prima parte del documento rimandando alla lettura integrale del documento che riporta ulteriori dettagli e che continua la sua riflessione rispondendo a due domande:

  • Quali sono le cause radice di questi disastri?
  • Quali sono gli strumenti a disposizione per prevenirne gli accadimenti e predisporre adeguate risposte?

 

L’indice del documento:

 

INTRODUZIONE       

1        GLI INCIDENTI INDUSTRIALI        

2        I GRAVI INCIDENTI INDUSTRIALI E I COSTI CONNESSI

        

3        LA RICERCA DELLE CAUSE DEGLI INCIDENTI     

3.1     Evoluzione delle indagini sugli incidenti

3.2     Le cause comuni degli incidenti

3.2.1   I dati del settore petrolchimico

3.2.2   I dati della chimica di processo

3.2.3   Una sintesi europea su tutti i settori

3.2.4   Alcuni gravi incidenti della storia recente

3.2.5   Incidenti da fallimenti delle componenti Cognitive e delle Non-Technical Skill 

 

CONCLUSIONI         

BIBLIOGRAFIA        

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Le vere cause degli incidenti”, a cura di Renato D’Avenia - HSE Manager e Consulente Tecnico d’Ufficio e Perito presso il Tribunale di Milano (formato PDF, 641 kB). 



[1] Abbreviazioni:  Emergency Response Notification System (ERNS); Environmental Protection Agency (EPA); European Union (EU); Health and Safety Executive (HSE) United Kingdom; Incident Reporting Information System (IRIS); Japan Science and Technology Agency (JST); Major Accident Reporting System (MARS); Major Accidents Hazard Bureau (MAHB); Major Hazard Incident Data Service (MHIDAS); National Institute of Advanced Industrial Science and Technology (AIST); National Response Center (NRC); Netherlands Organization for Applied Scientific Research (TNO); Organization for Economic Co-operation and Development (OECD); Relational Information System for Chemical Accidents Database (RISCAD); Risk Management Plan Info (RMP*Info);



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Rispondi Autore: Sergio Misuri - likes: 0
18/09/2018 (12:17:24)
Buongiorno. Mi sembrano eccessive sia l'affermazione che "le vere cause degli incidenti sono sempre organizzative" sia quella che "la chimera del non meglio precisato fattore umano dovrebbe andare in pensione".
Gli esempi che vengono illustrati si limitano a grandi disastri. Ma la gran parte degli infortuni sul lavoro (mortali, gravi e meno gravi) afferiscono allo svolgimento di operazioni quotidiano e all'interfaccia con attrezzature (marcate CE), per le quali sono state adempiute tutte le prescrizioni di legge. Quindi, sicuramente è un problema di concause come origine degli incidenti, tra cui il fattore organizzativo è importante tanto quanto il fattore umano "comportamentale". Abbiamo presente il modello "formaggio svizzero" e anche le sentenze della Magistratura, di condanna (giusta) verso le carenze organizzative che non impediscono le imprudenze e le distrazioni dei Lavoratori? . Conclusione, ritengo che ogni posizione radicale sia fuorviante e in contrasto con la realtà e possono essere sostanzialmente dannose e contrarie alla ricerca delle soluzioni, che dovrebbero muoversi sia nella direzione "organizzativa", ma anche /e forse soprattutto) nella direzione del fattore umano (comportamentale).
Rispondi Autore: Renato D'Avenia - likes: 0
18/09/2018 (16:54:50)
Grazie del suo commento. A proposito del formaggio svizzero potrà leggere un mio articolo sul n. 2 di ambiente & Sicurezza. In quanto al fattore comportamentale, se allude ai comportamenti cosiddetti "abnormi" la giurisprudenza non traccia sentenze di rilievo a condanna di lavoratori.
Comunque grazie ancora del suo contributo. Le diverse vedute alimentano l'attenzione verso i problemi.

In ultimo però, devo eccepire che io ho pubblicato studi scientifici e non mie opinioni personali. Io non sono nessuno per poter avere "posizioni".
Renato D'Avenia
Rispondi Autore: MICHELE MONTRESOR - likes: 0
23/09/2018 (16:22:38)
Buongiorno a tutti i lettori. Ringrazio dell’articolo messo a disposizione da PuntoSicuro per intero e l’Autore Renato D'Avenia per il suo eccellente contributo. Si sente ancora troppo spesso parlare di cause uniche per eventi che, anche nella loro apparente semplicità, semplici non sono; quasi mai. Tempo fa ho scritto in un articolo, polemicamente, che dal mio punto di vista il 100% delle cause risiedono nei comportamenti umani. E che diamine!! S’è mai vista una fabbrica, un ufficio postale, un ospedale, un centro commerciale o una fonderia funzionare da sole?? Operatori e Management sono uomini e donne. Sono loro che sbagliano; mica le macchine. E se le macchine o gli impianti non funzionano o funzionano male, dietro c’è sempre un progettista, un costruttore, un manutentore, un addetto (ma anche uno che decide sugli investimenti…). Tutte persone in carne ed ossa. Quindi il 100%. Ma come ho anticipato, di polemica si trattava. Per tentare di far riflettere i lettori che gli “operatori di prima linea” (Reason docet) altro non sono che la “punte dall’iceberg” e che è sempre necessario andare in profondità nella ricerca delle cause e concause di un evento dannoso. Sovente gli “operatori di prima linea” subiscono gli effetti di decisioni prese da altri. Senza nulla togliere alle loro responsabilità laddove la “catena di comando” ha agito correttamente; cioè le fette di formaggio svizzero di Reasoniana memoria antecedenti all’ultima difesa prima dell’incidente/infortunio, si presentano senza buchi. Infatti anche per i lavoratori sussistono, nell’81, molti precetti che ne stimolano l’azione proattiva per la propria ed altrui sicurezza. Su questo tema metterò, grazie ad AiNTS (Associazione italiana Non Technical Skills) un contributo (video in animazione 3D) che fa sintesi di molti concetti espressi nell’articolo di D’Avenia e Misuri. Con la speranza che la comunità dei preventori condividi l’approccio di Reason
Rispondi Autore: MICHELE MONTRESOR - likes: 0
23/09/2018 (16:23:26)
II° parte
Mi associo anche al contributo di Misuri ad esclusione della conclusione “ma anche /e forse soprattutto) nella direzione del fattore umano (comportamentale)” che tradisce quanto da lui stesso affermato (e che invece condivido); cioè di evitare approcci da lui definiti “radicali”. Nel momento stesso in cui assumo una “direzione” di osservazione di un fenomeno (evento infortunistico o incidente che sia) si modifica immediatamente l’esito della valutazione che si sta conducendo. Il prof. Maurizio Catino (eccellente il suo contributo - lo trovate sul web - sulla tragedia della Costa Concordia: ANALISI PRELIMINARE SUI FATTORI UMANI E ORGANIZZATIVI DEL DISASTRO DELLA NAVE COSTA CONCORDIA. Report in progress aprile 2012) affermava nel suo libro “Da Chernobyl a Linate. Incidenti tecnologici o errori organizzativi?”, “la “finalità” dell’indagine orienta l’indagine”. E ricordo (anche a me stesso) che la finalità principale di un’indagine è di aggiungere conoscenza sulle cause che ne ha permesso la manifestazione per trovare le soluzioni più adeguate finalizzate alla prevenzione; anche se postuma è comunque necessaria e permette, se adeguatamente diffusa, la riduzione del fenomeno infortunistico in altri luoghi, in altri tempi. Ciò richiama tutti coloro che per mestiere fanno (anche) indagini di infortunio (o di incidente) al massimo equilibrio e discernimento possibile ben sapendo i limiti del pensiero umano: se li conosci li eviti! Per lavoro mi capita spesso di “entrare” nelle organizzazioni per indagare su cause e concause di un evento infortunistico. Nulla di più difficile per chiunque, da “esterno” ad un sistema complesso (tutte le organizzazioni hanno una “loro” complessità), si trovi a valutare, nel breve tempo concesso dalla “propria” organizzazione, pesi e contrappesi che hanno determinato/favorito o comunque non evitato l’evento. Liberare la mente da ogni preconcetto, non farsi influenzare da ciò che “appare” sulla superficie è certamente un esercizio di equilibrio che si impara con gli anni…. E forse non si acquisisce mai alla perfezione. Ma si fa del proprio meglio.
Ogni organizzazione è diversa dalle altre, ogni individuo è diverso e poi si cambia nel tempo. Esplorare i piani organizzativi, quelli tecnico-strutturali e quelli cognitivo-comportamentali afferisce a “saperi” molto diversi tra loro e nessuno di questi piani va mai tralasciato a scapito o favore di altri. Per quanto l’evento possa sembrare banale. Si rischia di prendere delle sonore cantonate e le organizzazioni (lavoratori e management) rischiano di pagarne le conseguenze. Chi conduce indagini dovrebbe comportarsi come un pompiere davanti ad un palazzo in fiamme: non deve trascurare nessun “piano”, guardare in ogni direzione, “scavare” in ogni anfratto e, se necessario, spostare travi e suppellettili per “guardare dietro”. Solo così può assolvere con accuratezza la propria mission e salvare vite. Forse i tecnici della prevenzione non sono pompieri, ma possono, senza dubbio, contribuire a salvar vite.
Diceva Mahatma Gandhi: “La verità è una sola ma ha molte facce come un diamante”. Solo quando saremo in grado di osservare tutte le facce dell’evento che stiamo osservando (o quantomeno la maggior parte, ovvero più rilevanti/significative), allora potremo dire di avere raggiunto una conoscenza accettabile delle cause che lo hanno determinato. Viceversa il nostro approccio sarà, se “inquinato” da elementi ideologici, limitato ed inutile. Ciò non significa far finta che il proprio background culturale (che determina il “filtro” di osservazione della realtà) non esista, ma è necessario conoscerlo e dichiararlo; e nei casi più complessi, avvalersi di più professionalità. L’interdisciplinarietà favorisce una “visione d’insieme” più adeguata e, com’è ovvio, più completa. I tuttologi sono “banditi” (in entrambi i sensi).
Michele Montresor Tecnico della Prevenzione dell’ATS Val Padana.
Rispondi Autore: Renato D'Avenia - likes: 0
24/09/2018 (09:53:30)
Veramente grazie del contributo, bisogna parlarne di queste cose. Ne va della vita dei nostri lavoratori.
Visto che ne ha fatto menzione, Catino ha scritto un bel titolo "Miopia Organizzativa" e molti altri, in primis Reason, Flin e così via.
In quanto ai tuttologi condivido a pieno l'affermazione con un'ulteriore, scontata riflessione.
Il mondo è assai cambiato e gli operatori del settore devono per forza tenerne conto, stando lontani da cose che non sanno. Più in particolare sto registrando che ci sono persone che non hanno nella propria storia curriculare alcuna nozione di psicologia cognitiva, sociale e quant'altro e si spendono come esperti in materia di comportamento. I modelli investigativi di tipo psicosociale non si concludono con le tabelle delle cause annesse.
sono i modelli causali che forniscono un contributo per un'accurata investigazione e ci vuole un approccio fortemente interdisciplinare.

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