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Termini revisionali INAIL sono fissati dalla scienza medica: verità o fake news?

Termini revisionali INAIL sono fissati dalla scienza medica: verità o fake news?

Autore: Adriano Ossicini

Categoria: Medico competente

19/11/2019

La tempistica della revisione Inail basata, si dice, sulla possibile evoluzione di un processo clinico -alla luce delle cangianti interpretazioni della norma - tradisce, denegandolo, il principio del nesso causale che ne è alla base.

Riassunto

L’autore ritorna sulla tematica della tempistica delle revisioni Inail per evidenziare, ancora una volta con un esempio concreto, la distanza oramai abissale che vi è tra la disciplina medico legale, che basa  le variazione di uno status in  un lasso  di tempo quantificabile, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, dovuto al nesso causale che dovrebbe incondizionatamente legarne  l’evoluzione tra un prima ed un dopo,  e la disciplina giuridica – norma attuativa - che invece alla fine nella materiale applicazione risulta del tutto sganciata da tale procedura clinica oggettiva, collegandola a delle interpretazioni, che di fatto tradiscono  la naturale e possibile evoluzione clinica di una situazione.

  

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Sulla tematica dei termini revisionali in campo assicurativo Inail,  numerosi sono stati, negli ultimi  dieci lustri,  gli interventi, le pubblicazioni ed i commenti sulla fattibilità, eseguibilità e percorribilità di tale fattispecie, neanche lo scrivente si è sottratto  ad una disamina accurata, meticolosa  e puntale della suddetta disciplina con diversi contributi,  siamo però costretti a tornarci sopra in quanto una applicazione letterale della norma, come evidenzieremo,  dimostra ancora una volta, ove necessario, la distanza che c’è tra la disciplina medico legale, che basa  le variazione di uno status in  lasso  di tempo quantificabile, almeno nella stragrande maggioranza delle volte, per un innegabile nesso casuale che dovrebbe incondizionatamente legarne  l’evoluzione,  e la disciplina giuridica – norma attuativa - che invece alla fine appare nella concreta applicazione risulta del tutto sganciata da tale procedura clinica oggettiva, legandola, invece a delle interpretazioni, peraltro  cangianti nel tempo,  di una applicazione più o meno letterale della norma che invece poi tradisce di fatto la naturale e possibile evoluzione clinica.

 

Nel 2010 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.46/2010 si tornò sulla tematica della revisione in quanto con detta sentenza, la Corte, invece di dichiarare l’illegittimità costituzionale dei limiti della revisione legati ad una evoluzione dalla decorrenza della rendita e non dalla cessazione del rischio, con interventi [1] in cui si prendeva ferma posizione.

 

Nel 2011 si era cercato di fare una ricostruzione storica dell’evoluzione con una pubblicazione sulla Rivista Infortuni Inail -dal significativo titolo Istituto della revisione Inail: 75 anni di storia ed interpretazioni”[2] e si concludeva  in maniera,  poi rilevatesi profetica, che da una parte Alla luce quindi delle numerose e diverse sentenze dalla Cassazione degli ultimi lustri, sia sull’art. 80, che sull’art. 83, che sull’art. 112 sembra che a distanza di settantacinque anni finalmente si sia arrivato ad un punto in cui tutto è stato interpretato....” ma dall’altra  non escludevamo che ulteriori novità non potevano verificarsi, visto le posizioni interpretative cangianti nel tempo della giurisprudenza.

 

Le novità, nei successivi quasi due lustri,  ci sono state e di rilevo, tanto da costringerci ad altre pubblicazione nel triennio 2014-2016, e nell’ultima del 2016 [3] dal titolo “I tempi revisionali seguono le indicazioni della scienza medico-legale basate su rilievi sanitari e statistici come sempre affermato dalla Corte Costituzionale o sono solo il frutto di applicazione letterale della norma?” [4] in maniera esplicita affermavamo che, contrariamente a quanto asserita da sempre dalla Corte Costituzionale - n.80/1971, n.358/1991 -e che il termine revisionale era  “...fissato sulla base dell'esperienza sanitaria secondo cui, in genere, nell'indicato periodo massimo di tempo i postumi dell'infortunio si assestano in senso immodificabile, e quindi su esclusive basi di carattere scientifico.... secondo cui, nella grande maggioranza dei casi, entro il decennio dalla costituzione della rendita, le condizioni dell'infortunato si stabilizzano.”, e sempre la Corte costituzionale con sentenza n.906/1988 confermava e ribadiva affermava che "..l'evoluzione del danno deve essere collegato al fatto lavorativo e le modificazioni devono essere effetto di fattori non estranei al processo causale aperto dall'evento lavorativo...", a nostro avviso,   era sganciato dall’evoluzione clinica, e soprattutto dal nesso causale che era, invece,  obbligatorio tenere in considerazione visto che esplicitamente la norma prevede che in caso di aggravamento, “..questo sia derivato dall’evento che ha dato luogo..” all'originario riconoscimento, in concreto in presenza  di un nesso casuale tra la clinica creatasi inizialmente dopo l’evento, e  la nuova situazione che si appalesava.

 

Concludevamo in maniera categorica che, del principio tanto decantato che “l’aggravamento” doveva essere in correlazione all’originaria causa, veniva di fatto denegato visto che veniva by-passato mediante tecnicismi applicativi, che poco ci convincevano sul piano clinico e medico-legale allontanando sempre di più il rapporto diretta tra causa ed evento.

 

Aggiungevamo, infine, che l’epitaffio sul nesso casuale era, stato già declinato, con l’interpretazione data, dalla Corte di Cassazione [5] con due sentenze del 2005 sulla revisione per rendite uniche che aveva costretto l’Istituto assicuratore a fare una nota [6] in cui si affermava che “Dalla data di costituzione di rendita unica inizia ex. novo il decorso dei termini revisionali per tutti gli eventi che concorrono alla costituzione della rendita indipendentemente dalla data di accadimento di ciascuno di essi”, come a dire azzeramento totale del nesso casuale.

 

Fatto questo doveroso preambolo, ci permettiamo di evidenziare, ancora una volta, che a seguito di un caso concreto capitato alla nostra attenzione che i termini revisionali, così come interpretati dalla norma, nulla hanno a che fare con la medicina legale e con il nesso casuale.

 

Il Caso.

Al soggetto con evento del 2009, veniva riconosciuta a seguito di AP (accertamento postumi) del 2010 un danno del 10%, e quindi indennizzabile in capitale. (Range >5% - <16%)

 

Nella successiva di revisione passiva del 2011, ai sensi del comma 4 dell’art.13 del D.Lgs 38/2000 che prevede l’inizio del termine revisionale, nel caso di specie, “con decorrenza dalla data dell’infortunio”, il nuovo danno biologico era quantificato al 16%, quindi con rendita e con successiva revisione che decorreva, quindi, non dall’evento infortunio come disposto in precedenza, ma dalla costituzione della stessa, come ordinato dall’art.83 comma 5

 

Sottoposto a revisione attiva dell’Inail, nel 2012 il danno biologico veniva quantificato al 12%, si provvedeva alla soppressione della rendita come disposta dall’art.83, comma 1, richiamato dal comma 7 dell’art.13 del D.lgs 38/2000

 

Nella successiva revisione, nuovamente passiva del 2013, in quanto il danno era sotto la soglia della rendita, veniva nuovamente riportato in rendita al 16%, con ri-costituzione della rendita.

Ci siamo quindi domandati la “nuova” rendita da quando decorre?

 

Per alcuni essendo già stato in rendita la revisione doveva decorrere dalla prima costituzione di rendita 2011, noi riteniamo invece che essendovi stato un nuovo passaggio da capitale in rendita, i termini revisionali non potevano che decorrere dalla nuova costituzione della rendita del 2013 e questo per diversi e validi motivi.

 

Allorché, dalla visita medica di revisione, risulti che non esiste più una inabilità permanente di grado indennizzabile, l'Istituto assicuratore ne dà comunicazione all'assicurato e la rendita viene soppressa a decorrere dalla scadenza della rata successiva alla comunicazione medesima (artt. 83 t.u. 1124); poiché il termine del decennio attiene alla stessa esistenza del diritto nato dall'infortunio sul lavoro  il miglioramento del danno biologico al di sotto della soglia indennizzabile determina l'irreversibile estinzione del diritto a rendita.

 

Se successivamente a seguito di nuova revisione il danno biologico risulta quantificabile in un grado superiore al minimo indennizzabile in rendita (>15%), questa costituisce una nuova situazione fattuale, che dà luogo ad una nuova rendita, con nuova decorrenza, e con totale cesura dal preesistente diritto, ormai estinto (Cass. 11 agosto 2014, n. 17860; Cass. 12 ottobre 2010, n. 20994; Cass. 3 agosto 2005, n. 16270; Cass. 20 maggio 1997, n. 4506), e da qui, si deduce, che a seguito di nuova rendita decorrano contestualmente nuovi termini revisionali.

 

In concreto la nostra situazione (all’inizio)era  scadenzata con riferimento previsto dall’art.13, comma 4, essendo stato indennizzato in capitale e quindi dalla data dell’infortunio,  poi essendo stato riconosciuto un indennizzo in rendita, dalle previsioni di cui all’83, richiamato dal comma 7 dell’art.13, ,nella parte in cui si afferma che la revisione decorre “..dalla data di costituzione della rendita..”,poi a seguito di nuova revisione, ritornando sotto la soglia dell’indennizzabilità in rendita e attestandosi nel range 6-15%, nuovamente in capitale con applicazione per la successiva revisione del comma 4 dell’art.13, ed infine, ritornando sopra la soglia dell’indennizzabilità in rendita, costituzione di nuova rendita e conseguente rideterminazione dei termini revisionali, senza far più riferimento all’originaria rendita.

 

A questa che riteniamo sia l’unica corretta interpretazione ci è di supporto una circolare Inail emanata subito dopo l’uscita del D.lgs 38/2000; ci riferiamo alla circolare 57/2000 [7], in cui vi è un esempio sovrapponibile, nella prima parte, al caso da noi discusso, senza che però fosse ipotizzato il successivo passo.

 

Nel punto 3.3.4 della citata circolare si ritrova nel passo dedicato alla “Revisione della rendita”: “E' disciplinata dal comma 7 con il rinvio agli articoli 83137 e 146 T.U., la cui applicazione non richiede commenti.

L'unico aspetto innovativo riguarda la situazione in cui la rendita venga soppressa per recupero dell'integrità psicofisica nei limiti del 16% e il grado di menomazione accertato sia pari o superiore al 6%....” in questo caso “..qualora l'assicurato, in conseguenza di successivi aggravamenti nei termini di legge (dieci anni dalla data dell'infortunio o quindici se si tratta di malattia professionale), maturi nuovamente il diritto alla rendita, si applicano le direttive di cui al precedente punto 3.2.6.2.”.

Si legge chiaramente che i termini revisionali, una volta soppressa la rendita, decorrono dal nuovo status, danno biologico in capitale, e non dalla costituzione della precedente rendita, e non si può che dedurre che tornando nuovamente in rendita, inevitabilmente, dalla nuova costituzione di rendita bisogna fare riferimento per i termini revisionali. E’ possibile quindi che i termini revisionali possono allungarsi o accorciarsi in base al “semplice” riferimento normativo, - capitale o rendita - sganciato quindi da una evoluzione clinica che certamente non soggiace alla terminologia definita dal legislatore.

 

Con ciò abbiamo palesato, ancora una volta, la netta discrepanza dei tempi revisionali dettati dall’applicazione della norma così come scritta, e l’evoluzione clinica del caso: del nesso di causalità, così come previsto dalla medicina legale, con siffatta applicazione, non si tiene assolutamente conto, contrariamente a quanto ripetono da sempre sia la Corte Costituzionale che la Corte di Cassazione, laddove sostengono che i termini revisionali sono stati pre-determinati dalla scienza medica.

A questo punto non possiamo che ribadire con forza, alla luce del caso sopra discusso, ma anche basandoci su altri esempi tratti dalla giurisprudenza  già commentati, che l'apparente chiarezza e solidità del principio di stabilizzazione dei postumi, cui dovrebbero essere  legati i termini revisionali, viene di fatto offuscata ed intorpidita  all' interno del sistema applicativo adottato - di fonte normativa e giurisprudenziale – confliggente con i fondamenti giustificativi del medesimo principio.

 

 

Adriano Ossicini

già Sovrintendente Medico Generale Inail

già Docente a contratto Medicina Legale c/o Università “La Sapienza” Roma



2 Ossicini A. Miccio A. - “Aggravamento” o “Nuova Malattia” di una stessa patologia: una interpretazione suggestiva della Corte Costituzionale sent.46/2010 per superare i limiti posti dall’art.137 T.U. n.1124/65, revisione delle M.P. Articolo del mese Marzo2010 sito www.medicocomptente.it
Ossicini A. Miccio A
.- “Aggravamento” o “Nuova Malattia” epilogo di un caso dopo la sentenza 46/210 della Corte Costituzionale. Quando la soluzione di un problema cambia la natura del problema. Rivista online “Prevention & Research” Anno, 3, Trim,3 2013

 3A. Ossicini Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 1/2011 233-248  

4 A.Ossicini Newsletter medico-legale Inca n.7/2016

 


 6Corte di Cassazione del 25 marzo 2005 nn.6042 e 6403,

 7 Inail -  Lettera alla Strutture Centrali e Territoriali  da D.C. Prestazioni e S.M.G.  del 7 febbraio 2007
 



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