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Prevedere la cause degli infortuni: il ruolo del medico competente

Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Medico competente

21/12/2010

L’importanza del ruolo del medico del lavoro in relazione al fenomeno infortunistico e alla possibilità di comprendere le cause che generano gli infortuni. Alcuni esempi relativi a patologie connesse alla movimentazione manuale di carichi.

Gli atti del convegno nazionale “ Prospettive per il miglioramento della tutela della salute dei lavoratori”, che si è svolto a Pisa nel maggio del 2009, sono tuttora una grande risorsa per chi vuole affrontare i temi del ruolo del medico del lavoro e della sorveglianza sanitaria alla luce del Decreto legislativo 81/2008.
 
PuntoSicuro ha presentato in questi mesi diversi interventi che si sono tenuti al convegno, ad esempio in merito al ruolo del medico del lavoro dei Servizi Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle ASL o al suo contributo nel processo di valutazione del rischio.


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L’intervento “Il medico del lavoro e gli infortuni”, a cura di Roberto Agnesi (SPISAL ULSS 13 - C.O.R.E.O. Regione Veneto), si sofferma sul fatto che dovrebbe essere facilmente intuibile il motivo per cui “il medico del lavoro dovrebbe interessarsi degli infortuni sul lavoro, sia nel caso in cui svolga attività di medico competente sia nel caso in cui svolga attività di vigilanza”. Dovrebbe essere facilmente intuibile, ma “non si può dare per scontato che sia chiaro per tutti, soprattutto ora che si è un po’ persa la ‘memoria storica’ sulle ragioni per cui è la sanità (vedi riforma sanitaria legge 833/78) che ha la competenza sulle attività di vigilanza e prevenzione nell’ambito degli infortuni sul lavoro a differenza di quanto avviene in altri paesi”.
 
La questione potrebbe essere riassunta nella necessità di attuare una prevenzione “antropocentrica” e non “tecnocentrica”.
Necessità che procede “parallelamente alla presa di coscienza che anche la progettazione dei posti di lavoro e delle modalità di lavoro deve essere effettuata secondo principi ergonomici che pongono l’uomo che lavora al centro dell’interesse del progettista; tutti noi” – continua l’autore – “abbiamo nella nostra esperienza professionale ricordi (negativi) di impianti progettati nel secolo scorso (non è tanto lontano) quando il progettista aveva ben presenti le necessità della produzione ma non quelle dei lavoratori”.
 
Riguardo poi alla situazione italiana, “per quanto a volte si abbia ragione di dubitarne, non siamo all’anno zero della sicurezza e, fatti salvi casi molto particolari di totale elusione o evasione delle misure di sicurezza da parte di alcune aziende, gli infortuni sono in buona parte connessi a problemi non sempre completamente riconducibili alla macchine, sempre più dotate di sicurezze intrinseche, ma a fattori comportamentali, organizzativi, ergonomici e individuali dei lavoratori; in tutte queste situazioni il medico del lavoro può dare il proprio contributo nel quadro di un approccio che deve essere necessariamente sempre più interdisciplinare in funzione della complessità delle situazioni che generano gli infortuni”.
Infatti anche aggredendo il problema della messa in sicurezza di macchine ed impianti, resta comunque uno “zoccolo duro” di infortuni “che è più difficile ridurre proprio perché le ‘cause’ sono molto complesse ed articolate”.
 
Ci sono dunque determinanti del fenomeno infortunistico e situazioni in cui è importante il ruolo del medico. Ad esempio in merito a uso o abuso di alcolici, stupefacenti e, in qualche misura anche del fumo di sigaretta”. E in altri casi “il ruolo del medico può essere importante a fianco di altre professionalità, ad esempio in tema di ergonomia o di psicologia del lavoro nel senso più ampio del termine”.
Ci sono poi situazioni in cui “il medico può comunque portare il suo punto di vista antropocentrico anche nelle questioni tecniche e nella metodologia di analisi e di intervento”. In queste situazioni “può essere compresa l’indagine infortuni svolta per valutare l’eventuale esistenza di reato di lesioni personali colpose o omicidio colposo, in cui il medico del lavoro, a prescindere dall’eventuale successivo intervento del medico legale nominato dal Pubblico Ministero, può aiutare il tecnico della prevenzione a comprendere la dinamica dell’evento a partire della tipologia dei danni subiti dal lavoratore”.
L’autore ricorda anche il rischio chimico: “non bisogna dimenticare che, accanto alle malattie professionali, ci possono essere situazioni di rischio di infortunio in cui il medico può portare conoscenze di tossicologia e può aiutare nella valutazione delle proprietà pericolose degli agenti chimici in relazione alle modalità di esposizione ai tossici (per via aerea, cutanea etc.)”. E soprattutto il medico “può valutare le caratteristiche individuali dei lavoratori e le modalità di svolgimento del lavoro (vedi, ad esempio, come varia la ventilazione in funzione dello sforzo fisico sostenuto in caso di esposizione per via aerea”).
 
Un altro dei possibili campi di interesse del medico del lavoro - “sia perché ha nel proprio bagaglio culturale un po’ di epidemiologia e statistica, sia perché può ‘tradurre’ le codifiche connesse alla registrazione degli eventi negli archivi” – è la “valutazione della priorità di intervento” rispetto all’andamento epidemiologico del fenomeno infortunistico e delle conseguenze per la salute.
 
Inoltre “esiste un confine labile tra alcune tipologie di infortunio e patologie professionali che sono abitualmente trattate dai medici”.
A titolo di esempio l’autore cita “le patologie professionali del rachide e gli infortuni con la dinamica ‘distorsione del rachide mentre sollevava …’ che possono essere le molteplici espressioni dell’unico fattore di rischio da movimentazione manuale di carichi. Lo stesso avviene anche per altre situazioni connesse al sovraccarico biomeccanico, ad esempio degli arti superiori, per movimenti ripetitivi”.
 
Riguardo alla patologia del rachide connessa alla movimentazione manuale di carichi, nelle slide dell’intervento l’autore indica che:
- l'esperienza pratica ci fornisce la consapevolezza che questa patologia può essere “oggetto di denuncia di infortunio o di malattia professionale”;
- poiché le informazioni sulle malattie professionali (MP) sono "scarse', è possibile “ricavare informazioni sulla presenza del rischio da movimentazione manuale di carichi attraverso lo studio degli infortuni e poi mettere in atto iniziative di prevenzione”.
Dopo una breve analisi sulle patologie e incidenti relativi all’apparato locomotore nella Regione
Veneto (per gestione Inail, per comparto, per gruppo ATECO, …), l’autore conclude che:
-  l'accentramento contributivo “non spiega perché in aziende grandi ci sono molti infortuni che coinvolgono il rachide e risultano poche (o nessuna !!!) MP”;
-  “lo studio degli infortuni consente di individuare aziende ‘sconosciute’ attraverso le MP”.
Sono dunque ipotizzabili azioni e interventi:
- “di ‘recupero’ dei casi perduti”;
-  di “sensibilizzazione” del medico competente;
-  di prevenzione sul rischio " movimentazione manuale di carichi" comune a infortuni e MP.
 
L’intervento si conclude ricordando ai medici del lavoro che i “flussi informativi INAIL ISPESL REGIONI e Province Autonome sono uno degli strumenti, anche se non il solo, che abbiamo a disposizione da qualche anno per studiare il fenomeno in modo sistematico e per seguirne l’evoluzione storica”. E il medico ha “buoni motivi per avvicinarsi a questi archivi che hanno anche il pregio di essere uniformi su tutto il territorio nazionale per portare il suo contributo alla prevenzione assieme alle altre figure professionali”.   
 
 
NB: Il documento è  precedente all’emanazione  del D.Lgs. 106/2009
 
 
“Il medico del lavoro e gli infortuni”, a cura di Roberto Agnesi (SPISAL ULSS 13 - C.O.R.E.O. Regione Veneto), intervento al convegno nazionale “Prospettive per il miglioramento della tutela della salute dei lavoratori”: testo (formato PDF, 55 kB) e slide (formato PDF, 349 kB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 
 


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