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Dialogo sulla sicurezza: l'analisi degli infortuni

Antonio Zuliani

Autore: Antonio Zuliani

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

05/04/2013

Un dialogo tra uno psicologo e un medico del lavoro che affrontano la gestione degli infortuni e degli incidenti accaduti e le sue potenzialità in termini di prevenzione. Di A.Zuliani e E.Bellotto.


Presentiamo un dialogo pubblicato su  PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che affronta il tema generale della sicurezza sul lavoro e delle strategie atte ad analizzare gli incidenti che accadono al fine di attivare misure preventive efficaci.
Il confronto tra due professionisti, entrambi con una vasta esperienza nel settore, mette in luce le problematiche insite nell’argomento ed apre un’area di collaborazione interprofessionale densa di significative promesse per rendere il lavoro di entrambi più efficace.
I dialoganti:
Antonio Zuliani Psicologo psicoterapeuta, si occupa dell’applicazione della psicologia alla sicurezza e all’emergenza da più di 20 anni.
Emanuela Bellotto Medico specialista in medicina del lavoro, ha diretto il Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro della Azienda Sanitaria di Vicenza per 14 anni; per 10 anni è stata responsabile del servizio Prevenzione e Protezione della stessa Azienda, contemporaneamente coordinatore dei Medici Competenti. Per 10 anni Direttore del Dipartimento di Prevenzione. Responsabile del Gruppo di lavoro che ha sviluppato il  modello di Gestione della sicurezza sul lavoro secondo il modello UNI INAIL per le Aziende Sanitarie del Veneto, attualmente già applicato in 7 Aziende ed in via di recepimento nelle rimanenti.

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DIALOGO SULLA SICUREZZA
Zuliani
Quali sono i motivi per cui tu, medico del lavoro, ritieni utile interagire con uno psicologo come me, sui temi della sicurezza dei lavoratori.
 
Bellotto
Il contesto è quello dei Sistemi di gestione della sicurezza del Lavoro (SGSL) che dopo il D.Lgs.81/2008, con le modifiche del D.Lgs. 106/2009, sono sempre più applicati nelle Aziende. In particolare sto riflettendo sulla parte che riguarda la gestione degli infortuni e degli incidenti accaduti, e sulle sue potenzialità in termini di prevenzione. Ci stiamo lavorando in particolare nelle Aziende sanitarie del Veneto.
I sistemi di gestione ci hanno insegnato moltissime cose su come accrescere la sicurezza negli ambienti di lavoro:  
-la sicurezza non è un  problema del servizio Prevenzione Protezione, ma di tutta l’Azienda, perché richiede la collaborazione di lavoratori, quadri intermedi, dirigenti;
 
GLI ELEMENTI ESSENZIALI DI UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA SICUREZZA
Avviare un SGSL significa agire affinché la sicurezza diventi parte integrante della politica e della strategia aziendale. Ciò richiede un'organizzazione precisa, caratterizzata da:
1. definizione di obiettivi e assunzione di impegni per il miglioramento continuo delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori;
2. pianificazione delle attività di prevenzione e protezione, secondo la scala di priorità evidenziata dalla valutazione dei rischi;
3.individuazione di compiti e responsabilità per ogni figura aziendale (non solo per le figure specificamente deputate come RSPP, MC, RLS); dirigenti, preposti e lavoratori devono essere informati rispetto ai propri compiti e responsabilità per la sicurezza;
4.applicazione di procedure operative per le attività critiche per la prevenzione e quindi in particolare per
gestione infortuni, incidenti e comportamenti pericolosi
gestione della manutenzione
gestione dpi
gestione della informazione, formazione e addestramento
gestione della sorveglianza sanitaria.
gestione appalti
gestione emergenza
5.verifiche periodiche, attraverso il cosiddetto audit, delle possibili criticità in relazione agli obiettivi e agli indicatori fissati;
6.riesame della Direzione, allo scopo di analizzare l’andamento del sistema sulla base degli indicatori controllati, risolvere eventuali non conformità riscontrate nel corso delle verifiche, e porre ulteriori obiettivi di miglioramento.
 
 
-nelle Aziende complesse è indispensabile superare incomunicabilità e/o rivalità tra le diverse Unità Aziendali per fare “sistema” (si pensi ad es. alle Aziende Sanitarie, con una percentuale di dirigenti -e quindi di potenziali conflitti- nettamente superiore ad aziende manifatturiere);
- è importante chiarire le responsabilità di ciascun “ruolo” (declinato poi con nomi e cognomi) nel Sistema perché se ciascuno conosce ciò che deve fare è in grado di prepararsi e farlo meglio;
-agire in modo organizzato (procedure definite) ed anche documentato (il Sistema Qualità è la base giusta per innestare anche il Sistema Sicurezza) permette di dare omogeneità all’agire, di facilitare la comunicazione anche verso i “nuovi arrivati”, di facilitare la formazione, ecc.;
-le norme vanno rispettate, e tra le responsabilità in capo al Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) c’è proprio quella di conoscere a fondo quelle applicabili alla realtà dove lavora, e di essere “strumento” del Datore di Lavoro nella loro attuazione;
-applicare le norme non è sufficiente ad accrescere la sicurezza.
 
E’ su questo ultimo punto che vorrei riflettere.
 
Il SGSL propone, come i Sistemi Qualità, il metodo di “ imparare dagli errori”. Nel Sistema Qualità si tratta di rilevare le “non conformità”, risultanti da osservazioni esterne o interne, di esaminarle e di farle oggetto di un processo di analisi delle cause e di individuazione delle misure preventive e correttive.
Nel SGSL assumiamo in primis come non conformità sia gli infortuni e le malattie professionali, in quanto possibile evidenza di fallimento rispetto all’obbiettivo del SGSL (la sicurezza e la salute di chi lavora), sia gli incidenti (eventi che hanno comportato compromissione di “cose”, ma non di persone, pur avendone la potenzialità). SGSL include inoltre eventi similari a questi, ma senza neppure danni alle cose, definibili come “funzionamenti errati” del Sistema di sicurezza (quasi infortuni, quasi incidenti, malfunzionamenti, gestioni rischiose, ecc.), e li include nella sorveglianza chiamandoli “non conformità”.
 
Abbiamo quindi 3 tipi di eventi da cui dovremmo imparare molto per accrescere la sicurezza. L’impressione che si ricava osservando il risultato concreto nelle Aziende è quella che non sempre si riesce a ricavare dall’analisi di tali eventi tutto quello che essi potrebbero dare. Nella gran parte dei casi vi adempie un componente del SPP a ciò incaricato, solerte nel compiere il suo lavoro di ricezione della segnalazione dell’evento e di gestione della non conformità fino alla risoluzione (come detto prima), spesso capace di relazioni con persone e Unità operative, ma cui nessuno ha mai insegnato una metodologia di analisi del problema. L’evento viene “sbrigato” e chiuso con tutti i carteggi a posto, ma spesso con risultati molto poveri.
 
Questo è il tema di riflessione che propongo: ci sono metodi di analisi degli infortuni, metodi di analisi degli incidenti e metodi di analisi degli altri eventi definibili come “non conformità” che possono insegnare qualcosa di più?
 
Zuliani
Il metodo perfetto non esiste. Ogni metodo ha la sua validità nella misura in cui traduce in strategia operativa le conoscenze acquisite attorno ad un determinato argomento.
Detto questo occorre riflettere sul fatto che ogni metodo che vada a cercare legami causali contiene anche due limiti, che vanno presi in considerazione nella misura in cui si desidera renderlo il più efficace possibile.
 
In realtà possedere un metodo di analisi serve a tenere alta l’attenzione su aspetti che potrebbero essere trascurati, più che a garantire di leggere tutta la realtà
Il primo limite è quello di illudere che una volta che si sia giunti alla scoperta dei legami causali di un incidente accaduto ciò favorisca di per sé la capacità di prevedere il futuro, ossia induca a pensare che la dinamica dei fatti si ripeta sempre uguale e che quindi la prevenzione sia assicurata.
 
Il secondo limite è che il lavorare solo sulla ricerca di un rapporto di causalità tra gli eventi spinge a non valutare con sufficiente attenzione uno dei fondamenti della statistica: la regressione verso la media.
 
Regressione verso la media
Si tratta di un concetto introdotta da Galton che osservò come i figli di genitori di statura al di sopra della media, pur risultando più alti della media delle popolazione tendevano ed essere più bassi dei genitori, avvicinandosi, così alla media generale della popolazione.
Si tratta di un fenomeno ben conosciuto dalla ricerca scientifica in quanto una variabile che abbia valori estremi alla sua prima misurazione tenderà ad assumere valori meno estremi nelle misurazioni successive
 
Esemplificando: se un’azienda nella quale ci sono stati numerosi incidenti adotta una nuova strategia di fronteggiamento e constata che gli incidenti diminuiscono, potrà arrivare a sovrastimare l’importanza dell’intervento messo in atto: potrebbe non essere stato solo l’intervento a ridurre gli eventi, perché gli stessi sarebbero probabilmente rientrati nella media “da soli”. Si rischia così di assumere una falsa sicurezza.
D’altra parte proprio un’azienda nella quale non accadono da tempo incidenti è esposta al fatto che essi si verifichino e quindi dovrebbe mettere in atto strategie cautelative.
 
Bellotto
A me sembra che questo ultimo aspetto metta in luce l’importanza di avere statistiche di riferimento, sia come serie storica che come confronto con altre realtà analoghe, per inquadrare anche il lavoro che si sta facendo. E quindi il confronto tra aziende - il benchmarking - anche in questo campo è fondamentale.
 
Se, come dici, il metodo perfetto non esiste, vale la pena di partire da quelli che esistono e migliorarli se possibile.
 
Conosco due metodi completi e articolati di analisi degli infortuni, ossia il metodo “Sbagliando si impara” applicato nel progetto di analisi nazionale degli infortuni mortali fatto dai Servizi di Prevenzione (SPISAL/ SPRESAL cc.) nel 2005-2007, e il metodo “Albero delle cause” sviluppato in Francia all’inizio degli anni ’70, progressivamente approfondito da ricercatori dell’Institut National de Recherche et de Sécurité (INRS).
Però mi interessa anche recuperare un suggerimento metodologico presentato da SUVA (sistema assicurativo svizzero) negli anni ’90 nel suo sito, che metteva alla base di ogni analisi degli infortuni la “intervista” delle persone in grado di fornire elementi conoscitivi sull’evento: parlare con l’infortunato, parlare con i testimoni, con chi può contribuire con informazioni. Mi è sempre sembrato un suggerimento importante, fondamentale e imprescindibile.
 
Del primo metodo ricordo la complessità, per cui è stato applicato agli infortuni mortali e non a quelli di rango inferiore. Richiede un apprendimento della tecnica piuttosto faticoso e mira a fornire sintesi statistiche del fenomeno, peraltro accurate. Ha fornito una visione importante delle cause degli infortuni mortali in Italia.
 
Anche il metodo “Albero delle cause” (AdC) offre degli stimoli interessanti. Diversamente dal primo, non pone l’accento sulla “sintesi statistica” ma sull’analisi. Suggerisce infatti un metodo di analisi, partendo dall’infortunio e procedendo all’indietro, nella certezza che ogni infortunio ha più di una causa: anzi, è indicato come un “fenomeno che prende origine da una rete di fattori che interagiscono”. Il metodo suggerisce di intervistare le persone che possono dare contributi informativi sull’evento in modo collettivo, ossia in gruppo.
 
Zuliani
Condivido l’assunto che ogni infortunio sia frutto di una rete di fattori; penso anzi che se l’analisi si ferma ad un solo fattore, il rischio che essa sia insufficiente ed anche ingannevole è alto.
 
Su questo aspetto torniamo dopo. Vorrei ora sottolineare la centralità dell’intervista e ricordare che non è la stessa cosa sentire le persone coinvolte in un infortunio o incidente singolarmente, o rivolgersi loro in gruppo.
 
Ci sono dei “trabocchetti” in cui può incorrere anche la singola persona, ma certo nel caso di un gruppo quello che lo stesso esprime non è mai equivalente alla somma o alla media del sentire dei singoli. In altri termini, una persona quando entra a far parte di un gruppo arriva a pensare e ad agire diversamente da quanto saprebbe se fosse sola e le conclusioni alle quali arriva un gruppo non sono la mediazione tra i pareri dei singoli, bensì una cosa del tutto nuova: come fosse espressa da un soggetto altro. In particolare, quando persone in gruppo discutono di un evento tendono a produrre errori significativi, in quanto forniscono i loro giudizi sulla base di aggregazioni di pensieri, che vanno alla ricerca di una conferma reciproca.
 
Soffermando la nostra attenzione sui “trabocchetti” cui ho accennato vorrei ricordare che ogni qualvolta si esamina un evento imprevisto e connotato negativamente scattano tre meccanismi che possono indurre in errori di interpretazione anche gravi:
 
-Riduzione dell’ambiguità: di fronte ad uno stimolo con elementi di incertezza tendiamo a risolvere quest’ultima saltando subito a conclusioni in merito a ciò che abbiamo visto e/o sentito. In mancanza di un quadro di riferimento esplicito per la situazione incontrata siamo spinti ad utilizzare un quadro (frame) già noto che sia in grado di evitarci il fastidio cognitivo ed emotivo dell’ambiguità. Frame in inglese significa cornice, inquadratura, e in psicologia indica una sequenza di eventi-tipo che la persona ha imparato e sulla quale si aspetta che le nuove situazioni si sviluppino. In questo senso i frames condizionano la percezione e la lettura che la persona ha dell’evento, rispetto a ciò che si aspetta possa accadere: possiamo dire che la consapevolezza che la persona sviluppa verso la situazione che si trova a vivere é profondamente condizionata dai frames che utilizza.
 
-Effetto àncora: ossia la tendenza ad ancorare tutte le informazioni inerenti ad una situazione, tanto più se essa è complessa, ad una prima valutazione condotta sui dati che più colpiscono e che sono maggiormente a portata di mano. Si tratta di un ancoraggio che determina il valore delle informazioni successive (bias di conferma). Tale effetto appare tanto più forte quanto meno conosciamo l’argomento del quale stiamo trattando e quando siamo sorpresi da un evento imprevisto. Il rischio di questo ancoraggio è quello di arrivare a restringere il campo della nostra attenzione, facendoci privilegiare ottusamente un particolare e perdendo di vista tutti gli altri aspetti di una situazione.
 
Proprio questi ragionamenti mi fanno dire che l’analisi degli eventi condotta in gruppo appare poco utile. In questi casi possiamo vedere come la sequenza con la quale vengono esposti i pensieri in merito al fatto è spesso del tutto casuale, ma a causa dell’effetto alone che si determina, il gruppo tende a confermare le prime impressioni emerse, tanto che i pensieri successivi non possono prescindervi. In altri termini si attivano dei “bias di conferma” (ad esempio se penso che “Giovanni è simpatico” sarà molto probabile che mi vengano in mente esempi diversi da quelli che avrei recuperato se avessi pensato che “Giovanni è antipatico”). Questo fenomeno è tanto più forte nel caso del lavoro di gruppo.
 
-Il terzo elemento da prendere in considerazione è la memoria: essa non è costituita da “copie” esatte e immutabili degli eventi del passato. Si tratta piuttosto di “eventi” costruiti nel momento in cui li recuperiamo. Possiamo dire che la nostra memoria è costruita in due tempi: nel momento stesso in cui l’evento si fissa, e ancora nel momento in cui andiamo a recuperarlo. All’interno di entrambi questi processi si determinano dei vuoti che poi andiamo ad integrare per rendere il tutto più sensato (è come se fissassimo dei fotogrammi di quello che ci circonda e poi montassimo il tutto in una sequenza logica). Proprio perché è questo quello che noi chiamiamo memoria, occorre dire che la memoria, così come la percezione, non sbaglia completamente, ma di rado ha perfettamente ragione.
 
Bellotto
Allora è meglio raccogliere i diversi contributi singolarmente e non in gruppo, integrando poi gli elementi conoscitivi. Si deve evitare di spingere subito l’intervistato a valutazioni e conclusioni, facilitando invece la narrazione prima di fatti e poi anche di opinioni. Non fermarsi ad una causa che sembra evidente, ma sondare più fattori di rischio.
 
Nel Metodo AdC trovo interessante anche l’indicazione di cercare la “variazione” nei fatti precedenti l’infortunio, ossia quell’elemento che nella sequenza degli eventi ha costituito una diversità, quel qualche cosa che è intervenuto o si è realizzato diversamente dal solito: tutto credo può aiutare ad entrare meglio nell’esplorazione dei fattori che hanno rappresentato un rischio o hanno fatto precipitare l’evento.
 
Nella mia esperienza ho notato che, indipendentemente dalla presenza di responsabilità, nell’analisi e nella valutazione di chi è intervistato può avere un peso anche il senso di colpa per l’errore (proprio o del proprio collaboratore); c’è la possibilità di mitigarlo o meno?
 
Zuliani
Il senso di colpa ha due aspetti importanti: l’uno legato alle conseguenze che un determinato atto può avere avuto sulla salute degli altri o sui beni dell’azienda, e l’altro sintetizzabile nel dubbio se si sarebbe potuto agire o decidere in modo di diverso, e questo indipendentemente dalla gravità dell’evento.
 
Il primo senso di colpa può causare profondi turbamenti nelle persone coinvolte, specie in condizioni drammatiche nelle quali esse possono attribuirsi delle responsabilità per danni arrecati ad altri o per non essere riuscite ad evitarli. Di questi casi l’azienda dovrebbe farsi in qualche modo carico, perché potrebbero evolvere in disagi psicologici profondi. Ritengo che l’attenzione verso la sicurezza e il benessere dei lavoratori dovrebbe prevedere anche la possibilità di offrire un supporto psicologico affinché soggetti coinvolti in eventi drammatici siano aiutati ad elaborarne gli aspetti emotivi, in ogni caso implicati.
 
La seconda forma di “colpa” porta a quello che possiamo definire rammarico, cioè un’emozione molto forte che si accompagna all’idea che si poteva aver preso una decisione o messo in atto un’azione diversa.
 
Si tratta di una delle emozioni controfattuali più forti che ci inducono a pensare, ma sempre con il senno di poi, che avremmo dovuto vedere, sentire, prevedere e così via in modo più efficace.
Ai fini della sicurezza, una delle caratteristiche più interessanti di questo rammarico è il suo legame con la normalità: nel senso che si produce più rammarico quando si prende una decisione diversa da quella abituale, dal default ordinario, e quando il risultato che abbiamo di fronte è prodotto da un’azione piuttosto che da un’inazione (Kahneman).
 
Pensiero controfattuale
Per pensiero controfattuale si intende la capacità che la persona ha di immaginare condizioni contrarie alla realtà che ha vissuto: in altri termini si tratta di quell’attività quotidiana che si attiva per confrontare ciò che è accaduto con ciò che sarebbe potuto accadere.
Un esempio molto noto é nella tendenza a pensare che la storia si possa fare con i "se" e con i "ma", che ha trovato epigoni anche di rilievo. In sostanza siamo in presenza di un meccanismo utile nel processo di spiegazione e valutazione degli eventi che viene attivato anche per piccole cose del tipo “Se avessi aspettato a comperare il vestito avrei risparmiato, perché oggi è in svendita”
 
Proprio perché si rischia di sentirsi più responsabili delle azioni e in particolare delle azioni diverse da quelle usuali, c’è il rischio che di fronte alle scelte nel campo della sicurezza subentri un atteggiamento di passiva accettazione delle procedure. Lo sottolineo perché gli incidenti non si verificano solo perché sono disattese norme o procedure, ma a volte si verificano perché tali indicazioni, in uno scenario mutato, favoriscono l’errore.
 
Bellotto
Penso anch’io che a fronte degli infortuni più gravi la struttura deve riuscire a farsi carico dei protagonisti, ma ad oggi non vedo che ve ne sia l’attenzione. Neppure nelle Aziende Sanitarie, dove potrebbero anche esserci le risorse. Vorrei aggiungere che vi può essere anche una formazione dell’intervistatore adatta a mitigare alcuni degli effetti, perché egli possa atteggiarsi in un modo non negativo. Pur sempre però quando analizziamo un fatto negativo già accaduto si suscitano le problematiche che dicevi. Mi pongo allora la domanda se il post infortunio o il post incidente ci pongano nelle condizioni migliori per l’analisi.
 
Zuliani
Condivido che l’attenzione comunicativa sia fondamentale, tanto che in tutta la formazione che stiamo attivando per soggetti che si occupano di questi argomenti privilegiamo quella relativa alla relazione di aiuto.
In ogni caso, pur considerando che quando ci troviamo a condurre un’indagine su un evento accaduto non possiamo fare altro che cercare a ritroso le cause che l’hanno determinato, occorre prendere in considerazione il rischio di una distorsione retrospettiva del giudizio. Una ricostruzione retrospettiva degli eventi può arrivare a dispiegarli tutti in maniera lineare secondo una logica costruita sulla base dei dati successivi già noti, al punto che arriviamo ad avere l'impressione che le cose non avrebbero potuto andare diversamente.
 
Il bias del “senno di poi” induce gli osservatori a valutare le decisioni prese sulla base dell’esito finale già noto.
In tal modo non si giudica la decisione in modo adeguato, ossia sulla base delle possibilità ragionevoli che le persone avevano quando hanno deciso, bensì sulla base delle conseguenze che hanno avuto le decisioni.
Ciò significa che più l’evento ha avuto un esito negativo e più si attiverà il bias del senno di poi o bias di risultato. Ecco allora che un comportamento che ha dato luogo ad un infortunio sarà immediatamente visto come rischioso e alla persona sarà imputata la decisione di averlo attivato.
La forza del bias del senno di poi sta nel fatto che quando siamo investiti da un flusso disordinato di informazioni relative ad un evento, privilegiamo quelle che possiamo più logicamente spiegare con la frase “è proprio andata così ….” e tendiamo ad escluderne altre che non rientrano strettamente in questa sequenza logica, anche se potrebbero essere in realtà rilevanti.
 
Bellotto
Vorrei porre ancora un problema: mi chiedo se nell’analizzare un infortunio o un incidente, non sia utile raccogliere anche delle informazioni su fattori di stress professionale. Mi sembra sbagliato ignorarli, mentre d’altra parte c’è la possibilità che si prendano le colpe di tutto: penso alla carenza di personale dei nostri ospedali, ai turni prolungati di alcuni reparti: fattori che poi il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione neppure può gestire.
 
Zuliani
Lo stress lavorativo può essere inteso come una relazione dinamica fra la persona e l’ambiente di lavoro, sia per quanto riguarda il contesto nel quale si svolge, sia per i suoi contenuti. Anche se è evidente che gli stressori, o fonti di stress, vengono percepiti dalla persona in relazione alle proprie caratteristiche individuali e a quelle ambientali, nonché alla loro dinamica, vi sono delle condizioni a rischio che vanno sempre attentamente monitorate perché possono contribuire all’accadimento degli incidenti. Aspetti che tutta la recente tematica relativa allo stress lavoro correlato ha ben messo in luce. I principali sono il lavoro in turni notturni, lo sbilanciamento tra le richieste legate alla mansione e le competenze personali (sia quando la mansione chiede delle competenze che la persona non ha, sia quando le competenze della persona restano inutilizzate. A questo proposito penso, tra l’altro, a tanta formazione attivata per obbligo, cui poi non corrisponde l’utilizzo delle abilità acquisite), la mancanza di sostegno di fronte alle difficoltà che possono presentarsi sul lavoro.
 
Questo tema mi permette di riflettere sul sostanziale fallimento del dettato dell’art. 28 del D. Lgs. 81/08 sulla necessità di valutare tra i fattori di rischio anche quelli relativi allo stress lavoro-correlato. Il fatto che il legislatore, aderendo ad un accordo europeo, abbia posto l’attenzione su questo tema poteva rappresentare una grande occasione per riflettere e lavorare per la promozione del benessere sui luoghi di lavoro: premessa fondamentale per ridurre l’incidentalità. Invece il tutto si è risolto nella ricerca da parte delle aziende di non ricadere tra quelle nelle quali lo stress da lavoro è presente, in modo da non dover approfondire il tema.
 
Bellotto
Con queste premesse, mi sembra che le linee di lavoro via via si chiariscano. Tornando all’intervista, quali potrebbero essere i criteri per costruirla ed analizzarla?
 
Zuliani
I criteri non sono poi molti, anche se importanti: scegliere alcune aree di indagine, poche direi, non più di 5 o 6 e sintetizzarle attraverso domande aperte. L’importante è che esse siano tra loro indipendenti e che si raccolgano le informazioni una alla volta per evitare l’effetto alone. Inoltre le interviste devono riportare esattamente quello che dicono i soggetti, per cui o scrivono essi stessi il testo o lo stesso va registrato su magnetofono e non sintetizzato. Questo per evitare tutte le “trappole” di cui ci siamo occupati.
 
La conduzione di un’intervista di questo tipo prevede la formulazione da parte del conduttore di aree di contenuto connesse all’oggetto attorno a cui far ruotare l’interazione con il soggetto intervistato. Rispetto al procedere con una check list, si avrà lo svantaggio che le persone intervistate non toccheranno tutti i punti che all’intervistatore sembrano importanti, ma si avrà il vantaggio che possono emergere aspetti nuovi e spesso decisivi per comprendere appieno la situazione.
 
Quanto risulta dai colloqui deve essere tutto preso in considerazione, senza escludere nessun aspetto. perché ritenuto poco significativo o espresso da una sola persona. Si devono anche in questa fase evitare le semplificazioni che fanno rientrare il materiale raccolto all’interno di schemi precostituiti, come già descritto precedentemente.
 
Per diminuire i rischi impliciti nell’analisi, si potrebbe utilizzare anche un’analisi linguistica e statistica del materiale raccolto, ma certo questo è un metodo complesso, che io come psicologo utilizzo nelle ricerche psicosociali, e che richiede una formazione specifica.
 
Bellotto
Potrebbe essere interessante sperimentare questa metodologia più approfondita nella ricerca sugli infortuni, ma proviamo anche a raccogliere i suggerimenti più generali proposti.
 
Provo a riassumerne alcuni.
Intanto farei più interviste, cercando persone con conoscenza diretta sull’evento; cercherei di presentare gli obiettivi del lavoro, nel modo giusto per far capire che non è una ricerca di responsabilità, ma uno strumento di miglioramento (avere l’atteggiamento giusto).
Le aree da esplorare più o meno così:
Mi racconti cosa è accaduto. Dove si trovava e cosa stava facendo?
Quel giorno è successo qualcosa di diverso dal solito? Erano accaduti fatti analoghi non sfociati in incidente? Può descriverli?
A suo modo di vedere come poteva essere evitato l’infortunio/ incidente?
 
Nell’analisi tutti gli elementi emersi devono trovare una collocazione. Devono risultare esplorati i diversi aspetti del lavoro e di ciò che è accaduto. A tuo parere, ci sono delle categorie che possono aiutarci nella lettura di sintesi, dopo l’analisi?
 
Zuliani
Riprendendo quello che dicevi sul fatto che ogni infortunio non ha una sola causa, ma una rete di cause, un infortunio o un incidente possono essere analizzati secondo un modello organizzativo su tre livelli. Il primo identifica i cosiddetti “fallimenti attivi”, ossia i fattori collegati alle persone coinvolte nell’evento. Il secondo livello comprende i fattori legati al sistema di gestione (fallimenti organizzativi) che vanno dalla segnaletica alla tecnologia in uso, ai protocolli di lavoro, ecc. Infine vi sono i “fallimenti inter-organizzativi” che chiamano in causa le interazioni tra regole e procedure di gruppi diversi che arrivano a configgere tra loro. Si tratta di tre livelli che vanno sempre esaminati perché nessuno dei tre si presenta mai da solo.
 
Bellotto
Credo di capire che per ognuno di questi livelli andranno poi ricercate le misure preventive e /o correttive.
Vorrei aggiungere ancora un problema. L’analisi di cui abbiamo parlato è piuttosto complessa e richiede tempo. Le risorse non sono molte e credo non sia facile analizzare a fondo tutti gli eventi, infortuni e incidenti, che si presentano in un’azienda. Se si deve fare una selezione, credo sia importante evitare di scegliere a priori la tipologia di evento da approfondire, magari perché intravvediamo i fattori di rischio cui siamo già interessati, ma credo si debba procedere a selezionare un campione di eventi da analizzare in modo casuale.
 
Zuliani
Concordo in specie sul fatto che si proceda, nell’ottica del miglioramento, con l’analisi di eventi scelti casualmente. Procedere in modo casuale ha due vantaggi. Uno è quello che hai appena accennato: se scegli gli eventi per i quali hai già interesse e confidenza, sarai più condizionato e meno portato a vedere aspetti nuovi. Il secondo viene dagli ultimi studi di chi si è applicato di statistica applicata all’economia, che dimostrano che le scelte casuali … a volte ci azzeccano.
 
Bellotto
Alla fine di questa conversazione, ripensando alle difficoltà legate all’analisi di eventi “pesanti”, vorrei ricordare che c’è anche un altro ambito di lavoro, cui abbiamo accennato all’inizio. Faccio riferimento alla “cultura della segnalazione” (mutuata dalla gestione del rischio clinico, ossia relativo ai danni per il paziente) , che prevede di far emergere i malfunzionamenti, le situazioni di rischio, perché si possa intervenire prima che si producano danni. Si tratta di fare in modo che dai lavoratori, inclusi dirigenti e preposti, così come dagli RLS, siano messi in luce e segnalati a persona incaricata eventi che non hanno prodotto nessun danno ma che potenzialmente sono in grado di causarlo. Anche qui è richiesta una preparazione specifica, perché non diventi occasione di delazioni, rivendicazione e atteggiamenti simili, ma possa essere una condizione costruttiva.
 
Zuliani
Vorrei aggiungere che per motivare le segnalazioni e dare credibilità al sistema che le sollecita è indispensabile prevedere una prassi di restituzione - un feedback - costante. Chi segnala deve percepire chiaramente che il suo sforzo è stato apprezzato anche quando non ha dato esito a cambiamenti.
 
Concludendo, mi sembra che da quanto emerso siano rimasti due aspetti che sarebbe interessante approfondire, il primo relativo agli errori che possono provocare danni a terzi, di cui hai fatto cenno, il secondo relativo ai processi di formazione del personale per renderlo capace di rispondere in modo competente a questi processi di lavoro.
 
 
 

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Rispondi Autore: cippa lippa - likes: 0
09/04/2013 (13:02:53)
...certo che l'argomento sicurezza è un'inesauribile fiume in piena...

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