Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'
Crea PDF

Lo storytelling: una strategia per formare i lavoratori

Lo storytelling: una strategia per formare i lavoratori

L’importanza dello storytelling come strategia comunicativa in ambito formativo: una tecnica che non comunica principalmente in modo razionale ma emozionale. A cura dell’Ing. Gian Piero Marabelli.

È importante che i formatori si chiedano, riguardo ai loro interventi formativi, cosa ricorderanno nel tempo le persone che li ascoltano. Ci sono tecniche che possono aumentare la formazione di quel “sedimento” che rimane come patrimonio “culturale” della persona formata? Per rispondere a questa domanda e parlare della tecnica dello storytelling - invitando anche i nostri lettori a confrontarsi con questa strategia comunicativa - ospitiamo un contributo dell’Ing. Gian Piero Marabelli, esperto formatore in corsi in aula e online.

 

Vi sono alcune domande fondamentali che ogni soggetto che opera nel campo della Salute e Sicurezza si deve porre. Una di queste riguarda le modalità con le quali affrontare il complesso discorso della formazione e la sua efficacia.

 

Gli aspetti essenziali dell’efficacia della formazione

Il primo aspetto è centrato sulla figura del “formatore” ed attiene alle sue tecniche di comunicazione: “come fare” a trasmettere con “efficacia” ciò che è davvero importante ai fini della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali?

Il secondo aspetto è invece centrato sulle “persone” che partecipano al corso di formazione ed attiene al concetto di “ricordo”: “Cosa ricorderanno le persone di quello che dice il formatore?

Le due domande sono ovviamente collegate: più le tecniche di comunicazione del formatore sono sviluppate, più le persone avranno modo di ricordare e ricorderanno.

 

 Pubblicità

Lavoratori - Formazione generale - 4 ore
Corso online di formazione generale sulle conoscenze di base per la tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro per lavoratori di tutti i settori o comparti aziendali.

 

 

Con riferimento al primo aspetto e cioè alle tecniche di comunicazione, sono stati fatti e si ripropongono regolarmente approfondimenti e studi, convegni e corsi che hanno, a seconda dei soggetti organizzatori, diverse angolazioni e prospettive. Risultato quasi unanime di tutte queste iniziative è che per trasmettere con efficacia i concetti della salute e sicurezza, ogni formatore deve imparare bene le cd. Metodologie attive (esercitazioni - role play - simulazioni) andando quindi al di là della semplice lezione frontale. Questo l’abbiamo capito tutti (o quasi tutti) e quando facciamo formazione ricorriamo al supporto di queste metodologie anche nei corsi meramente teorici.

 

L’addestramento è (forse) più semplice, poiché l’istruttore mostra e dimostra l’uso dell’attrezzatura/macchina e il discente, osservando e mettendo in pratica, impara i fondamenti dell’uso in sicurezza dell’attrezzatura/macchina. Ma anche qui l’istruttore dovrebbe usare perlomeno alcune “basiche” regole e tecniche di comunicazione. Ad esempio: se ad un corso di formazione “ carrellisti” il formatore/addestratore si presenta con la giacca e la cravatta, egli commette un errore comunicativo gravissimo che dimostra come alcune elementari regole di comunicazione “non verbale” vengano completamente ignorate.

Potremmo fare numerosi esempi di questa mancanza di regole e tecniche comunicative: del resto tutti noi commettiamo errori, nessuno ne è immune e agli errori si rimedia ma ovviamente è meglio non farli.

 

Una delle cose che potremmo ricordare per evitare di commettere errori nella nostra comunicazione è questo assunto: il contrario della “disattenzione” non è l’attenzione, bensì l’attrazione. Specie all’inizio della nostra comunicazione, proprio per poter stimolare un’attenzione adeguata, sono necessarie le tecniche del cosiddetto “patto d’aula”, con le presentazioni, le aperture ad effetto (senza esagerazioni) e le domande “chiave”. Ma l’attenzione è sottoposta alla scure della sua “curva ed anche il più bravo comunicatore non può ignorare i suoi effetti. Il discente dunque deve essere “catturato” da chi tiene un “discorso”, deve essere “attratto” dal suo modo di parlare e dal suo modo di “porsi”. Il discente deve poter dire: “io non capisco fino in fondo quello che dici ma sono colpito dal modo con cui lo dici”. Ecco perché la domanda sul “come fare” formazione è fondamentale. Perché un cattivo comunicatore otterrà un unico risultato dalla sua comunicazione: il sonno.

 

Un amico chiede ad un amico:

Cosa hai fatto oggi?”

“Oggi ho fatto il corso “della sicurezza”: una “noia” mortale, ho perso tempo tutto il giorno. (Solitamente non si dice “noia”…ma qui non si possono riportare le locuzioni tipiche).

Ecco: questo è il risultato che il formatore non deve ottenere, perché se il risultato è questo si diffonderà ancor di più la pandemia, già enormemente diffusa, che guarda ai temi della salute e sicurezza descrivendoli solo come “tasse da pagare”, e nel caso della formazione come “attestati da conseguire”, non importa dove e come sono stati ottenuti.

Quindi le tecniche di comunicazione devono essere imparate bene e ci sono ottimi corsi di “formazione per formatori” che le insegnano.

 

Le persone cosa ricorderanno?

Accanto però alla domanda sul “come fare”, formazione, abbiamo all’inizio ricordato esserci un’altra domanda centrata sulle “persone” che partecipano al corso di formazione: cosa ricorderanno le persone che mi ascoltano di quello che dico?

Sto usando tutto lo scibile possibile delle tecniche formative che ho imparato benissimo. Ma le persone cosa ricorderanno? Molte indagini sono state fatte anche su questo versante e i risultati sono anche apprezzabili, ma quando si apprende dalle statistiche che gli infortuni, sia mortali che non, sono aumentati e non significativamente diminuiti, ogni operatore della salute e sicurezza una domanda deve farsela sul come affronta e svolge il suo lavoro. Non si può sempre dire che è colpa dei datori di lavoro, (il che è anche vero). E’ colpa anche nostra, nostra di operatori della salute e sicurezza, del nostro scarso modo di saper comunicare la “sicurezza”, specie nella consulenza, del nostro continuo “gioco al ribasso”, perché appunto una cosa “non importante” si può comunque “ribassare”, non tanto ad es. sul prezzo, ma sull’approccio complessivo di cui il prezzo è una parte importante. Sulla formazione il “ribasso” è all’ordine del giorno e qui certamente le norme non aiutano.

 

Quante ore di formazione deve fare un preposto carrellista che è anche addetto alla prevenzione incendi di un magazzino? 12 ore di formazione lavoratori (rischio medio Accordo 221/2011 Stato/Regioni) 8 ore come preposto, 12 ore come carrellista e 8 o 16 ore di prevenzione incendi, secondo la classificazione del rischio incendio. Al netto dei pochi crediti formativi riconosciuti dall’accordo Stato Regioni del luglio 2016, il totale è un numero di ore decisamente significativo, dove il “costo” della formazione non è il costo della partecipazione, ma la mancata “produttività”. Anche qui qualcosa andrebbe rivisto, partendo non dalla teoria dell’aumento o diminuzione delle “tutele” ma dalla concretezza delle persone che devono partecipare ai corsi.

 

Ora se al nostro “preposto-carrellista” chiedessimo dopo un mese, due mesi, tre mesi dalla conclusione di ogni singolo corso cosa ricorda di tutta la formazione cui ha partecipato, certamente qualcosa ricorderà. Quanto? Forse un 10% dei concetti teorici, cioè ricorderà gli acronimi, il concetto di valutazione dei rischi, l’ uso dei DPI, il concetto di vigilanza…Ecco questi concetti formano il sedimento”, cioè quello che rimarrà sul fondo”, destinato a costituire il patrimonio “culturale” della persona. Ed è a questo che noi formatori dovremmo essere interessati: “Cosa sono interessato a trasmettere?” Cosa deve arrivare al lavoratore della valutazione dei rischi che il RSSP ha scritto?  Quindi: dopo esserci domandati quale sia il modo più idoneo di fare formazione, dobbiamo adesso spostarci sul “cosa” vogliamo trasmettere e se siamo attenti a trasmetterlo per formare nei lavoratori, nei preposti e nei dirigenti il “sedimento” di cui prima parlavo.

 

Una strategia comunicativa: lo storytelling

Mi permetto a questo riguardo di citare un metodo formativo che aiuta questo procedimento: lo “storytelling”. Da un punto di vista semantico, lo storytelling è un “forestierismo” mutuato dalla lingua inglese che non trova traduzione letterale nella nostra lingua: letteralmente significa “raccontare storie/novelle”.

In realtà lo storytelling non è un vero e proprio “metodo”, ma una strategia comunicativa che è possibile utilizzare all’interno di ciascun metodo, vale a dire: nella lezione frontale posso utilizzare lo storytelling per chiarire un concetto, nelle esercitazioni, posso utilizzare lo storytelling per creare il “case history” e nelle simulazioni posso utilizzarlo come “sceneggiatura”. Lo storytelling ha perciò lo scopo di trasmettere e comunicare determinate informazioni “chiave”, in modo che il ricevente sia in grado di apprenderle in modo semplice, veloce e duraturo.

 

Facciamo un esempio. Il formatore deve spiegare gli “addetti alle emergenze. In una lezione frontale, “vecchio stile” si inizia cosi:

  1. l’art……del D.lgs 81….riferisce che………
  2. Tutte le aziende quindi devono avere gli addetti alle emergenze…
  3. Cosa sono dunque le emergenze…..,
  4. Quali corsi bisogna fare, etc, etc…

 

Si può certamente affrontare questo discorso con la lezione frontale, siamo tutti formatori straordinari dotati delle più interessanti e carismatiche capacità oratorie. Ma al fine di “fissarenelle persone il “ricordo”, vale la pena fare degli esempi e dunque “narrare” e allora….

“Una signora, dipendente di un piccolo comune, era addetta alla biblioteca comunale: apriva e chiudeva il locale in totale autonomia. La signora era solita portarsi una stufetta da casa per riscaldare l’ambiente durante il periodo antecedente il 15 di ottobre, data fissata per l’accensione dei riscaldamenti. Un giorno la signora si reca in comune e chiede di poter aver una stufetta, poiché la sua non funzionava. Il manutentore/factotum del comune gliela fornisce, e recandosi con lei in biblioteca gliela “installa”. Dopo una mezz’oretta circa la stufetta, a detta della signora (nessuno difatti ha visto cosa è successo), “prende fuoco” e lei colta dal panico, esce in strada gridando “aiuto – accorruomo!” Trovandosi la biblioteca a livello del marciapiede, entrano nella biblioteca due persone, “staccano” la stufetta e la lanciano fuori dalla porta (sic!) e solo quando la stufetta è fuori dalla porta, usano un estintore (polvere). Nessuno si è fatto male.”

Questa è la “storia” ed ognuno che l’ha letta si è creato una sua immagine di essa.

 

La prima cosa che dobbiamo capire è che all’interno di ciascuna storia, al di là delle personali immaginazioni, ci sono fatti che sono senz’altro “veri”, altri che sono “verosimili” ed altri probabilmente inventati. Quindi potremmo chiederci: quali fatti sono veri, verosimili oppure inventati della storia appena letta? Ognuno se vuole si cimenti, tenendo presente che ci sono almeno due fatti veri: la signora era spaventata e sul marciapiede c’erano i segni dell’uso di un estintore a polvere. Essendo io uno dei consulenti del comune, e quindi non conoscendo tutti i dipendenti, feci però questa domanda al Sindaco: la signora ha fatto il corso di prevenzione incendi oppure no? La risposta la si può immaginare.

 

Le caratteristiche dello storytelling

Quanti concetti si possono spiegare raccontando una “storia” e adesso che l’abbiamo raccontata possiamo dire quali sono le caratteristiche dello storytelling.

  1. Lo storytelling come tecnica narrativa utilizza aspetti psicologici che si attivano inconsciamente. Nel momento in cui una storia viene raccontata, gli astanti vengono in un certo qual modo “ipnotizzati”. Questo meccanismo è noto come “trasporto narrativo” e agisce con un altro potente catalizzatore: il meccanismo di identificazione. Molto spesso infatti ci si identifica con una delle figure della storia, quella cui ci si sente più affini.
  2. Lo storytelling utilizza la drammaturgia per aumentare l’interesse degli astanti, ovvero combina gli elementi della storia in un “mix” di alta e bassa tensione emotiva in modo tale da catalizzare l’attenzione e cosi aumentare la capacità cognitiva di coloro i quali devono essere raggiunti dalle informazioni.
  3. Lo storytelling non comunica principalmente in modo “razionale” ma “emozionale. Le storie che vengono presentate non sono costruite in modo razionale, ad esempio in forma di “rapporto”, ma vengono costruite in modo “evocativo”, richiamando ad esempio alcuni archetipi (negativo – positivo – dolore – paura – fuoco – acqua) in modo da suscitare “emozione” in chi ascolta e l’emozione aiuta a recepire e a ricordare meglio

 

In conclusione potrei dire che ritengo l’utilizzo dello storytelling a partire dagli esempi della realtà, uno strumento fondamentale per creare e stabilire nelle persone, quel sedimento culturale della “salute e sicurezza” che è il vero scopo di tutto la nostra attività.

 

Ing. Gian Piero Marabelli



Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'

Pubblica un commento

Rispondi Autore: Emilia De Gregori - likes: 0
26/01/2018 (10:07:25)
Perfetto mi pare che l'ing. Gian Piero Marabelli abbia scritto un ottimo articolo, è vero, sono le storie vissute dalle persone che, raccontate nel modo corretto insegnano o meglio "lasciano il segno" più di tante slide. Complimenti ingegnere
Rispondi Autore: Roberto Bianchessi - likes: 0
26/01/2018 (13:06:21)
Condivido totalmente e pienamente un ingegnere formatore che si propone come formare da FORMATORE e NON da ingegnere. Grazie Gian Piero, Roberto
p.s. Scusate, ma per brevità, il bisticcio di parole
Rispondi Autore: Alessandro Claudio Orefice - likes: 0
27/01/2018 (12:53:51)
Bravo Giampiero,
complimenti anche in questa occasione
Rispondi Autore: CLAUDIO COMPAGNI - likes: 0
28/01/2018 (16:41:59)
Essendo formatore (ruolo che svolgo con molto piacere) non posso fare a meno di fare i complimenti all'Ing. Marabelli. Essendo inoltre anche ingegnere non posso fare a meno di condividere quanto scritto dal Sig. Bianchessi. Ottimo articolo!
Rispondi Autore: matteo - likes: 1
30/01/2018 (14:49:40)
"Ad esempio: se ad un corso di formazione “ carrellisti” il formatore/addestratore si presenta con la giacca e la cravatta, egli commette un errore comunicativo gravissimo che dimostra come alcune elementari regole di comunicazione “non verbale” vengano completamente ignorate."
Non ho parole.. a quanto pare qui si prova a trasformare competenze tecniche e Non Technical Skills in...... requisiti di abbigliamento! provo nausea...
quasi quasi al prossimo corso di aggiornamento carrellisti andrò in giacca e cravatta..così..giusto per fare il contrario di quanto disposto da questa "linea guida"

Pubblica un commento

Banca Dati di PuntoSicuro


Altri articoli sullo stesso argomento:


Forum di PuntoSicuro Entra

FORUM di PuntoSicuro

Quesiti o discussioni? Proponili nel FORUM!