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Datore, dirigente, preposto, delegato e “aree di gestione del rischio”

Datore, dirigente, preposto, delegato e “aree di gestione del rischio”
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

02/10/2014

Il “garante” quale “gestore del rischio”, il DVR quale “mappa dei poteri”, la delega quale “riscrittura della mappa dei poteri”: nelle motivazioni della sentenza Thyssen indicazioni di valore generale sulle posizioni di garanzia. Di Anna Guardavilla.

Milano, 2 Ott – Le motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sul caso Thyssenkrupp ( Cass. Pen., Sez. Un., 18 settembre 2014 n. 38343), depositate di recente, contengono importanti indicazioni di natura generale la cui validità non è limitata al caso oggetto del giudizio e che per la loro chiarezza e profondità di analisi possono a nostro parere risultare assai utili per gli operatori della prevenzione sul tema delle posizioni di garanzia, sul ruolo dell’RSPP, sull’istituto della delega di funzioni e sulla problematica relativa all’applicazione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
Su ciascuno di questi temi, a partire dal presente contributo che ha ad oggetto le posizioni di garanzia, verranno proposti in seguito degli specifici approfondimenti.
 
Sul tema delle posizioni di garanzia, risulta di estremo interesse il relativo capitolo della sentenza all’interno del quale la Corte adotta quale filo conduttore di tutti i ragionamenti che propone il collegamento tra la posizione del “garante” in materia di salute e sicurezza dei lavoratori (es. datore di lavoro, dirigente, preposto, delegato, …) e la gestione del rischio, o meglio le singole “sfere” o “aree” di gestione dello stesso.
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La “centralità dell’idea di rischio”. Le “aree di rischio” e le “sfere di responsabilità”
 
Il presupposto di partenza, nel ragionamento della Cassazione, è che il “contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell’idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l’immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l’uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli.”
E, nonostante il rischio sia “categorialmente unico”, esso – sottolinea la Corte – “si declina concretamente in diverse guise in relazione alla differenti situazioni lavorative.
Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare.”
Ciò vale “soprattutto nei contesti lavorativi più complessi”, in cui “si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio”.
Sul piano del diritto penale, le “distinte sfere di responsabilità gestionale” vanno separate le une dalle altre in quanto “conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto “gestore” del rischio. Allora, si può dire in breve, garante è il soggetto che gestisce il rischio”.
 
La Cassazione cita a questo punto alcuni esempi di orientamenti giurisprudenziali di legittimità in cui la “diversità dei rischi separa le sfere di responsabilità”.
A partire da quello che distingue il “rischio lavorativo” dal “rischio da ingresso abusivo” di un lavoratore in un cantiere, laddove, egli “è occasionalmente un lavoratore, ma la situazione pericolosa nella quale si è verificato l’incidente non è riferibile al contesto della prestazione lavorativa, sicché non entrano in questione la violazione della normativa antinfortunistica e la responsabilità del gestore del cantiere. Al momento dell’incidente non era in corso un’attività lavorativa. Pertanto il caso andava esaminato dal differente punto di vista delle cautele che devono essere approntate dal responsabile del sito per inibire la penetrazione di estranei in un’area pericolosa come un cantiere edile (nello stesso senso, in contesto non molto dissimile).”[1]
 
Per poi giungere all’orientamento [2] che ricollega il comportamento abnorme ed eccezionale del lavoratore “all’area di rischio propria della prestazione lavorativa.” [3]
 
 
I soggetti aziendali e le relative aree di gestione del rischio
 
Allorché devono essere concretamente individuati in un’organizzazione i ruoli - e quindi le persone fisiche - chiamati ad esercitare le posizioni di garanzia previste dalla legge in relazioni alle varie aree di rischio, dunque, occorre secondo le Sezioni Unite della Cassazione anzitutto “guardarsi dall’idea ingenua, e foriera di fraintendimenti, che la sfera di responsabilità di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine; e che questa stessa linea crei la sfera di competenza e responsabilità di alcuno escludendo automaticamente quella di altri. In realtà le cose sono spesso assai più complesse.”
Ciò detto, “lo scopo del diritto penale, tuttavia, è proprio quello di tentare di governare tali intricati scenari, nella già indicata prospettiva di ricercare responsabilità e non capri espiatori”.
E’ dunque importante ricostruire tali posizioni di garanzia secondo il criterio della gestione del rischio, laddove “ruoli, competenze e poteri segnano le diverse sfere di responsabilità gestionale ed al contempo definiscono la concreta conformazione, la latitudine delle posizioni di garanzia, la sfera di rischio che deve essere governata.”
 
E per identificare ruoli, competenze e poteri occorre partire da quella che la Cassazione chiama la “mappa dei poteri”: il Documento di Valutazione dei Rischi.
 
 
L’art. 28 T.U.: L’individuazione dei ruoli con “competenze e poteri” nel DVR quale “mappa dei poteri”
 
La Cassazione ricorda che “un’importante indicazione normativa per individuare in concreto i diversi ruoli deriva dall’art. 28, relativo alla valutazione dei rischi ed al documento sulla sicurezza, che costituisce una sorta di statuto della sicurezza aziendale. La valutazione riguarda «tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori».
Il documento deve contenere la valutazione dei rischi, l’individuazione di misure di prevenzione e protezione, l’individuazione delle procedure, nonché dei ruoli che vi devono provvedere, affidati a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri.
Si tratta quindi di una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità cui ognuno dovrebbe poter accedere per acquisire le informazioni pertinenti.”
 
 
Il datore di lavoro, il dirigente e il preposto quali garanti a titolo originario: le sfere di responsabilità
 
Una volta inquadrato il DVR come mappa dei poteri e delle responsabilità, secondo la Cassazione ai fini dell’individuazione delle posizione di garanzia “di grande interesse è l’art.299: l’acquisizione della veste di garante può aver luogo per effetto di una formale investitura, ma anche a seguito dell’esercizio in concreto di poteri giuridici riferiti alle diverse figure.”
Con riferimento ai soggetti previsti da tale norma, ovvero datore di lavoro, dirigente e preposto, “la sfera di responsabilità organizzativa e giuridica così delineata è per così dire originaria. In particolare, “essa è generata dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garanti.”
 
A questo punto le Cassazione descrive quale sia il criterio per l’individuazione di tali posizioni di garanzia - a partire dall’individuazione del rischio - e come vada applicato: nell’individuazione del garante, soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva.
Ad esempio, semplificando nel modo più banale, potrà accadere che rientri nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa; in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo. Naturalmente, il quadro proposto è molto semplificato ed idealizzato e diviene non di rado assai più complesso nella realtà; quando, come nel caso in esame, le scelte di fondo sono il frutto dell’azione concertata di diverse figure che a quelle scelte hanno contribuito.
Con riferimento al caso oggetto del giudizio, “nell’ambito di organizzazioni complesse, d’impronta societaria, la veste datoriale non può essere attribuita solo sulla base di un criterio formale, magari indiscriminatamente estensivo, ma richiede di considerare l’organizzazione dell’istituzione, l’individuazione delle figure che gestiscono i poteri che danno corpo a tale figura ed ai quali si è sopra fatto cenno…”
 
 
Il delegato quale garante a titolo derivato: la distinzione tra delegato e dirigente/preposto
 
Si è parlato finora dei garanti in via originaria.
Tuttavia va tenuto in considerazione che “l’investitura del garante può essere non solo originaria ma derivata”,nel caso della delega di funzioni.
Quando si parla della figura del delegato, occorre però sgombrare il campo da equivoci.
Infatti, la materia della delega richiede un chiarimento di fondo piuttosto importante. È diffusa l’opinione (e la si rinviene spesso negli atti giudiziari) che i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto nascano necessariamente da una delega. Al contrario, le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall’investitura o dal fatto.
La delega è invece qualcosa di diverso: essa, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo.
Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato.”
E la sentenza conclude: la delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l’altro, come l’art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza “alta”, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma ciò che qui maggiormente rileva è che non vi è effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all’ambito delegato. In breve, la delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri.”


Anna Guardavilla
 
 



[1] Cass. Pen., Sez. IV, n. 44206 del 25/09/2001, Intrevado, Rv. 221149. Si veda anche Cass. Pen., Sez. IV, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215.
[2] Cass. Pen., Sez. IV, n. 3510 del 10/11/1999, Addesso, Rv. 183633; Sez. IV, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 203223. Inoltre, “nello stesso senso, con diverse inflessioni in relazione ai vari casi, Sez. 4, n. 2172 del 13/11/1984, Accettura, Rv. 172160; Sez. 4, n. 12381 del 18/03/1986, Amadori, Rv. 174222; Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, Dell'Oro, Rv. 183199; Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991, Lapi, Rv. 188202; Sez. 4, n. 8676 del 14/06/1996, Ieritano, Rv. 206012.”
[3] La Corte sottolinea in questo caso che la giurisprudenza tende a ritenere che il comportamento del lavoratore si pone al di fuori della responsabilità del datore di lavoro “non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione”.


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