Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'
Crea PDF

Cassazione: sulle responsabilità di un coordinatore per la sicurezza

Cassazione: sulle responsabilità di un coordinatore per la sicurezza
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Sentenze commentate

31/10/2017

Una sentenza relativa alla caduta dal tetto di un piccolo imprenditore e alla eventuale responsabilità del coordinatore dei lavori. L’erronea contestazione degli articoli di legge violati. A cura dell’avvocato Rolando Dubini.

Pubblicità
MegaItaliaMedia

1. La sentenza in sintesi

“Il 5 settembre 2007 G.C. era precipitato al suolo dal tetto di una villetta in costruzione presso il cantiere in Robbiate della S.r.l. Il Dosso, facente capo ai fratelli G. e C. B., che vedeva nella DMF Costruzioni S.r.l. il soggetto al quale la proprietaria committente aveva appaltato i lavori di edificazione di sei villette. Per rispondere delle lesioni riportate dal G.C., socio della G.C. S.n.c., alla quale la DMF Costruzioni aveva subappaltato i lavori di copertura dei tetti, erano stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Lecco F.N. , G.B.,D'A.M., C.B. e C.A..

All'esito del giudizio di primo grado il Tribunale aveva accertato che il G.C. aveva terminato prima della pausa estiva i lavori di copertura della villetta teatro del sinistro, e pertanto il ponteggio che era stato collocato in corrispondenza di tale villetta era stato smontato, per essere installato presso un diverso manufatto, cosicché quando, alla ripresa dei lavori, nel mese di settembre, al G.C. era stato richiesto di riallineare le tegole non perfettamente collocate, questi si era portato sul tetto e durante gli spostamenti era scivolato ed era caduto nel vuoto, stante la mancanza di metà del ponteggio nella zona in cui doveva essere sistemata la copertura. Ad avviso del Tribunale di tale fatto doveva rispondere innanzitutto il F.N., quale coordinatore per la progettazione e l'esecuzione nominato dalla committente, perché non aveva eseguito alcuna concreta azione di coordinamento. Nell'esaminare il piano di sicurezza e di coordinamento il Tribunale ravvisava incongruenze definite "sorprendenti", come quella di prevedere la realizzazione di una sola villetta, laddove nella realtà ne erano in costruzione ben sei.

Nell'esaminare il precedente ricorso per cassazione proposto da F.N., nei confronti della sentenza del 6 maggio 2013 della Corte d'appello di Milano, di conferma della condanna per il reato di lesioni colpose, era stata rilevata la sussistenza del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente riguardo alla discrepanza tra la contestazione di colpa, consistente, tra l'altro, nella violazione degli artt.10,16 e 68 del d.P.R. n. 164 del 1956, e la violazione degli obblighi posti a carico del coordinatore per l'esecuzione dei lavori dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 494 del 1996, non oggetto di formale contestazione, ma nonostante ciò posta a base della affermazione di responsabilità dello stesso F.N. da parte del Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte d'appello.

Al riguardo è stato sottolineato come la Corte d'appello, in presenza di una specifica doglianza sul punto da parte del F.N., avrebbe dovuto verificare se la ricostruzione del suo comportamento trasgressivo fosse stata preceduta da un procedimento nel quale questi fosse stato messo in condizioni di difendersi dall'accusa di esser venuto meno agli obblighi specificatamente posti in capo al coordinatore, in modo da esplicitare se la indubbia asimmetria tra la contestazione formalizzata con il decreto che dispone il giudizio e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti.

In difetto di tale verifica è stato disposto il rinvio per nuovo esame sul punto”.

 

Conclude in relazione al nuovo giudizio di Cassazione la Suprema Corte, in modo non facilmente comprensibile: “l'imputato era stato messo in condizione di difendersi dall'accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori; sia della violazione degli artt. 10, 16 e 68 d.P.R. n. 164 del 1956, i cui precetti non sono stati considerati nella valutazione della condotta dell'imputato, esaminata con riferimento alle condotte descritte nei capi di imputazione relativi alle contravvenzioni, condotte ritenute allo stesso ascrivibili non quale datore di lavoro ma come coordinatore dei lavori, così come descritte in dette imputazioni. Ciò determina l'irrilevanza anche dell'inosservanza delle forme del procedimento amministrativo di contestazione di cui agli artt.20 e 21 d.lgs. 758/1994, relativo alle disposizioni antinfortunistiche, nella specie non oggetto di esame né di contestazione all'imputato, dunque privo di rilievo in relazione al reato di cui all'art. 590 cod. pen. contestato all'imputato, per la cui procedibilità non è necessario l'espletamento preventivo di tale procedimento.

 Nella vicenda in esame la Corte d'appello, investita nel giudizio di rinvio del compito di verificare se la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale, che aveva ravvisato la responsabilità del F.N. per la violazione degli artt. 4 e 5 del D.lgs. 494/96, non richiamati nella imputazione, fosse stata preceduta da un procedimento nel quale l'imputato fosse stato messo in condizione di difendersi dall'accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, ha ritenuto che nel corso del giudizio il F.N. avesse avuto piena consapevolezza della portata della contestazione a suo carico, tenendo conto degli elementi probatori acquisiti in contraddittorio.

In proposito la Corte d'appello ha, anzitutto, sottolineato come l'imputazione facesse riferimento all'incarico del F.N. di coordinatore dei lavori in fase di progettazione e realizzazione, dunque a una specifica figura introdotta da d.lgs. n. 494 del 1996, incaricata essenzialmente dell'approntamento del piano di sicurezza e di coordinamento dell'intero cantiere (art. 4) e della verifica dell'adempimento da parte delle imprese in esso operanti delle norme e di sicurezza e coordinamento (art. 5).

La Corte territoriale, pur dando atto della estraneità del coordinatore ai precetti contenuti negli artt. 10, 16 e 68 del d.P.R. 164 del 1956, in quanto rivolti ai datori di lavoro, ha tuttavia sottolineato la rilevanza, sul piano della specificazione delle concrete condotte colpose addebitate all'imputato quale coordinatore dei lavori, delle condotte descritte in tali imputazioni, e in particolare delle omissioni delle cautele di sicurezza alle quali è stata ricondotta la verificazione dell'evento (e cioè la caduta del G.C. dal tetto), nell'ambito delle quali è stato sottolineato il rilievo della omissione della vigilanza sulla predisposizione dei sistemi di protezione dalla cadute dall'alto, risultate inadeguate”. 

Secondo la Cassazione la Corte territoriale avrebbe “ampiamente indicato la rilevanza diretta delle omissioni dell'imputato nella verificazione dell'evento, conseguente alla inadeguatezza e alle incongruenze del progetto dei lavori e del piano di sicurezza, aventi efficacia diretta nella produzione dell'evento, in combinazione con la disposizione impartita [da altro imputato, condannato] al G.C. [infortunato] di riprendere le lavorazioni sul tetto nonostante lo smantellamento dei ponteggi, cui, però, l'imputato non era estraneo, posto che la sua veste di coordinatore dei lavori gli imponeva di vigilare anche su tali disposizioni [ovvero sul fatto che una mattina un soggetto dà un ordine inaspettato all’infortunato - nota di Rolando Dubini],

 

2. Commento

La Cassazione decide in via definitiva un lungo procedimento durato sette anni e mezzo, e già passato al vaglio della Suprema Corte anni prima che annullò l'originaria sentenza della Corte d'Appello di Milano, che aveva inopinatamente confermato una precedente sentenza n. 683/2011 del 12.12.2011 del Tribunale di Lecco [con iniziale condanna del CSE a ben un anno e tre mesi tra reclusione ed arresto, che infine dopo sette anni e mezzo è stata cancellata per intervenuta prescrizione dichiarata dapprima dalla Corte d'Appello di Milano, e confermata dalla Cassazione nella sua seconda decisione su questo lungo procedimento relativo a lesioni personali colpose in cantiere di un piccolo imprenditore]. Ora ancora una volta è al vaglio della Suprema Corte una seconda sentenza della Corte d'Appello di Milano, che disattendendo le istanze assolutorie difensive, ha ritenuto di doversi dichiarare l'intervenuta prescrizione del reato, che non è soluzione appagante per la difesa in quanto lascia pienamente sul tappeto le questioni civilistiche connesse.

 

La Corte d’Appello, a nostro avviso di difensori, aveva fatto nel caso specifico un illegittimo governo dei principi sanciti dalla precedente sentenza della Cassazione, la quale pretendeva giustamente di “verificare se la ricostruzione da parte del giudice di primo grado, che ha ritenuto la colpevolezza del medesimo per la violazione di norme, artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 494/96, non richiamate nel capo di imputazione [nel quale anzi al CSE si contestava, incredibilmente, la violazione di alcuni articoli del DPR 164/1956, sia stata preceduta da un procedimento nel quale [l'imputato] fosse stato messo in condizione di difendersi”. Nell’ordinamento italiano il primo procedimento di questo genere, per il caso specifico,  è quello della prescrizione obbligatoria in materia di reati di igiene e sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. n. 758/1994.

 

Con sentenza n. 46151, del 20 novembre 2015, (9 dicembre 2015) la Sezione III della Corte di Cassazione ha affermato che il provvedimento di prescrizione, di cui alla L. n. 758/94 e all’art. 15 del D.lgs. n. 124/04, costituisce condizione di procedibilità dell’azione penale. La mancata adozione o notificazione del provvedimento, nell’ipotesi in cui tale condizione sia prevista ex lege, comporta l’improcedibilità dell’azione (nel nostro caso per i reati che sono propri del Coordinatore per l’esecuzione dei lavoro nei cantieri mobili e temporanei)  e l’assoluzione dell’imputato.

 

La Cassazione Penale, Sez. 3, 20 novembre 2015, n. 46151 chiarisce che “come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di lavoro prevista dagli artt. 20 e ss. del D. Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, si qualifica, in una prima fase, come condizione di procedibilità dell'azione penale, da tenere distinta dalla condizione di punibilità afferente ad una fase successiva. A tenore, infatti, degli artt. 20 e ss. della legge in parola è previsto che in esito ai controlli da parte dell'organo di vigilanza, vengano impartite al contravventore ... apposite prescrizioni con la indicazione di un termine necessario per procedere alla regolarizzazione, seguite poi da una verifica da compiersi a cura dell'organo di vigilanza, diretta ad accertare se le dette prescrizioni siano state adempiute nel termine prestabilito e con invito, in caso positivo, rivolto al contravventore affinché provveda al pagamento in via amministrativa di una sanzione pecuniaria predeterminata. E' obbligo per l’organo di vigilanza quello di comunicare al pubblico ministero o l'adempimento tempestivo della prescrizione seguito dal regolare e tempestivo pagamento della sanzione pecuniaria ovvero il mancato adempimento nei termini per l'eventuale azione penale (per una completa ricostruzione della disciplina dettata dalla L. 758/94 cfr. Sez. 3A n. 18.12.1998 n. 13340, Curaba, Rv. 212484).

La condizione di procedibilità afferisce quindi ad un momento diverso ed antecedente rispetto alla notificazione della prescrizione, nel senso che, in attesa che al Pubblico Ministero pervenga una delle comunicazioni cui è tenuto l'Organo di vigilanza, il procedimento rimane sospeso sino a quel momento, mentre nel caso in cui l'adempimento sia avvenuto regolarmente e nei termini il contravventore abbia provveduto al pagamento della sanzione pecuniaria, il reato si estingue.

In caso negativo il reato sussiste nei suoi elementi costitutivi prima ancora che si apra e si concluda l'anzidetto "incidente amministrativo" che condiziona la prosecuzione e l'esito del procedimento penale”.

Nel caso di specie è mancata l’attivazione da parte dell’organo di vigilanza della Asl competente della procedura contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 758/1994, ed è dunque venuta meno la condizione di procedibilità prevista dalla legge: questo perché il CSE non ha potuto prima avvantaggiarsi della possibilità di estinzione anticipata del reato, e dopo non ha potuto difendersi dalla contestazione di tali reati contravvenzionali avvenuta al di fuori dei capi d'imputazione regolarmente contestati, ma del tutto inconferenti in quanto relativi al dpr 164/1956 che NON si applica al Coordinatore di Cantiere per la Sicurezza.

Nel caso di specie è mancata l’attivazione da parte dell’organo di vigilanza della Asl competente della procedura contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 758/1994, ed è dunque venuta meno la condizione di procedibilità prevista dalla legge: questo perché il CSE non ha potuto prima avvantaggiarsi della possibilità di estinzione anticipata del reato, e dopo non ha potuto difendersi dalla contestazione di tali reati contravvenzionali avvenuta al di fuori dei capi d'imputazione regolarmente contestati, ma del tutto inconferenti in quanto relativi al dpr 164/1956 che NON si applica al Coordinatore di Cantiere per la Sicurezza.

 

Correttamente, prosegue la sentenza da ultimo citata, si “qualifica come condizione di procedibilità la comunicazione diretta al [contravventore] finalizzata alla indicazione delle prescrizioni da adempiere in vista di una successiva regolarizzazione, seguita, poi, dal pagamento delle sanzioni nei termini prescritti.”. Cosa nel procedimento oggetto del presente ricorso non è mai avvenuta.

 

Si tratta di un principio consolidato e risalente nella giurisprudenza di legittimità: “in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, il preventivo esperimento della procedura di definizione amministrativa, ai sensi dell'art. 24 d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, costituisce una condizione di procedibilità dell'azione penale. Il giudice quindi non può pervenire ad una pronuncia nel merito se preventivamente non abbia accertato che vi è la prova della effettiva notificazione delle prescrizioni imposte al contravventore dall'organo di vigilanza, dell'accertamento da parte dell'organo di vigilanza del mancato adempimento di tali prescrizioni e della mancata eliminazione delle violazioni nel termine e secondo le modalità indicate, nonché del mancato pagamento della eventuale sanzione amministrativa [Pres. G. De Maio, Rel. A. Franco, Ric. Giuca. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 20/03/2009 (Ud. 8/01/2009), Sentenza n. 12483]”

Noi difensori abbiamo ribadito che (come nel nostro secondo atto di appello per il secondo giudizio in Appello) “mai è stato notificato al Nicolini un verbale di prescrizione di cui al D.Lgs. n. 758/1994, e che questa mancata notifica, secondo la Suprema Corte, costituisce condizione per annullare la condanna per quel che riguarda i citati reati contravvenzionali.  Il Supremo Collegio ha affermato, infatti, che <<nel caso in cui il pubblico ministero non fornisca prova della notifica del verbale di prescrizioni al [contravventore], non spetta a quest'ultimo provare di non averne avuto conoscenza, in quanto incombe all'organo dell'accusa l'onere di provare che detto verbale, redatto dall'organo di vigilanza ai sensi del Decreto Legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, articolo 20, è stato ritualmente notificato al datore di lavoro, ovvero che l'atto è stato altrimenti portato a conoscenza di quest'ultimo’ (cfr Cass. Pen. Sezione III - Sentenza n. 29600 del 25 luglio 2011 - Pres. Ferrua – Est. Mulliri Guicla– P.M. Fodaroni - Ric. A.S. e A.G.)”.

 

Appare poi davvero incredibile il ragionamento sviluppato dalla Corte d’appello (seconda sentenza della Corte d'Appello) laddove nel negare l’assoluzione  stabilisce una estensibilità al coordinatore degli obblighi affatto diversi di cui agli articoli 10, 16 e 68 del D.P.R. 164/1956, citiamo testualmente l'incredibile affermazione contenuta nella sentenza della Corte d'Appello sezione I Penale di Milano n. 609/2016 (depositata il 24.3.2016): “la contestazione di cui al capo a) riguarda l’avere agito con colpa, per negligenza e imprudenza nonché con violazione di specifiche norme per la sicurezza dei lavoratori e precisamente gli artt. 10, 16 e 68 del dpr 164/56. In relazione a tali ultime norme, pur avendo esse come destinatari delle prescrizioni i datori di lavoro e non ancora, all’epoca della commissione dei reati per cui si procede [sic n.d.r.], il coordinatore dei lavori, va precisato che la formulazione dei capi b) c) e d) di imputazione, fa riferimento ad un contenuto che è comunque estensibile al coordinatore, nel senso  che specifica l’omissione delle cautele di sicurezza da cui è dipesa la verificazione dell’evento, in particolare in relazione al capo b) l’omissione della vigilanza sulla predisposizione dei sistemi di ponteggio a prevenzione delle cadute dall’alto” [che difatti sono compiti del datore di lavoro  non del coordinatore – nota del ricorrente].

E' incredibile, la Corte d'Appello di Milano sezione I sostiene l'incredibile tesi per la quale gli obblighi primari e i poteri impeditivi diretti del datore di lavoro, e delle figure ad esso collaterali, quali i dirigenti e preposti, sono gli stessi della totalmente diversa figura del coordinatore per la sicurezza nel cantiere. 

Basta leggere le norme che, incredibilmente, sono state contestate al Coordinatore di cantiere F.N. Difeso dallo scrivente per rendersi conto dell'incredibile confusione giuridica in cui è caduta la Corte d'Appello di Milano:

 

Decreto presidente della Repubblica 7 Gennaio 1956, n. 164 - Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni (Gazzetta Ufficiale 31 Marzo 1956, n.78-Suppl. Ord.)

CAPO I - CAMPO DI APPLICAZIONE

 

Art. 1. Attività soggette - 1. La prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni è regolata dalle norme del presente decreto e, per gli argomenti non espressamente disciplinati, da quelle del decreto del Presidente della Repubblica 27 Aprile 1955, n. 547.

2. Le norme del presente decreto si applicano alle attività che, da chiunque esercitate e alle quali siano addetti lavoratori subordinati, concernono la esecuzione dei lavori di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le linee e gli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche, di bonifica, sistemazione forestale e di sterro.

 

Art. 3 All'osservanza delle norme del presente decreto sono tenuti coloro che esercitano le attività indicate all'art. 1 e, per quanto loro spetti e competa, i dirigenti, i preposti ed i lavoratori in conformità agli art. 4, 5 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 27 Aprile 1955, n. 547.

 

Art. 10 Cinture di sicurezza - 1. Nei lavori presso gronde e cornicioni, sui tetti, sui ponti sviluppabili a forbice e simili, su muri in demolizione e nei lavori analoghi che comunque espongano a rischi di caduta dall'alto o entro cavità, quando non sia possibile disporre impalcati di protezione o parapetti, gli operai addetti devono far uso di idonea cintura di sicurezza con bretelle collegate a fune di trattenuta.

2. La fune di trattenuta deve essere assicurata, direttamente o mediante anello scorrevole lungo una fune appositamente tesa, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali.

3. La fune e tutti gli elementi costituenti la cintura devono avere sezioni tale da resistere alle sollecitazioni derivanti da un'eventuale caduta del lavoratore.

4. La lunghezza della fune di trattenuta deve essere tale da limitare la caduta a non oltre m 1,50.

5. Nei lavori su pali l'operaio deve essere munito di ramponi e di cinture di sicurezza.

 

CAPO IV - PONTEGGI E IMPALCATURE IN LEGNAME

Art. 16 Ponteggi ed opere provvisionali

Nei lavori che sono eseguiti ad un'altezza superiore ai m 2, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature e ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose.

 

 

Art. 68 Difesa delle aperture

1. Le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio.

2. Qualora le aperture vengano usate per il passaggio di materiali o di persone, un lato del parapetto può essere costituito da una barriera mobile non asportabile, che deve essere aperta soltanto per il tempo necessario al passaggio.

3. Le aperture nei muri prospicienti il vuoto o vani che abbiano una profondità superiore a m 0,50 devono essere munite di normale parapetto e tavole fermapiede oppure essere convenientemente sbarrate in modo da impedire la caduta di persone.

 

Si tratta di obblighi operativi contingenti e quotidiani che NULLA hanno a che vedere con il concetto di “alta vigilanza” che il D.Lgs. 81/2008 (e prima 494/1996) ha assegnato al CSE.

Difatti totalmente diversi sono i compiti, assegnati solo dal 1996, dalla legge al coordinatore:

 

Art. 4. Obblighi del coordinatore per la progettazione (D.Lgs. n. 494/1996)

1. Durante la progettazione dell'opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione:

a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all. art.12, comma 1;

b) predispone un fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell'allegato II al documento Ue 26/o5/93. Il fascicolo non è predisposto nel caso di lavori di manutenzione ordinaria di cui all.art.31, lettera a), della legge 5 agosto 1978, n. 457.

2. Il fascicolo di cui al comma 1, lettera b), è preso in considerazione all'atto di eventuali lavori successivi sull'opera.

3. Con decreto del ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato, della sanità e dei lavori pubblici, sentita la commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene del lavoro di cui all'art.393 del decreto del presidente della repubblica 27 aprile 1955, n.547, come sostituito e modificato dal decreto legislativo n.626 del 1194, in seguito denominata "commissione prevenzione infortuni", sono definiti i contenuti del fascicolo di cui al comma 1, lettera b).

Art. 5. Obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori

1. Durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori provvede a:

a) verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art.12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;

b) verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all'art.12, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, e adeguare il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolo di cui all'art.4, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;

c) organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonchè la loro reciproca informazione;

d) verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;

e) segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni, degli artt.7, 8 e 9, e alle prescrizioni del piano di cui all'art.12 e proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi del cantiere o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l'esecuzione provvede a dare comunicazione dell'inadempienza alla Azienda unità sanitaria locale territoriale competente e alla Direzione provinciale del lavoro;

f) sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.

1-bis. Nei casi di cui all'art.3, comma 4-bis, il coordinatore per l'esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1, redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo, di cui all'art.4, comma 1, lettere a) e b).

 

 

Non c'è nulla di quanto indica il vecchio DPR 164/1966 nel successivo dlgs 494/1996 (ora titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008).

 

Ed è la giurisprudenza della Suprema Corte a confutare con nettezza quanto contenuto nella sentenza d’appello contro qui si ricorre [ Cassazione Penale, Sez. 3, 19 ottobre 2015, n. 41820]:

Come già affermato da questa Corte, con riguardo alla figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui all'art. 92,  d. lgs. n. 81 del 2008, occorre rilevare che i compiti assegnati alla stessa risalgono al  d. lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della  Direttiva 92/57/CEE) - nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili - a fianco di quella del committente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e coordinamento, diversamente a lui riferibili, implicanti particolari competenze tecniche. La definizione dei relativi compiti e della connessa sfera di responsabilità discende, pertanto, da un lato, dalla funzione di generale, "alta vigilanza" che la legge demanda allo stesso, dall'altro dallo specifico elenco, originariamente contenuto nell'art. 5, d. lgs. n. 494 del 1996, ed attualmente trasfuso nel citato art. 92, d. lgs. n. 81 del 2008, in forza dei quale il coordinatore per l'esecuzione è tenuto a verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel Piano di Sicurezza e di Coordinamento (P.S.C.) e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; a verificare l'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (P.O.S.), assicurandone la coerenza con il P.S.C., che deve provvedere ad adeguare in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere; a verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi P.O.S.; ad organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione; a verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere; a segnalare, al committente o al responsabile dei lavori, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 94, 95 e 96, e art. 97, comma 1, e alle prescrizioni dei P.S.C., proponendo la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione dei contratto in caso di inosservanza; a dare comunicazione di eventuali inadempienze alla Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti; a sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. In forza di quanto precede, risulta quindi evidente che - come affermato dal ricorrente - il coordinatore per l'esecuzione riveste un ruolo di vigilanza "alta", che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza "momento per momento", demandata alle figure operative, ossia al datore di lavoro, al dirigente, al preposto (tra le altre, Sez. 4, n.  3809 del 7/1/2015, Cominotti, Rv. 261960; Sez. 4, n. 443 del 17/01/2013, Palmisano, Rv. 255102; Sez. 4, n.  18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536).”

Quid iuris, allora?

 

I vari P.M., e i vari giudici che hanno deciso nei vari processi di merito a carico del CSE F.N. hanno, certamente e clamorosamente, sbagliato a contestare all’imputato la violazione di norme antinfortunistiche che neppure nominavano il suo ruolo e che mai i servizi ispettivi delle Asl hanno contestato all'imputato [DPR 164/1956], ma siffatto errore non può essere corretto, sic et simpliciter, dal giudice di merito applicando all’imputato, ora per allora, disposizioni diverse da quelle oggetto di addebito. Come ha fatto negandogli l'assoluzione.

Né appare praticabile, in tal caso, la strada della diversa qualificazione giuridica del fatto, a cui, alle condizioni di legge, il giudicante può ricorrere: la qual cosa perché, se il fatto deve comunque restare lo stesso, non si vede come possa considerarsi tale un fatto prevedente una qualifica soggettiva (coordinatore dei lavori) affatto diversa, e nuova, rispetto a quelle considerate dalle norme contestate (datori di lavoro e dirigenti, preposti, lavoratori). E che prevede obblighi diretti di prevenzione e protezione del singolo lavoratore del tutto estranei agli obblighi indiretti di coordinamento del CSE.

 

Inoltre la corte d’appello (del secondo processo in appello) insistette nel travisamento del fatto, da intendersi, giusta l’insegnamento della S.C., come erronea valutazione delle risultanze processuali (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. V, 25-9-2007, n. 39048, in CED Cass., 2007).

Più in particolare, ci si riferisce alla omessa e comunque inadeguata considerazione delle ragioni della difesa in ordine alla giuridica estraneità del N. all’accusa di avere cagionato, in cooperazione colposa con altri, per negligenza, imprudenza e violazione di specifiche disposizioni antinfortunistiche, le lesioni descritte in imputazione.

A prescindere, qui, dalle violazioni degli artt. 521 e 522 c.p.p., dalla lettura della sentenza impugnata in Cassazione traspare, chiaramente, la volontà del giudicante di non concedere spazio alcuno alle argomentazioni difensive.

Infatti, anche ad accedere alla (peraltro inaccettabile) prospettiva del giudicante di ritenere applicabile al N. l’art. 5 del d. lgs. n. 494/1996, inaccettabile perché mai contestato nelle forme di rito con un idoneo verbale di prescrizione ex D.Lgs. n. 758/1994, è del tutto evidente come i compiti di tale figura professionale non potessero andare oltre i limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, ossia:

- assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione;

- adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori;

- vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (così Cass. pen., Sez. IV, 03.04.2003, n. 24010, in CED Cass., 2004).

 

Orbene, che l’imputato abbia trasgredito i doveri suddetti non è stato in nessun modo provato dal processo, né a lui contesto prima del processo nelle forme di legge (non è stato esibito in giudizio alcun verbale di prescrizione) dal momento che la sentenza parla di inadeguatezza del Piano di Sicurezza e Coordinamento da lui predisposto, ma non offre di ciò alcuna dimostrazione; e “legge” le differenze tra il Piano fornito dapprima alla committenza quello poi dato ai funzionari dell’ASL dopo l’incidente in chiave esclusivamente colpevolista, come un maldestro tentativo a posteriori di adeguare le risultanze documentali alla situazione di fatto (ed anzi insinua il dubbio di una vera e propria falsificazione), ma dimentica la soluzione più ragionevole, che è quella di interpretare le differenze in questione come semplice attuazione del dovere, incombente sul coordinatore ex art. 5, lett. b), d. lgs. n. 494/1996, di adeguare il Piano alle esigenze emerse in corso d’opera.

 

La nuova pronuncia d’appello invece, come la precedente, ignora del tutto, o liquida sbrigativamente ed immotivatamente come inaffidabili, le risultanze relative alle iniziative assunte dal coordinatore nell’esercizio dei compiti demandatigli.

Prova significativa di siffatto atteggiamento a dir poco preconcetto è la circostanza che consideri inattendibile – pur senza tacciarlo espressamente di falsità – il verbale del sopralluogo effettuato in cantiere dall’imputato una settimana prima dell’incidente, e prodotto dalla difesa in giudizio a sostegno della diligenza della condotta di quello; senza tuttavia dare della sua valutazione negativa alcuna spiegazione, se si esclude il riferimento alla presunta <<disinvoltura>> con cui, nella vicenda, si sarebbero <<moltiplicati, in esito all’infortunio, i documenti>> (così a p. 14 della motivazione). 

 

La seconda censura riguarda l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato contenuta in sentenza riguarda l’inquadramento giuridico della condotta di quello, configurata, come si legge a p. 14 della sentenza del Tribunale, un’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio.

Mentre della non applicabilità all’ing. N. della normativa antinfortunistica contestagli in base al decreto presidenziale del 1956 si è già parlato, e non occorre dunque ritornare sull’argomento, lascia invero interdetti che il giudicante, che, pur di giungere a dichiarare la colpevolezza del soggetto Coordinatore per la Sicurezza normativamente previsto, non si faccia scrupolo di teorizzare a suo carico il concorso esterno nel reato proprio ascrivibile ad altri, senza tenere in minimo conto la natura colposa del reato.

 

Poiché all’imputato è stato contestato il reato di lesioni personali in cooperazione colposa con altre persone, trova certamente applicazione nel caso di specie quanto ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, premesso che <<in ogni caso, il concorso di persone nel reato presuppone condotte poste in essere di comune accordo (…), in tema di cooperazione nel delitto colposo, perché la condotta di ciascun concorrente risulti rilevante ai sensi dell’art. 113 c.p., occorre che essa, singolarmente considerata, violi la regola di cautela e che tra le condotte medesime esista un legame psicologico>> (così Cass. pen., Sez. IV, 10.03.2005, Budano).

 

Ed allora, in mancanza di ogni specifica prova del legame psicologico tra l’ing. N. e i suoi presunti correi, ecco che non alla “immaginifica” figura del concorso dell’extraneus nel reato proprio avrebbe dovuto far ricorso il giudice, ma – se mai – invocare il concorso di cause colpose indipendenti, che si ha quando più soggetti contribuiscano colposamente a cagionare l’evento, senza tuttavia la consapevolezza di contribuire alla condotta altrui.  

 

Se il Tribunale prima, e le Corti d'Appello dopo, ha preferito parlare di concorso dell’estraneo nel reato proprio di altri, ciò dipende unicamente dal fatto che ha comunque ben chiaro che la normativa del 1996 (la quale, per prima, ha previsto la figura del coordinatore per la sicurezza dei lavori nei cantieri edili), siccome non contestata dal P.M., risulti inapplicabile; e dunque, ferma mantenendo la sussumibilità delle qualifiche soggettive degli altri accusati nella previsione degli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164/1956, ha preferito “ripiegare”, quanto al N., sull’ardita tesi del concorso esterno nell’altrui reato proprio.

Questa via, però, a guisa di un serpente che si morda la coda, non conduce, giuridicamente, da nessuna parte: giacché, da un lato, le norme antinfortunistiche la cui violazione è stata contestata non contemplavano affatto il ruolo dell’ing. N.; mentre, dall’altro, non v’è prova alcuna che egli abbia trasgredito alle disposizioni con la consapevolezza di contribuire, ab externo, a causare colposamente l’evento lesivo. 

Il terzo profilo critico, strettamente collegato al precedente, riguarda la non adesione della decisione alle risultanze processuali, e dunque, in definitiva, il suo carattere illogico e contraddittorio.

Il vizio è rilevabile da ciò: che, per dichiarare colpevole e condannare l’ing. N. per la violazione di norme antinfortunistiche mai contestategli, il Tribunale ha preferito avventurarsi sull’impervio e opinabilissimo sentiero del concorso dell’extraneus nel reato proprio colposo piuttosto che adottare la sola soluzione giuridicamente corretta, di assolverlo cioè per non avere commesso il fatto o con altra formula liberatoria.

 

Del resto, il giudicante si è reso conto che nel fatto occorso alla persona offesa la principale, se non unica, responsabilità andava ricercata nelle iniziative assunte da un soggetto rimasto sorprendentemente estraneo al processo, individuato nell’architetto B.M.; ossia nel direttore dei lavori (quanto meno “di fatto”), il quale, poco prima dell’incidente, dopo avere fatto togliere i ponteggi, prescrisse all'infortunato di salire sul tetto e rimuovere le tegole (cfr., sul punto, le dichiarazioni del teste B. e dello stesso infortunato).

 

Di tale consapevolezza del Tribunale è prova la restituzione degli atti al P.M. per le valutazioni di sua competenza, e su questo aspetto la decisione si palesa senz’altro condivisibile.

Se però nei confronti di B. M. non imputato, il giudice a quo non poteva fare di più, ben avrebbe invece potuto, e dovuto, considerare quanto emerso nei confronti del predetto ai fini di attribuire il giusto peso alla sua decisiva (e determinante in modo esclusivo) ingerenza nell’esecuzione dei lavori all’interno del cantiere, giungendo ad escludere la sussistenza del nesso di causalità tra l’evento lesivo e la condotta dell’ing. N.

 

Si può infatti convenire con il Tribunale che la condotta imprudente del prestatore d’opera (qual era, nel momento dell’incidente, il C.) non basti a fare venir meno il rapporto di causa/effetto nei confronti del datore di lavoro e degli altri soggetti ricoprenti posizioni di garanzia (cfr. Cass. pen., 17.01.1991, Bussandri, in Giust. Pen., 1991, II, 498), sicché non è dato di escludere la responsabilità dell’imputato per il solo fatto, accertato, che la persona offesa abbia omesso di ancorarsi con le cinture di sicurezza ai “punti vita”.

E’ vero pure, però, che in ambito di lesioni colpose un comportamento di carattere anomalo e atipico, che si frapponga tra l’attività del soggetto o dei soggetti gravati da posizione di garanzia e l’attività del soggetto garantito, può costituire evento eccezionale atto ad interrompere il nesso di causalità (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. IV, 16.10.1998, n. 11471, Di Martino, in Giust. Pen., 1999, II, 718).

Applicato il principio testé richiamato alla fattispecie, non si vede in che modo si possa ragionevolmente negare alle disposizioni impartite all'infortunato, poco prima dell’evento, da parte dell’architetto B.M. – come detto, direttore dei lavori e comunque strettamente legato, anche sul piano parentale, alla committenza –  valenza interruttiva (per l’atipicità del contenuto e la “autorevolezza” della fonte) del nesso causale tra l’attività del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, rimasto del tutto estraneo all’iniziativa, anche materialmente (in quanto non presente in loco in quel frangente né tenuto ad esserlo), e l’evento caduta dal tetto, a sua volta causa delle lesioni personali subìte dal prestatore d’opera.

Pure sotto tale profilo, dunque, si palesa l’ingiustizia della condanna inflitta all’ing. N.: ma  il giudice dell’appello non ha provveduto a ripararla, e tantomeno lo ha fatto la Cassazione nella sua sentenza finale.

 

 

Rolando Dubini, avvocato in Milano

 

Nota: L’articolo è a cura dell'avv. Rolando Dubini, difensore nei 5 processi, uno in tribunale, due in Corte d'Appello, due in Cassazione, del CSE F.N., alcune parti del commento sono state elaborate grazie a comuni riflessioni con la collega avv. Licia Colombo del Foro di Busto Arsizio.

 

Corte di Cassazione - Penale Sezione III - Sentenza n. 39498 del 29 agosto 2017 (u.p. 1 marzo 2017) - Pres. Savani – Est. Liberati – Ric. F.N.. - Al fine di valutare la corrispondenza tra accusa e sentenza deve tenersi conto non solo di quanto scritto in imputazione ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie contestate all’imputato per cui ha potuto esercitare il diritto di difesa. 



Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'

Pubblica un commento

Rispondi Autore: LUDOVICA MULAS - likes: 0
12/11/2017 (12:50:27)
Gentile avv. Dubini, premetto che non sono un avvocato, e qualcosa mi sfugge nelle ragioni da Lei esposte in questo articolo; infatti viene citato ripetutamente il d.to lgs. 758/1994 come conditio sine qua non per la procedibilità dell'azione penale. Riporto virgolettato: "La mancata adozione o notificazione del provvedimento, nell’ipotesi in cui tale condizione sia prevista ex lege, comporta l’improcedibilità dell’azione (nel nostro caso per i reati che sono propri del Coordinatore per l’esecuzione dei lavoro nei cantieri mobili e temporanei) e l’assoluzione dell’imputato." Mi sfugge a questo punto come possa essere perseguito un datore di lavoro che abbia omesso l'adozione di misure di tutela a seguito delle quali avvenga il decesso di un lavoratore, se con l'applicazione del 758 si dà la possibilità, mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria, di regolarizzare la situazione lavorativa e conseguentemente di chiudere la vicenda con l'estinzione del reato. Quindi devo pensare che il datore di lavoro in esempio ne risponderà solo civilmente? Sinceramente mi sembrerebbe assurdo... Dove sto sbagliando?
Inoltre dal testo "Reati contro la salute e la dignità del lavoratore" AA.VV. apprendo che (scuserà i termini non tecnici e molto semplici usati per riportare "a sciabolate" quanto viene trattato in numerose pagine del testo) la questione relativa al coordinamento tra il codice penale e la legislazione complementare sia decisamente aperta e oggetto di trattazioni dottrinali tra loro opposte, ma che invece, così ho compreso, la giurisprudenza sia praticamente unanime nel ritenere la sussistenza di un concorso di reati, quelli di cui agli artt. 589 e 590 e quelli contravvenzionali di cui al d.to lgs. 81/2008; secondo il testo di fatto davanti all'assoluzione per i fatti contravvenzionali la giurisprudenza ammette che la corte d'appello possa esaminare le responsabilità per il delitto che si basi sulle stesse condotte che, con l'applicazione del 758, possono aver portato anche all'assoluzione nel primo grado di giudizio.
Scuserà la lunghezza dell'intervento, ma come detto, faccio fatica a pensare che davanti ad omissioni gravi di un datore di lavoro (è solo un esempio) lo stesso possa "elegantemente uscirne" pagando pochi euro di contravvenzione senza alcuno strascico penale.
Distinti saluti
Ing. Ludovica Mulas
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
16/11/2017 (16:29:36)
Il pagamento estingue la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 81, ma non la violazione degli articoli 589 e 590 del codice penale. Ma nel caso che ho esposto l'accusa non ha MAI contestato al coordinatore gli articoli che riguardano il suo operato come previsti dal d.lgs, 494/1996, e poi dal dlgs. 626/94 e 81/2008 titolo IV, ma solo alcuni articoli del Dpr 164/1956 che non prevedono obblighi e responsabilità per il CSE.

Pubblica un commento

Banca Dati di PuntoSicuro


Altri articoli sullo stesso argomento:


Forum di PuntoSicuro Entra

FORUM di PuntoSicuro

Quesiti o discussioni? Proponili nel FORUM!