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La previdenza può essere anche uno strumento di prevenzione?

La previdenza può essere anche uno strumento di prevenzione?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Interviste e inchieste

13/01/2021

Ci sono correlazioni tra la previdenza e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori? L’importanza di non dimenticare il legame tra previdenza e prevenzione. Ne parliamo con Cesare Damiano, ex Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale.

 

Brescia, 13 gen – Malgrado l’emergenza COVID-19, anche nel 2020 Ambiente Lavoro, manifestazione fieristica dedicata alla promozione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ha potuto proporre, benchè a distanza, incontri e convegni che hanno fornito utili informazioni e stimolato nuove riflessioni in materia di prevenzione di infortuni e malattie professionali.

 

Uno dei convegni – “La previdenza come strumento di prevenzione” - ci ha permesso di affrontare il tema della connessione tra prevenzione e previdenza, solo recentemente sfiorata dalla campagna europea 2016-2017 “ Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età” e dal confronto e il dibattito sulle tutele per i lavori usuranti e gravosi.

 

Anche il nostro giornale, che si occupa da più di vent’anni di prevenzione dei rischi, raramente ha affrontato le problematiche correlate alla previdenza sociale, cioè quell’azione che ha sempre come fine la tutela del lavoratore ma con riferimento alla necessità di mezzi di sopravvivenza e assistenza in condizioni di bisogno (vecchiaia, infortuni, malattie, invalidità, …). Previdenza che si basa, a livello legislativo, sull’articolo 38 della Costituzione italiana che prevede che "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato".

 

Ci sono correlazioni tra la previdenza e la tutela della salute dei lavoratori? La previdenza può essere anche uno strumento di prevenzione? È possibile e utile, anche ai fini preventivi, la progettazione di tutele lavoristiche e previdenziali comuni e trasversali?

 

Per poter rispondere a queste domande - sempre con riferimento al già citato convegno organizzato l’1 dicembre 2020 da Ambiente Lavoro in collaborazione con l’Associazione Lavoro&Welfare - abbiamo intervistato Cesare Damiano, Presidente dell’Associazione ed ex Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, che sottolinea come, di fronte alla sfida dell’emergenza COVID-19 e ai futuri mutamenti in ambito economico e sociale, il legame tra previdenza e prevenzione sia essenziale.

 

 

 

Questi gli argomenti trattati nell’articolo:

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La previdenza può essere una leva importante di prevenzione?

Parto da alcune domande che lei stesso si pone durante il suo intervento al convegno: la previdenza può essere una leva importante di prevenzione? Ci sono correlazioni tra la previdenza e la tutela della salute dei lavoratori?

 

Cesare Damiano: Una relazione esiste. Sappiamo che le aspettative di vita sono differenti tra di loro, mentre finora le abbiamo considerate in modo omogeneo. Chi svolge lavori faticosi e manuali, che sono il più delle volte esposti a maggiori rischi di infortunio e di malattia professionale, vive meno a lungo di coloro che svolgono lavori di concetto o di natura intellettuale. Quindi, è necessario prevedere un sistema pensionistico che non solo assuma in modo strutturale un criterio di flessibilità che consenta un anticipo pensionistico, ma che lo applichi senza penalizzazioni alle categorie più esposte. In questo senso la previdenza diventa uno strumento di prevenzione. Va osservato che la nostra proposta di flessibilità, mia e dell’onorevole Gnecchi attuale Vicepresidente dell’INPS, si muove in senso universale, non è riservata soltanto a coloro che svolgono lavori usuranti o rischiosi, ma a tutti. La differenza consiste nelle penalizzazioni che, a nostro avviso, andrebbero applicate a chi svolge lavori non compresi nell’elenco degli usuranti, gravosi o esposti o a chi non corre il rischio disoccupazione o, addirittura, è già stato licenziato.

 

Il sistema previdenziale, l’invecchiamento e i lavori usuranti e gravosi

Sicuramente una importante connessione tra previdenza e prevenzione riguarda il tema dell’invecchiamento. Nell’intervento del presidente dell’Inail si ricorda che l’invecchiamento della forza lavoro è una sfida da affrontare in tutti i luoghi di lavoro. A suo parere questa sfida la si sta affrontando correttamente? Come aiutare le aziende a farlo? E cosa bisognerebbe fare, a suo parere, a livello previdenziale?

 

C.D.: Parlavo prima di flessibilità, cioè di anticipo pensionistico rispetto agli attuali 67 anni. Vanno privilegiati, come ho ricordato, coloro che svolgono lavori usuranti, gravosi, esposti al rischio pandemie o che sono disoccupati o a rischio disoccupazione. La soglia di partenza può essere quella dei 63 anni, già adottata con l’APE Sociale, con un range di contributi compreso tra i 30 e i 36 anni. Vanno privilegiati nel senso che queste categorie a rischio non debbono subire penalizzazioni: per gli altri si può prevedere un 2-3% di penalizzazione per ogni anno di anticipo. Si tratta di una proposta equilibrata, già avanzata dal sottoscritto e l’onorevole Gnecchi in Parlamento nel 2013 (pdl 857), che può contribuire a battere la resistenza di coloro che si oppongono a questa riforma per via dei costi da sostenere: sono gli strenui difensori della legge Monti-Fornero che temono ancora i diktat europei. Secondo noi, invece, si tratterebbe di risorse ben spese che possono aiutare il collocamento in pensione dei lavoratori più anziani senza dover ricorrere, in questa situazione di grave crisi economica, agli ammortizzatori sociali o, peggio ancora, alle indennità di licenziamento. In questo modo si interviene sull’invecchiamento della forza lavoro e sul ricambio generazionale e si aiutano le imprese e i lavoratori. Si tratta di una misura estremamente moderna, perché rendere più flessibile il sistema previdenziale è allineato al progressivo ingresso delle giovani generazioni nel metodo di calcolo contributivo, che supera il precedente modello retributivo entrato in vigore con la riforma delle pensioni del 1968. Parlo di coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre del 1995: si tratta di persone che percepiranno una pensione interamente calcolata sulla base dei contributi versati. Un sistema, quindi, che convive perfettamente con un sistema flessibile. 

 

L’emergenza COVID-19 e il legame tra previdenza e prevenzione

Veniamo all’emergenza COVID-19. L’avvocato Giovannone, nel suo intervento al convegno, segnala che questa emergenza ha messo in luce diverse lacune del welfare e della sicurezza sociale. Non c’è dubbio poi che la crisi economica abbia aumentato nel mondo del lavoro i rischi di licenziamento e di precarietà, rischi che incidono sulla salute dei lavoratori. A suo parere quali sono gli strumenti per ridurre questi rischi? Anche se il lavoro è discontinuo come realizzare una tutela continua dei lavoratori?

 

C.D.: La professoressa Giovannone ha perfettamente ragione. Anche io sostengo che si tratta di assicurare una tutela continua a fronte della discontinuità del lavoro. Contributi figurativi per la pensione e ammortizzatori sociali a copertura della mancanza di lavoro durante i periodi di disoccupazione, in cambio della disponibilità del lavoratore alla formazione, vera, e al reimpiego. Naturalmente, questo correttivo rivela la sua utilità nell’attuale configurazione del mercato del lavoro segnata da una crescente precarietà.

Per risolvere il problema alla radice bisognerebbe preparare una transizione dalla attuale situazione verso un modello maggiormente vocato alla stabilità del lavoro. Occorrerebbe, a questo proposito, rivisitare culturalmente il concetto di lavoro. In Italia, in molti casi, hanno prevalso gli opposti estremismi. Si è passati dalla deificazione del posto fisso a quella del suo opposto, una flessibilità diventata precarietà.

Tutto questo andrebbe profondamente modificato: abbiamo bisogno di una buona flessibilità, regolata dalla contrattazione, e inserita all’interno di un modello di mercato del lavoro che ricerchi nuovamente la stabilità dell’impiego, la formazione permanente dei lavoratori e la loro fidelizzazione. 

 

Quali sono le proposte dell’Associazione Lavoro&Welfare per progettare e realizzare un sistema previdenziale che tenga conto anche delle tutele della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro? Quali sono le sfide che l’emergenza COVID-19 ci porta a dover affrontare in materia di prevenzione e previdenza?

 

C.D.: Come ho già detto, introdurre un criterio strutturale di flessibilità nel sistema pensionistico rappresenta la via maestra. Legarlo, in particolare, a chi corre maggiori rischi di infortunio e di usura sul lavoro è anche uno strumento di prevenzione. Noi ci siamo sempre battuti per questo obiettivo e abbiamo sempre contestato una lettura dell’aspettativa di vita che non tenesse conto dei diversi lavori e abbiamo anche sostenuto la necessità di eliminare progressivamente il suo aggancio con l’età della pensione. Le nostre proposte, elaborate con l’onorevole Marialuisa Gnecchi, sono chiare e risalgono, come ho già ricordato, addirittura a una proposta di legge che abbiamo presentato nel lontano 2013.

 

Stiamo vivendo un momento molto particolare: la pandemia non accenna a diminuire. In Italia si è stabilizzata, ma le aspettative erano altre, mentre in molti Paesi è addirittura in aumento. L’impatto del Covid sull’economia è già stato devastante e ci vorrà molto tempo per tornare alla “normalità”. Nel frattempo tutto sta cambiando e niente sarà più come prima. Ci auguriamo che da questa sfida l’intera umanità sappia trarre un qualche insegnamento e che si determini una spinta a un cambiamento dell’attuale e perdente paradigma economico e sociale. In questo contesto il legame tra previdenza e prevenzione è essenziale.

Già nel passato, a proposito dell’APE sociale, INPS e INAIL hanno collaborato con il Governo per individuare una soluzione compatibile con le risorse messe a disposizione in quel momento. Collaborato nel calcolo delle risorse e nell’individuazione dei cosiddetti lavori gravosi. Questa collaborazione dovrebbe continuare, anche attraverso un confronto diretto tra i due Istituti, che potrebbe avere come obiettivo quello di suggerire al Parlamento nuove soluzioni strutturali di flessibilità allargando, ad esempio, le categorie di lavoratori da includere nell’APE Sociale

 

Un recente Report curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, aggiornato alla data del 30 novembre 2020, rileva che i contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail sono 104.328. 

Sempre alla stessa data la categoria professionale più colpita risulta essere quella dei tecnici della salute, con il 38,6% delle infezioni denunciate, circa l’82% delle quali relative agli infermieri, con il 9,3% dei casi mortali, seguita dagli operatori socio-sanitari (18,6%), dai medici (9,5%), dagli operatori socio-assistenziali (7,6%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). Si tratta di un materiale prezioso che ci deve aiutare nella nostra riflessione per aggiornare e migliorare l’elenco delle attività che possano beneficiare, senza penalizzazioni, di un sacrosanto criterio di flessibilità.

 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 


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