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COVID-19 e carceri: sono adeguate le tutele per i detenuti e i lavoratori?

COVID-19 e carceri: sono adeguate le tutele per i detenuti e i lavoratori?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Interviste e inchieste

15/12/2020

Per parlare della sicurezza della popolazione detenuta e dei lavoratori degli Istituti penitenziari abbiamo realizzato due interviste. A Rita Bernardini, dal 10 novembre in sciopero della fame, e a Stefano Branchi della FP Cgil Polizia penitenziaria.

 

Brescia, 14 Dic – In questa seconda ondata relativa al contagio del virus SARS-CoV-2 ci sono problematiche e rischi rilevanti su cui soffermarci e uno di questi riguarda sicuramente gli Istituti penitenziari, luoghi complessi, spesso con alti tassi di sovraffollamento, in cui le persone presenti possono essere più vulnerabili al COVID-19 rispetto alla popolazione generale.

 

In alcuni precedenti articoli abbiamo presentato le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e, specialmente, abbiamo segnalato normative e linee di indirizzo che riguardano la sicurezza e l’emergenza COVID-19 negli Istituti di detenzione.

 

Oggi vorremmo fare qualcosa di più proponendo, quasi in una sorta di inchiesta sul tema COVID-19 e carceri, un viaggio più articolato sui problemi in questi ambienti raccogliendo voci, parole e interviste di persone che da tempo si occupano delle problematiche della comunità carceraria e dei lavoratori all’interno degli istituti detentivi.

 

Concludiamo, inoltre, l’articolo pubblicando un recente rapporto dell’ Associazione Antigone, un’associazione a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari, insegnanti e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale, dal titolo “XVI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione - Il carcere al tempo del coronavirus”; un rapporto che può essere utile per fare ulteriori approfondimenti sul tema.

 

Nell’articolo presentiamo due interviste.

La prima intervista è a Rita Bernardini - ex parlamentare, membro del Consiglio generale del Partito Radicale e presidente dell’associazione “ Nessuno Tocchi Caino” - che dal 10 novembre attua uno sciopero della fame in forma di “proposta”, come da lei indicato, più che di protesta, per proporre soluzioni normative per migliorare la situazione carceraria, anche in relazione all’emergenza COVID-19.

 

Cosa sta accadendo nelle carceri in questi mesi contrassegnati dalla diffusione pandemica del virus SARS-CoV-2? Ci sono dati sui contagi o sulle altre criticità connesse direttamente o indirettamente all’emergenza COVID-19?

Quali sono gli attuali livelli di sovraffollamento nelle carceri? Ci sono norme che hanno la finalità di ridurre il sovraffollamento negli Istituti penitenziari?

Ci sono dati sulla diffusione del lavoro negli Istituti penitenziari e sulla sicurezza dei lavoratori?

Quali sono le sue proposte per migliorare le condizioni carcerarie?

 

La seconda intervista è, invece, a Stefano Branchi coordinatore nazionale della Funzione Pubblica Cgil Polizia penitenziaria che a livello sindacale si batte per difendere i diritti e tutelare salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori del Corpo di Polizia Penitenziaria in un ambiente particolare, complesso, come quello del carcere.

 

Può fornirci innanzitutto un quadro dei delle attività di lavoro nelle carceri? Quali sono i rischi e le criticità della Polizia penitenziaria?

Qual è la situazione negli Istituti penitenziari riguardo all’emergenza COVID-19? Quali sono i dati dei contagi nella polizia penitenziaria e tra gli altri lavoratori degli istituti?

 

Quali sono le misure di precauzione di prevenzione del contagio messe in atto negli Istituti? Ci sono, a vostro parere, criticità e difficoltà nelle misure per contenere il contagio tra i lavoratori?

Quali sono i provvedimenti necessari per ridurre i rischi di contagio? E quali sono le proposte per migliorare le condizioni di lavoro degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria?

 

Queste le due interviste che presenta il giornale:


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Lavorare in sicurezza in tempo di pandemia - 30 minuti
Informazione ai lavoratori sulle misure di prevenzione e protezione dal rischio biologico causato da virus

 

Intervista a Rita Bernardini sulla sicurezza della comunità carceraria

L’intervista a Rita Bernardini, fatta mentre entrava nel 31° giorno di digiuno, è volutamente rivolta a tutta la comunità “carceraria”, sia la popolazione detenuta che i lavoratori interni agli Istituti, e si sofferma ampiamente sul tema del sovraffollamento (che è da leggere nel dettaglio per le grandi differenze che ci possono essere tra i vari Istituti) e sulle proposte e soluzioni. E ricorda, in conclusione, che l’articolo 27 della nostra Costituzione sottolinea che le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

 

Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di ascoltare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.

 

 

 

In questi ultimi anni lei si è spesso occupata delle problematiche degli istituti penitenziari. Cosa sta accadendo in questi mesi contrassegnati dalla diffusione pandemica del virus SARS-CoV-2?

 

Rita Bernardini: (…) Noi ci stiamo occupando di questa emergenza COVID nelle carceri che colpisce sia i detenuti che i detenenti, soprattutto agenti di polizia penitenziaria fra il personale. Però dobbiamo tener presente che questa è un'emergenza in più che si sovrappone all'emergenza quotidiana che c'è stata negli anni e che c'è ancora nelle carceri che è un'emergenza soprattutto di rispetto della legge e della Costituzione, la nostra legge fondamentale. Quindi questo è il problema più serio che si aggrava con la condizione della pandemia.

 

Ci sono dati sui contagi?

 

R. B.: Ci sono i dati ufficiali che, tra l'altro, glielo voglio preannunciare, oggi (11 dicembre, ndr) insieme a Irene Testa siamo andati a consegnare una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, proprio perché riteniamo che la questione sia una questione di costituzionalità dell'esecuzione della pena. E gli abbiamo fornito i dati della diffusione del COVID nelle carceri. Allora se teniamo presente che il tasso di positività nella popolazione italiana è del 1,26% (…) - sono dati al 3 dicembre – nella popolazione detenuta diventa dell’1,82% e quindi un tasso sicuramente superiore nei 189 istituti penitenziari che ci sono in Italia. Poi abbiamo calcolato i dati al 9 dicembre: se per la popolazione italiana sono scesi al 1,17%, per la popolazione detenuta sono saliti quasi al 2%, all’1,96%.

(…) Questi dati statistici hanno un certo valore, un certo interesse e sicuramente sfatano il luogo comune che dice che il carcere è il luogo più sicuro che esista rispetto alla possibilità di infettarsi di COVID. Quindi abbiamo fornito dei dati precisi anche sugli agenti di polizia penitenziaria, i positivi che ci sono. Bisogna tenere presente che nel totale, tra detenuti e il resto della dei lavoratori in carcere, arriviamo quasi a 2000 casi di positività al COVID.  (…)

 

Quali sono le vostre proposte per migliorare la situazione, anche in relazione al tema del sovraffollamento?

 

R. B.: Allora ci sono due aspetti. C'è l'aspetto immediato, contingente, che occorre assolutamente diminuire la popolazione detenuta. Non lo dico solo io, lo dice anche il garante nazionale e lo dicono 202 professori accademici di diritto penale e di diritto penitenziario. Il primo obiettivo nell'emergenza è diminuire immediatamente la popolazione detenuta perché deve tenere presente che oltre al dato del sovraffollamento, gli istituti devono reperire gli spazi che non ci sono per fare l'isolamento, perché altrimenti si contagia tutto il carcere. Cosa che è avvenuta in alcune realtà.

Quindi c'è questo primo obiettivo immediato sul quale abbiamo fatto delle proposte concrete, perché i provvedimenti varati dal governo non riescono a deflazionare, come si dovrebbe, la popolazione detenuta. Tenete presente che ci sono persone, che sono migliaia, che hanno un residuo di pena entro l'anno, cioè da un giorno fino a 12 mesi, allora siccome comunque fra 12 mesi queste persone usciranno, sarebbe meglio farle uscire subito anziché tenerle in carcere. (…) Anche perché sono previste misure alternative alla detenzione, che sono sempre pene, come la detenzione domiciliare, l'affidamento ai servizi sociali,… (…)

Poi proponiamo la liberazione anticipata speciale - un tipo di provvedimento che tiene conto del fatto che i detenuti hanno diritto a 45 giorni di liberazione anticipata, diciamo così di sconto di pena, ogni semestre - sempre per coloro che si sono comportati bene, che non hanno avuto problemi disciplinari in carcere. Noi chiediamo che questa liberazione anticipata speciale sia ripristinata per questa contingenza e che sia portata da 45 giorni a 75 giorni ogni semestre.  (…)

 

In alcuni casi il detenuto è anche un lavoratore che è soggetto alle normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ci sono dati sulla diffusione del lavoro negli Istituti penitenziari? Come va la sicurezza e la salute sul lavoro nelle carceri?

 

R. B.: Allora posso dirle che va molto male sia per i detenuti che per i detenenti.

Se parliamo, per esempio, del lavoro in carcere per detenuti questo è poco diffuso. Nel senso che sono, normalmente, in tempi normali, meno del 30% i detenuti che lavorano. Tenendo presente che però questo 30% è fatto per lavori di poche ore. Cioè fanno una sorta di rotazione, lavorano per poche ore e prendono, nella stragrande maggioranza dei casi, retribuzioni miserrime (…) e sono i lavori che si fanno all'interno delle carceri. Cioè, ad esempio, “porta vitto” e poi “scopino”, cioè l’addetto alle pulizie (…), poi c’è lo “scrivano” che è quello che si occupa di aiutare i detenuti che sono non sono in grado di scrivere e di poter comunicare con i propri parenti (…), poi c’è il cuoco, gli aiuti cuoco, …. Poi c’è lo “spesino”, un’altra figura importante, è quella che raccoglie le ordinazioni della spesa interna (…).

Riguardo poi alla salubrità degli ambienti di lavoro, spesso tali ambienti non lo sono per niente. Lì basterebbe andare a vedere – io una volta l’ho fatto quando ero deputata – le relazioni che fanno semestralmente le ASL. Se si tenesse conto di queste relazioni, che indicano tutte le cose che andrebbero “corrette”, io penso che la metà delle carceri dovrebbe chiudere. (…)

 

Intervista a Stefano Branchi sulla sicurezza della polizia penitenziaria

Rimandando all’ascolto integrale dell’intervista a Rita Bernardini, che riporta ulteriori proposte, sviluppi e dettagli, veniamo ora all’intervista a Stefano Branchi coordinatore nazionale della Funzione Pubblica Cgil Polizia penitenziaria. Alle risposte, per la parte del progetto #starbenedentro, ha collaborato anche Roberta Antognoni.

 

 

Quello del carcere è un ambiente particolare, un ambiente complesso che spesso presenta criticità che riguardano il sovraffollamento, la situazione degli ambienti e anche le condizioni di lavoro. Può fornirci innanzitutto un quadro dei delle attività di lavoro nelle carceri? Quali sono i ruoli e le professionalità coinvolte negli Istituti penitenziari? E quanti sono gli Istituti e le persone che ci lavorano in Italia?

 

Stefano Branchi: Sebbene, per molti l’istituto penitenziario rappresenti un luogo deputato al pentimento passivo dei propri errori, in realtà negli istituti penitenziari il lavoro degli operatori, è dedito al reinserimento sociale del ristretto e a garantire la sicurezza e le condizioni di legalità all'interno degli istituti penitenziari. Lo scopo non è giudicare la persona, ma con la nostra professionalità in concerto con le altre figure, restituirla alla comunità in seguito ad un percorso rieducativo ben articolato.

Le altre figure sono: l’educatore, ormai denominati Funzionari giuridico pedagogici, lo psicologo, il criminologo, l’assistente sociale per il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità. Infine, non possiamo dimenticare il Direttore, il quale è responsabile del carcere ed ha molteplici compiti, tra i quali la supervisione di tutto ciò che accade in istituto.

 

Veniamo ai numeri: i poliziotti amministrati sono circa 35900, a fronte dei 40000 previsti, mentre i funzionari giuridico pedagogici sono 885 amministrati a fronte dei 955 previsti.

 

Parliamo della Polizia penitenziaria e delle specificità di questa parte delle forze dell’ordine che dipende dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia. Al di là dell’emergenza COVID-19, quali sono le specificità, i rischi e le criticità di questo ruolo?

 

S.B.: Come già detto, lo scopo ultimo è il reinserimento sociale del ristretto e al contempo garantire la sicurezza e le condizioni di legalità all'interno degli istituti penitenziari. Ma, l’operato del Poliziotto penitenziario richiede ben altre specificità. Specificità per le quali non viene formato, ma che acquisisce con l’esperienza e spesso, troppo spesso, a proprie spese. Mi riferisco in primis alla capacità di osservare e vigilare sui ristretti. Osservare non è una facoltà elementare della mente ma un’attitudine, che si conquista con un duro esercizio, in virtù del quale ci è possibile allargare lo sguardo oltre il vedere. E quando questa capacità non è consolidata fin dal principio è più probabile che si verifichino eventi critici. Se a questo si aggiunge la carenza di personale, turni di servizio che spesso superano le 10 ore, ecco che a pagarne le conseguenze è il personale che sempre più spesso viene aggredito. Anche in questo caso, la scarsa formazione in materia di difesa personale, non rende l’operatore penitenziario in grado di affrontare le aggressioni evitando danni alla propria persona e a quella del ristretto.

 

Veniamo all’emergenza COVID-19. Qual è la situazione negli Istituti penitenziari? Quali sono i dati dei contagi nella polizia penitenziaria e tra gli altri lavoratori degli istituti?

 

S.B.: Settimanalmente, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria invia un report aggiornato nel quale viene specificato per ogni istituto di tutti i Provveditorati, per il personale del Comparto Sicurezza e per quello delle Funzioni Centrali:

  • il numero dei positivi asintomatici e sintomatici accertati.

E per gli utenti:

  • il numero dei positivi asintomatici e sintomatici gestiti nell’istituto,
  • il numero dei positivi asintomatici e sintomatici dei nuovi giunti,
  • il numero dei positivi ricoverati in ospedale.

 

Nell’ultimo report del 30 novembre risultano per il Comparto Sicurezza 910 Poliziotti positivi accertati, per il Comparto Funzioni Centrali 79 dipendenti accertati, e 949 detenuti positivi accertati di cui 854 asintomatici gestiti all’interno degli istituti penitenziari.

 

A livello di Polizia penitenziaria quali sono le misure di precauzione di prevenzione del contagio messe in atto negli Istituti? C’è una strategia comune in tutti gli Istituti? Ci sono, a vostro parere, criticità e difficoltà nelle misure per contenere il contagio tra i lavoratori?

 

S.B.: All’interno degli istituti, purtroppo, viene meno l’unica precauzione che, di fatto, è la più efficace: il distanziamento sociale. È impossibile attuarlo oggi, con i mezzi che l’Amministrazione ci mette a disposizione. Probabilmente, sarebbe possibile implementando la tecnologia e la videosorveglianza. Nel frattempo, per prevenire il rischio di contagio vengono distribuiti i dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, camici), si cerca di tenere gli ambienti areati il più possibile e di sanificare gli ambienti e gli automezzi con prodotti certificati. Inizialmente, ogni istituto attuava una propria strategia o non la attuava per niente. In previsione della seconda fase, l’Amministrazione in concerto con le OOSS ha disposto un protocollo quadro per la prevenzione del contagio da Covid-19, il quale è stato recepito dai Provveditorati e discusso a livello locale, quindi in ogni istituto per renderlo idoneo ad ogni realtà.  Questo perché i principi generali possono essere uguali per tutti, ma ogni istituto ha una propria peculiarità, strutturale e di utenza. Ma soprattutto ogni territorio deve confrontarsi con il servizio sanitario locale la cui organizzazione e competenza varia a seconda delle province.

 

Inoltre, a nostro parere, andrebbe implementata la rete tra i servizi sociali territoriali e l’Amministrazione penitenziaria che consentirebbe al ristretto, al termine di un preciso percorso a step di rieducazione meritocratica, l’esecuzione penale esterna.

 

Quali sono le normative vigenti a cui possono fare riferimento gli Istituti per affrontare l’emergenza COVID-19? E quali sono, invece, i provvedimenti necessari per ridurre i rischi di contagio e migliorare la situazione lavorativa della Polizia penitenziaria e della popolazione detenuta?

 

S.B.: Le normative vigenti di riferimento sono senza alcun dubbio i DPCM emanati dal Presidente del Consiglio Conte, nei quali sono specificati i congedi straordinari e le aspettative fruibili dai dipendenti in questo periodo emergenziale, in caso di contagio, per assistere i figli minori e i disabili.

Per limitare i contagi si seguono le disposizioni previste dai protocolli di cui ho parlato prima, mentre per la popolazione detenuta è il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che definisce gli interventi necessari a ridurre i rischi del loro contagio.

 

Ho letto di una campagna (#StareBeneDentro) che come Cgil avete lanciato per migliorare le condizioni di lavoro degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria che lavorano in carcere. Quali sono le vostre proposte?

 

S.B.: Con questa campagna stiamo sostenendo una battaglia per i diritti della polizia penitenziaria all’interno del carcere, affinché si possano trascorrere le ore lavorative con dignità. Stiamo raccogliendo tramite un questionario le esperienze del personale della polizia penitenziaria, per conoscere a fondo la realtà degli istituti penitenziari italiani, con le sue complessità, le cose che non funzionano e che è necessario migliorare.

Tra le proposte che abbiamo presentato c’è:

  • l’adeguamento delle strutture delle carceri. È impensabile che ad oggi la maggior parte degli istituti penitenziari d’Italia non abbia bagni, docce, spogliatoi e armadietti differenziati per uomini e donne;
  • possibilità di usufruire di un’assistenza psicologica gratuita per tutti i dipendenti: non bisogna ignorare l’aumento del fenomeno dei suicidi e delle aggressioni;
  • tutela della genitorialità: crediamo che mamme e papà di bambini piccoli abbiamo bisogno di turni e orari di lavoro flessibili, e di altre agevolazioni che gli permettano di conciliare con più facilità lavoro e vita privata;
  • progressioni di carriera: ancora oggi viene riservato alle donne solo il 9% circa di posti per Ispettori e Sovrintendenti, ruoli che non richiedono il contatto diretto con i detenuti e per cui la questione del genere viene meno;

Infine, la formazione del personale per dipendenti e dirigenti, la sensibilizzazione alle pari opportunità e il monitoraggio e contrasto alle molestie sessuali sono altri dei tanti punti che fanno parte della campagna.

 

Vivere il carcere con dignità e diritti”, questa crediamo sia la chiave della nostra campagna.

 

 

Articolo e interviste a cura di Tiziano Menduto

 

Scarica i documenti di cui si parla nell'articolo:

Associazione Antigone, “ XVI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione - Il carcere al tempo del coronavirus” (formato PDF, 66,64 MB).

 

Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e delle Risorse, “ Circolare n. 0375802 del 23 ottobre 2020 - Protocollo per la prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro in ordine all'emergenza sanitaria da COVID-19” (formato 574 kB).

 

 

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