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Smart Working in tempo di Coronavirus

Smart Working in tempo di Coronavirus

Autore: Donato Eramo

Categoria: Coronavirus-Covid19

27/05/2020

Le criticità organizzative per la gestione degli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro: i pro e i contro dello smart working e le indicazioni di sicurezza indicate nel D.Lgs. 81/08.

L’autore, nonostante la rilevante esperienza più che trentennale in materia di salute, sicurezza sul lavoro e ambiente, si è trovato inizialmente in serie difficolta a fornire consulenza ad aziende di micro, piccole, medie e grandi dimensioni, nel momento in cui venivano richiesti pareri con il preciso obiettivo di svolgere, al meglio delle attuali conoscenze tecnico-scientifiche, le attività lavorative in estrema sicurezza con severe e appropriate misure di prevenzione e protezione, finora mai adottare, dovute al potenziale contagio a Coronavirus. Le scelte più appropriate, o presunte tali, sono state ponderate in una sorta di valutazione continua fra i pro” ed i “contro” perché molte situazioni di una certa complessità organizzativa e gestionale hanno avuto la necessità di prevedere, soprattutto sulla base del numero di lavoratori presenti e del numero dei luoghi di lavoro, misure di prevenzione e protezione alla stessa stregua di un “abito su misura”. In tal senso, l’uso della mascherina, il distanziamento interpersonale, il lavaggio e la sanificazione delle mani e l’uso di guanti, sono state le principali misure obbligatorie suggerite da mettere immediatamente in atto, fatto salvo ulteriori e necessarie misure di prevenzione e protezione ad hoc (ex D.Lgs. 81/2008) per ogni singola tipologia di lavorazione.  

 

Oramai è noto che il “lockdown” ha messo in evidenza che la maggior parte delle aziende non avevano iniziative strutturate - altre ancora non avevano nemmeno previsto l’attivazione - per lavorare in modalità smart working (modalità di lavoro in un luogo diverso da quello abituale) in parallelo ad altre note modalità come il coworking” (modalità di lavoro caratterizzata dalla compresenza in uno spazio fisico condiviso di più liberi professionisti), il “telelavoro” (modalità a distanza con utilizzo di sistemi telematici di comunicazione), lo “streaming” (modalità di lavoro tramite dati audio/video trasmessi da una rete telematica).

 

Rispetto però ad altre modalità di lavoro in remoto, brevemente accennate, lo smart working” è stato, in un certo qual modo, la modalità di lavoro più immediata adottata. Sono state pertanto messe in atto una serie di misure - alcune delle quali interessano l’autore - che attengono più specificatamente alla salute e alla sicurezza sul lavoro dello “smart worker” soprattutto in questo particolare momento di emergenza dovuto, come fatto cenno, alla potenziale esposizione ad un alto rischio come quello da Coronavirus.

 

La pandemia, a tutt’oggi, non presenta una previsione temporale certa di possibile conclusione, perché legata alla impellente necessità di trovare un vaccino ad hoc nei tempi più brevi. In relazioni però alle previsioni del Comitato Tecnico-Scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri che attualmente rimandano e proiettano la soluzione della pandemia al 2021, fatto salvo una soluzione definitiva in anticipo, lo smart working è confermato che sarà certamente la più diffusa modalità di lavoro ritenuta più rispondente alle necessità operative e produttive di un’azienda, al fine di evitare contatti e/o rapporti interpersonali diretti, come era comunemente fino a poco tempo fa, con il semplice saluto da vicino e con la consueta stretta di mano.

 

 

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Da rilevare che mentre le aziende di medie (< 250 dipendenti) e grandi (> 250) dimensioni sono state costrette a strutturarsi per organizzare e gestire lo smart working” per continuare a lavorare, al meglio dei risultati operativi da conseguire, le aziende di micro (<10) e piccole (<50) dimensioni invece hanno presentato, in molte situazioni lavorative, difficoltà nel doversi organizzare in questa modalità, per la mancanza molte volte del semplice strumento del computer per lavorare in remoto e, in molti casi il lavoratore non aveva avuto mai la necessità di utilizzare un computer (giardiniere, carpentiere, cuochi, etc.) nel suo normale lavoro giornaliero.

 

Anche la Scuola nel suo complesso, e a qualsiasi livello e grado, è stata colta di sorpresa dalla pandemia. Per libera interpretazione dell’autore lavorare in remoto tramite la modalità in smart working” si è trasformato, nell’ambito scolastico, in una sorta di “smart learning” inteso come modalità di lavoro/studio in un luogo diverso dalle aule scolastiche. Questa modalità di studio è risultata più che appropriata in tempi di pandemia da “Coronavirus”, consentendo di finire, nel migliore dei modi, il corso abituale di studi del “singolo” studente. Questa modalità ha consentito di proteggere la salute degli studenti, così anche quella della classe dei Dirigenti Scolastici, dei Professori, degli Insegnanti e dei Maestri i quali hanno adottato in tempi molto brevi, con un certo pragmatismo, la modalità di lavoro appunto smart. Oltre al Computer (che in molti casi non è risultato uno strumento a disposizione del singolo studente, però immediatamente inviato direttamente a casa dal Dirigente Scolastico) e alla connessione internet è risultato strategico l’utilizzo di c.d.  “tools online”, già normalmente utilizzati nel lavoro quotidiano in ufficio, ma che in questa fase si sono rilevati invece indispensabili per svolgere, nel migliore dei modi, le attività scolastiche a casa. In tal senso le varie piattaforme come Skype, Cisco Meeting, Google class room, Google meet, Google duo, Trello e altri, sono stati i migliori tools da usare, a seconda delle preferenze e delle singole esigenze dell’insegnante. I vantaggi della scelta di questi tools, ma è bene sottolineare che non possono sostituire l’esperienza di studio in aula, in relazione alle varie dinamiche psico-fisiche e sociali che si stabiliscono tra studenti e studenti e tra studenti ed insegnanti, hanno permesso comunque di creare una certa “atmosfera online scolastica” in maniera molto semplice, in grado di gestire anche un alto numero di studenti, e che hanno reso questo strumento in remoto adatto per le lezioni online. Gli studenti inoltre non hanno avuto la necessità di avere un account personale perché sono stati invitati a partecipare alle lezioni online direttamente tramite e-mail che portava a conoscenza dello studente il codice e la password per accedere direttamente alla lezione. Questa modalità voluta chiamare “smart learning” che certamente non potrà essere sostitutiva delle normali lezioni in aula per le considerazioni già espresse, ma potrà essere invece l’occasione per migliorare ulteriormente gli attuali strumenti online per raggiungere in modalità in remoto studenti “fragili”, i quali, per varie ragioni, non potendo frequentare la scuola, la “casa” potrebbe sostituire l’aula con appositi approcci multimediali da perfezionale man mano che i risultati fossero uguali a quelli conseguiti in classe.

 

Naturalmente lo smart working” non è una “nuova” attività lavorativa, ma nei pochi dati disponibili in merito a presunti o reali rischi lavorativi in remoto, le criticità lavorative si potrebbero determinare nella reale gestione dei rapporti di lavoro fra Datore di Lavoro (Dirigenti e Preposti, ove presenti) e il singolo “smart worker”. Alcune di queste criticità si possono individuare proprio negli aspetti di valutazione dei rischi per la tutela della salute sicurezza sul lavoro (ex D.Lgs. 81/2008), alcuni dei quali possono essere connaturati al lavoro da svolgere anche in remoto, uno dei quali, per esempio, può riguardare la prevista “obbligatorietà” della  valutazione del rischio da Stress lavoro-correlato che si potrebbe presentare nel tempo con una certa “probabilità” di accadimento, di un possibile “danno”, in stretta connessione a questa forma di esecuzione della prestazione lavorativa in remoto, attività che sta avendo una certa forma di “obbligatorietà” diffusa, causa appunto l’attuale diffusione del “Coronavirus”. Danno che potenzialmente potrebbe presentarsi in un prossimo futuro per anomalie psico-fisiche individuali e anomalie psico-sociologiche collettive per l’interruzione drastica dei rapporti interpersonali, ancora sopite e non potute ancora analizzare nel dettaglio per l’aumento rilevante della popolazione esposta e per un periodo di osservazione ancora breve e non significativo. Queste situazioni critiche possono riguardare certe condizioni anomale di lavoro, come le varie “posizioni/postazioni di lavoro” c.d. non ergonomiche che si possono svolgere a casa o all’aperto o in apposite strutture comuni che affittano il posto di lavoro ed altre modalità che però devono poter essere rispondenti alla personali esigenze lavorative dello “smart worker”, altrimenti ci si potrebbe trovare di fronte a non essere all’altezza del compito assegnato dal Datore di Lavoro (o dai Dirigenti e dai Preposti ove presenti).

 

In queste prime osservazioni, l’obiettivo dell’analisi in merito allo smart working è stato quello quindi di analizzare “preventivamente”, come richiede la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (ex D.Lgs. 81/2008), quelle potenziali criticità che potrebbero determinare nei vari luoghi, in particolare a casa, fermo restando la piena copertura assicurativa INAIL e della consolidata letteratura in materia che dà lo “smart worker” capace di eseguire, in una sorta di “autovalutazione” dei potenziali pericoli presenti in casa, il lavoro in sicurezza e salvaguardando, nel contempo, la tutela della propria salute. In ambito lavorativo interno, dove gli aspetti di relazione interpersonali possono essere positivi o negativi, a secondo le caratteristiche di personalità, di carattere e di cultura delle singole persone nei confronti di altre persone con le quali si entra direttamente o indirettamente in contatto, devono essere messi in relazione all’attuale situazione riguardante l’attività lavorativa in remoto. Questo perché, per contro, lo smart working” si presenta prevalentemente come “singola” prestazione lavorativa, isolata dal normale contesto lavorativo fino ad ora vissuto, “confinato” a casa (iorestoacasa) o in altri luoghi, la quale se non ben eseguita rispetto alle indicazioni del D.Lgs. 81/2008, può causare la potenziale esposizione non solo attualmente al “Coronavirus” ma ad altri rischi lavorativi potenzialmente presenti in qualsiasi luogo scelto, in funzione della singola esperienza che lo “smart worker” vive.

 

Quanto sopra perché, in parallelo, si stanno “allentando” in un certo qual modo, e anche per espresse previsioni normative, le modalità di controllo che il Datore di Lavoro, i Dirigenti ed i Preposti devono fare nella giusta valutazione che, anche se lo “smart worker” sia in una sorta di “autocontrollo”, questa vigilanza comunque deve essere effettuata come prevista dal D.Lgs. 81/2008, come anche si deve vigilare, per non essere potenzialmente in contrasto con eventuali norme internazionali, ove lo smart worker” svolgesse la sua attività lavorativa in altre nazionalità, ma coordinati dal centro. Quanto sopra anche nel presupposto che in materia il Datore di Lavoro, i Dirigenti ed i Preposti, si devono avvalere del supporto specialistico del “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione” e del Medico Competente, interni ed esterni, per orientarsi e decidere al meglio circa le cautele o le misure di prevenzione e protezione da metter in atto per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro dello smart worker”.

 

Da parte dell’autore,  la maggiore attenzione è stata quella di dover fronteggiare l’analisi di fattibilità in merito all’avvio di un progetto di smart working”  per Datori di Lavoro di micro e piccole dimensioni, diretta a capire come lo “smart worker” dovesse gestire soprattutto “personalmente” la valutazione di potenziali pericoli presenti nell’ambiente di lavoro dove sceglie di lavorare, e soprattutto la valutazione dei rischi per possibili danni fisici, in linea con l’Art. 20 “Obblighi dei lavoratori” del D.Lgs. 81/2008, indipendentemente dalla effettiva copertura assicurativa INAIL prevista per la modalità smart working”.

 

Questo perché gli “incidenti” possono riguardare la possibile “probabilità” di accadimento, dal punto di vista statistico, di un semplice infortunio, di una malattia professionale - in particolare quella riguardante l’esposizione al videoterminale - e non ultimo l’infortunio mortale, in relazione alle note rilevazioni Istat che indicano l’ambiente domestico, uno dei luoghi più a rischio. Come fatto cenno, uno di questi rischi potrebbe riguardare la valutazione dello Stress lavoro-correlato che potenzialmente si potrebbe sviluppare presso la propria abitazione, per i rapporti interpersonali tra congiunti, parenti, vicini ed altro, alla stessa stregua dei rapporti, più o meno accentuati, con colleghi all’interno del consueto ambiente di lavoro fino ad oggi vissuto. Un altro aspetto di stress può riguardare l’impegno per portare a termine gli “obiettivi” concordati proprio in modalità smart working” con il Datore di Lavoro, con i Dirigenti e con i Preposti nel momento in cui insorgessero discrasie circa gli obiettivi non conseguiti, per varie motivazioni, e le conseguenti dinamiche di controllo dell’operato in particolare da parte del Dirigente e del Preposto, che a loro volta devono rispondere ad un superiore o direttamente al Datore di Lavoro, dal quale dipende lo smart worker”. Un ulteriore aspetto può riguardare l’accettazione “obbligatoria” dello smart working”, come nel caso dell’attuale “confinamento” da “Coronavirus”, da parte del lavoratore che oggettivamente non ha la possibilità “fisica” di inserire una normale “postazione di lavoro” in casa, o lavorare con il semplice computer, per una oggettiva carenza di spazio, o per la presenza di un “rilevante” numero di componenti familiari in uno spazio esiguo.

 

Pertanto il controllo degli “obiettivi” da conseguire in remoto sono e saranno gli indici qualitativi e quantitativi di misurazione della prestazione per “giustificare/autorizzare da parte del Datore di Lavoro la corresponsione della relativa parte economica, cioè la retribuzione e altri istituti economici previsti dai vari CCNL, materia di pertinenza contrattuale soprattutto delle Organizzazione Sindacali a livello nazionale, non trascurando la presenza in parallelo di altre Organizzazioni Sindacali “Autonome” o altre varie forme contrattuali al di fuori del classico “Contratto a tempo indeterminato” che già di per se presenta vincoli di rapporti da rispettare, comprese le modalità di Risoluzione del rapporto di lavoro, in caso di prestazione lavorativa non rispondente alle richieste lavorative concordate direttamente con lo smart worker”. Va da se che il mancato raggiungimento degli “obiettivi” concordati, potranno rappresentare, alla stressa stregua di quanto la prestazione lavorativa veniva svolto all’interno dei locali dell’azienda, motivo di normale conflittualità aziendale e sindacale che prima veniva gestita direttamente all’interno, mentre nel caso specifico dello smart working” i provvedimenti potrebbero essere oggetto di possibile discussione anche all’interno del proprio nucleo familiare. Pertanto, queste analisi previsionali devono essere analizzate alla stessa stregua delle dinamiche lavorative all’interno dell’azienda.

 

Le conclusioni che l’autore ha potuto trarre (dopo la visione di molte documentazioni  o la semplice  “visita” di Siti di aziende di medie e grandi dimensioni che hanno dovuto, anche con una certa urgenza, trattare l’argomento per l’immediato “lockdown” imposto giustamente dal Governo) e che l’applicazione dello smart working”  presenta dei “pro” e dei “contro”, che si caratterizza “a macchia di leopardo” nel momento in cui si manifesta irregolarmente da azienda a azienda, pubblica o privata, da Nord a Sud soprattutto per il numero delle imprese presenti sul territorio.

 

I “pro” e i “contro” sono oramai noti:

  • i “pro” riguardano il modo piacevole di lavorare a casa, a detta della maggior parte dei lavoratori interpellati, anche a fronte della semplice esperienza vissuta in appena tre mesi, i vantaggi sia per lo smart worker” che per l’impresa, in termini di risparmio economico individuale, la riduzione dei consumi, l’abbattimento drastico degli inquinanti, la maggior produttività, gli spostamenti estenuanti, gli ambienti rumorosi e altre situazioni favorevoli che ciascun Datore di Lavoro individua;
  • i “contro” sono il lavoro senza limiti, la maggior indipendenza ma anche la solitudine, gli aspetti di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, il mantenimento di spazi e di ambiti della giornata da dedicare al lavoro rispetto a quelli da dedicare alla famiglia, le distrazioni e le interruzioni mentre si lavora, le preoccupazioni professionali rispetto a quelle per la famiglia, la valutazione dei potenziali pericoli.

 

Per mitigare queste contrapposizioni positive e negative, molti sono stati invece gli accorgimenti per l’organizzazione del lavoro in remoto da svolgere a casa, come quelli riguardanti per esempio: la creazione in casa di uno spazio di lavoro “solo dello smart worker”, al riparo dalle intrusioni dei familiari; l’evitare di lavorare in posizioni scomposte come quello di sdraiarsi sul letto o accoccolati sul divano; organizzarsi almeno con una piccola scrivania o un tavolino, sul quale raccogliere i normali “attrezzi di lavoro”; dotarsi di una sedia ergonomica per eliminare possibili anomalie posturali; una buona illuminazione rispetto alle necessità lavorative legate all’utilizzo prevalente di un computer; le informazioni  per i familiari riguardanti le caratteristiche del lavoro che si deve svolgere; la sensibilizzare dei presenti della necessità di non essere disturbati e interrotti mentre si sta lavorando; la fissazione di un regolare “orario di lavoro” che abbia possibilmente un costante inizio e un termine, attenendosi ad esso il più possibile; di smettere di pensare al lavoro a fine orario e dedicare la nostra attenzione e tempo di qualità ai nostri familiari o amici; di organizzare la giornata in modo da avere regolari pause per sgranchirsi e per allentare la concentrazione.

 

La sensazione finale di questa analisi svolta è stata quella che la valutazione definitiva della modalità in remoto smart working” deve essere rimandata a conclusione del “lockdown” perché la scelta definitiva da mettere “a regime” non deve tener conto dell’attuale “obbligatorietà” imposta immediatamente e in molti casi impropriamente alle aziende dal  “Coronavirus”. Questo perché ove non si sono potute rendere applicative prima di oggi le varie modalità di possibili lavorazioni in remoto - nel nostro caso specifico quello di più grandi dimensioni come lo smart working” - queste sono state dovute a “vincoli” di varia natura, a valutazioni proprie del Datore di Lavoro, a vincoli di natura di rapporti sindacali, a valutazione delle prestazioni ai fini degli obiettivi annuali o periodici di volta in volta fissati, da osservazione del singolo lavoratore per un percorso di carriera rispondente alle esigenze proprie del Datore di Lavoro e si potrebbe andare avanti con altre osservazioni/indicazioni. In definitiva, a parere dell’autore, lo smart working”  si presenta come valutazione propria del “singolo” Datore di Lavoro in aziende di micro e piccole dimensioni, e del singolo Datore di Lavoro in aziende di medie e grandi dimensioni di “concerto” però con il management aziendale, in particolare con la Direzione Human Resource ed i Dirigenti, cioè un accordo, più o meno palese, in merito alla pratica attuazione dello smart working”  quale progetto concepito in comune per orientare al meglio l’azione di controllo del management, per conseguire, in primo luogo, tramite la verifica dei singoli obiettivi, gli obiettivi generali dell’azienda.

  

Donato Eramo

  


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