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L’importanza del fattore psicologico nel rischio stradale sul lavoro

L’importanza del fattore psicologico nel rischio stradale sul lavoro

Autore:

Categoria: Sicurezza stradale

14/04/2016

Un contributo sulla sicurezza stradale si sofferma sul “sistema guida”, sulla “resilienza personale e organizzativa” e sottolinea l’importanza del fattore psicologico nel rischio stradale sul lavoro. A cura dell’Ing. Marco De Mitri e Daniela Frisone.

 
“Un problema complesso, come quello del rischio stradale sul lavoro, richiede una soluzione non banale. Solo affrontandolo con sguardo aperto ed interventi adeguati è possibile ottenere risultati significativi. Ed a vantaggio di tutti: dell’azienda, dei lavoratori, e delle loro famiglie”.
 
Lo scrivono l’ingegnere Marco De Mitri, esperto in sicurezza stradale sul lavoro, e la dott.essa Daniela Frisone, Psicologa del Traffico, in un contributo che riceviamo e volentieri pubblichiamo.

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Dal “sistema guida” alla “resilienza personale e organizzativa”: l’importanza del fattore psicologico nel rischio stradale sul lavoro.
Di Marco De Mitri e Daniela Frisone
 
Introduzione
Per comporre un numero telefonico su un cellulare, il tempo medio di distrazione corrisponde a 10,6 secondi, che alla velocità di 50 km/h corrispondono a 150 metri di distanza su strada. Che, in buona sostanza, percorriamo come se fossimo bendati. Ma chi guiderebbe bendato per 150 metri? Sicuramente nessuno… almeno in teoria. Eppure, spesso lo facciamo senza neanche rendercene conto.
Il comportamento alla guida, ritenuto dai più una cosa del tutto naturale, nasconde in realtà una complessità notevole, che ci mette in condizioni di rischio molto più spesso di quanto non pensiamo. Anche, e soprattutto, quando guidiamo per lavoro.
Riflettiamo su questi dati:
- ogni giorno, in Italia,  9 persone perdono la vita su strada (e molte altre restano ferite, alcune delle quali con conseguenze gravi ed irreversibili);
- il “costo sociale” annuo a livello nazionale dovuto all’incidentalità stradale ammonta a 28,5 miliardi di euro (dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti);
- gli incidenti stradali costituiscono la prima causa di morte, nel mondo, nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 29 anni;
- oltre la metà degli infortuni mortali sul lavoro sono dovuti ad incidenti stradali (dati INAIL);
- l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che sulle strade di tutto il mondo muoiano ogni anno oltre 1,2 milioni di persone e rimangano ferite fra i 20 e i 50 milioni di persone (“Global status report on road Safety: Time for action”, Ginevra, 2009)
 
Ed ancora: i dati sull’incidentalità stradale (rapporto ACI-ISTAT 2014) mostrano che il mancato rispetto della precedenza, la distrazione e la velocità elevata sono le principali cause di incidente stradale (in totale, circa il 44% dei casi). E, tra le altre cause più rilevanti, ci sono la mancanza della distanza di sicurezza, la manovra irregolare e il comportamento scorretto del pedone. Tutti aspetti, come si evince, da attribuire a comportamenti sbagliati. E tutti incidenti, dunque, potenzialmente evitabili attraverso una maggiore attenzione ed una accresciuta prudenza da parte di tutti.
Progettare interventi a favore della sicurezza stradale significa quindi porre l’uomo al centro di un sistema complesso (il “sistema guida”), che coinvolge anche il veicolo e le infrastrutture. E ragionare sull’”uomo”, inoltre, vuol dire non solo vedere le persone come singoli individui, ma analizzarne anche le reciproche interazioni (ad esempio tra singoli conducenti, o tra un pedone e un ciclista, ecc.). E, nel caso di rischio stradale sul lavoro, occorre inoltre comprendere la situazione del “singolo” inserito nel sistema/organizzazione aziendale.
Il “sistema guida”
Per capire come far diminuire gli incidenti stradali occorre conoscere il “sistema guida”, che consente di comprendere dove si nascondono i rischi e come intervenire per ridurli in modo efficace.
 
Il “sistema guida” è un sistema complesso, formato da diverse componenti. Quando siamo alla guida di un’auto (o di qualsiasi altro mezzo), istante per istante, elaboriamo le informazioni che riceviamo dall’esterno: andamento del tracciato stradale, presenza e movimento di altri veicoli o persone, ecc. Allo stesso tempo, adeguiamo il moto del veicolo attraverso i vari comandi (che agiscono su direzione, velocità, ecc.) in modo da farlo procedere mantenendo un assetto “dinamico” ma “regolare”, e quindi sicuro.
 
Questo equilibrio dinamico riguarda quindi tre diverse componenti: l’UOMO, il VEICOLO e l’INFRASTRUTTURA. L’assetto regolare e sicuro del veicolo sulla strada dipende dalla conservazione di questo equilibrio dinamico, cioè dal fatto che il guidatore riesca a condurre il veicolo mantenendo la corretta traiettoria di marcia in funzione di quanto detto (tracciato, presenza di altri veicoli o pedoni, ecc.). Nel momento in cui dovesse insorgere un problema relativo ad una di queste componenti, l’equilibrio potrebbe rompersi, con conseguente aumento del rischio. Ad esempio, un colpo di sonno (per la componente UOMO), una avaria meccanica (per la componente VEICOLO) o una buca sulla strada (per la componente INFRASTRUTTURA). Per ridurre il rischio di incidente occorre ridurre i rischi legati ad ogni singola componente del “sistema guida” (UOMO, VEICOLO, INFRASTRUTTURA). E sono tanti. Ma non è ancora finita qui.
 
Oltre a quanto detto, ci sono altri fattori che influenzano la sicurezza sulla strada. Fattori legati all’ambiente esterno, su cui il guidatore non può intervenire, ma dei cui effetti deve tenere conto. Pensate a come variano le condizioni di sicurezza quando un certo guidatore, con la sua auto, procede su una strada che ben conosce ma trovandosi in cattive condizioni meteo: il rischio di incidente può aumentare notevolmente. La componente AMBIENTE dunque costituisce un ulteriore elemento del sistema, sulla quale però non si può intervenire.
 
Esiste infine una ulteriore componente, definita dalla pianificazione dello SPOSTAMENTO, sui cui elementi (es. scelta del percorso, del mezzo di trasporto, dell’orario, ecc.), se si dispone di alternative, è possibile intervenire in modo da ridurre notevolmente i fattori di rischio legati al viaggio.
 
In definitiva, il sistema guida è composto da una terna di componenti in equilibrio dinamico (UOMO-VEICOLO-INFRASTRUTTURA), influenzata istante per istante dalle condizioni esterne (componente AMBIENTE) ed, in generale, dalle scelte fatte per la pianificazione dello SPOSTAMENTO.
 
Per ridurre il rischio stradale occorre dunque intervenire su ognuna delle componenti in questione (a parte l’AMBIENTE, che per definizione costituisce una “condizione al contorno”), studiandone le caratteristiche ed intervenendo dove necessario per ridurre o eliminare i singoli rischi.
 
In ambito lavorativo, inoltre, è opportuno seguire (oltre naturalmente alle vigenti disposizioni di legge) le migliori pratiche esistenti in materia, sia con riferimento alle attività condotte sulla strada pubblica, con apposite  procedure di controllo o veri e propri  sistemi di gestione per la riduzione del rischio stradale, che con riferimento agli  spostamenti di mezzi e persone all’interno dei luoghi di lavoro.
 
Ed in ogni caso, al tutto si aggiunge la necessaria presenza di un sistema organizzativo di gestione delle emergenze, da attivarsi in caso di incidenti (es. ambulanze, vigili del fuoco, ecc.).
 
Il rischi legati al fattore umano
Quando il comportamento dell’uomo è causa o concausa di incidenti, possono verificarsi due situazioni. Nel primo caso si hanno violazioni consapevoli e deliberate di norme di comportamento (distanze di sicurezza, limiti di velocità, rispetto delle precedenze, uso di alcool, ecc.). Nel secondo caso si ha l’errore vero e proprio, derivante dal “fallimento” di azioni pianificate o di sviste, che spesso si verificano a causa di una mancata o scorretta percezione del rischio, tanto individuale quanto, nel “caso aziendale”, di tipo organizzativo.
Cosa ha a che fare la Psicologia con la Sicurezza Stradale?
La psicologia aiuta a comprendere i processi attentivi, percettivi, sensoriali implicati nella guida. Il nostro sistema percettivo, attraverso i sensi, percepisce gli stimoli dell’ambiente circostante, e questo vale anche nel caso della circolazione stradale (ambiente, peraltro, molto complesso). Ma non tutti gli stimoli uditivi, olfattivi e visivi vengono colti, in quanto il nostro cervello funziona come un filtro che seleziona gli stimoli provenienti dall’ambiente - diversamente vivremmo nel caos - e permette all’individuo di “organizzare” il proprio comportamento. Questa selezione degli stimoli si chiama “attenzione”.
Noi siamo in grado di cogliere più stimoli contemporaneamente: alla guida, ad esempio, vediamo il pedone, il semaforo, il veicolo che precede, ecc. Se però siamo concentrati su qualcosa in particolare (ad esempio per cercare una strada o un numero civico, o per scrivere un messaggio al cellulare), tralasciamo altri stimoli rilevanti. E durante le attività formative si usano spesso, in effetti, strumenti e giochi che pongono all’evidenza i limiti della nostra percezione.
Ma quante cose possiamo fare contemporaneamente? Le ricerche evidenziano come gli stimoli che chiamano in causa il medesimo organo di senso creano tra loro “interferenza”. Se durante la guida si ascolta della musica si impegnano due differenti canali percettivi: l’interferenza tra i due stimoli è minore rispetto, ad esempio, al cambiare il canale della radio mentre si guida. In questa ultima situazione l’organo della vista è infatti doppiamente coinvolto: tra le due azioni si crea interferenza.
 
Il caso della frenata improvvisa
Molto spesso, alla guida, devono essere prese decisioni repentine, a fronte ad esempio della comparsa di ostacoli improvvisi. In genere si pensa che la frenata sia un‘unica azione, dall’esecuzione pressochè immediata. Ma la ricerca (Studio di ricerca Ing. Mauro Balestra e Dott. Daniele Ruscio Univ. Cattolica Milano) ci aiuta a comprendere che quello che avviene è un susseguirsi di meccanismi percettivi e di successive azioni, per il cui svolgimento occorre un certo tempo. Tra la percezione di un ostacolo e l’esecuzione di un compito (inizio della frenata) c’è il “tempo di reazione”, e corrisponde alla prima fase: la percezione del pericolo. Segue la fase dell’azione, in cui inizia la procedura di arresto: si sposta il piede dall’acceleratore al freno. Nella terza fase si ha infine la frenata vera e propria (dall’azione sul pedale del freno all’arresto dell’auto). Le prime due fasi rappresentano l’”intervallo psicotecnico”, cioè il tempo che precede la frenata vera e propria. Durante tale intervallo, in media di circa 1 secondo, l’auto procede senza variare la propria velocità.
A 50 km/h, l’auto percorre circa 14 m durante il tempo di reazione ed altri 14 metri nello spazio di frenatura. A 100 km/h si percorrono invece 28 m durante il tempo di reazione e 70 metri nello spazio di frenatura, quindi quasi 100 metri dalla percezione dell’ostacolo all’arresto completo.
La frenata non è dunque un’azione immediata, ma richiede un certo tempo, e la distanza di sicurezza diventa quindi un elemento fondamentale per evitare gli incidenti.
 
L’effetto di alcool e distrazione sui tempi di reazione
Tempi e distanze di cui si è detto corrispondono a valori medi, considerando guidatori in stato psico-fisico normale e veicoli tenuti in condizioni di efficienza. Ma i tempi di reazione non possono essere uguali per tutti, ed in tutte le situazioni. Ad esempio, quanto incide l’alcool sulla guida e sulla nostra capacità di reagire ad uno stimolo? Un tasso alcolemico pari al limite consentito (0,5 g/l) esercita in realtà già notevoli cambiamenti sulle nostre capacità attentive, percettive e decisionali. Peraltro l’assunzione di alcool, anche in ridotte quantità, accresce la sensazione di controllo, di sicurezza e di sopravvalutazione del mezzo, riducendo quindi la percezione di limite e pericolo. Il rischio di incidente con un tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,9 g/l aumenta di 11 volte rispetto al tasso alcolemico nullo. E con una alcolemia di valore pari o superiore a 1,5 g/l il rischio di incidente cresce addirittura di 380 volte rispetto al tasso nullo (dati ACI).
Consideriamo anche la distrazione, una tra le maggiori cause di incidenti, in particolare a seguito della diffusione dei telefoni cellulari (sia nel caso di incidenti occorsi a conducenti che per incidenti occorsi a pedoni o motociclisti). Per comporre un numero su un cellulare il tempo di distrazione medio rilevato corrisponde a 10,6 sec. In pratica, sarebbe come percorrere bendati circa 150 metri viaggiando a 50 km/h (ad esempio in città) o circa 350 metri ad una velocità di 120 km/h (ad esempio in autostrada). Guidereste bendati per tali distanze?
 
La resilienza e la sicurezza
Quando si parla di interventi a favore della sicurezza stradale, o comunque interventi preventivi volti a preservare la salute e il benessere delle persone/lavoratori, spesso si parla di interventi formativi sull’individuo (corsi di guida sicura, ecc.) o di interventi sui mezzi (ad esempio dotando gli stessi di sistemi avanzati di ausilio alla guida, strumentazioni varie, ecc.). In realtà, il benessere lavorativo è un concetto più complesso, e riguarda l’individuo inserito in un sistema sociale ed in una organizzazione aziendale. Per aumentare la sicurezza non basta dunque intervenire solo sul singolo e sul mezzo, ma è necessario trovare il giusto bilanciamento tra i “bisogni organizzativi” ed esigenze individuali.
L’intervento di sensibilizzazione, finalizzato all’incremento della consapevolezza nei conducenti professionisti, è quindi legato al tema della “cultura aziendale della sicurezza”.
Se ad un autotrasportatore, ad esempio, si propone un percorso formativo sulla sicurezza stradale (incentrato su temi quali percezione del rischio, sonnolenza, tempi di riposo, alcool, velocità, ecc.), occorre anche che, da parte aziendale, ci sia un approccio coerente, come ad esempio, definire tabelle di marcia congrue per effettuare i viaggi in sicurezza.
 
Interventi specifici sul benessere e sulla salute psicofisica dei lavoratori, anche attraverso interventi sull’organizzazione stessa, rappresentano strategie efficaci per ridurre il rischio stradale (sul lavoro e fuori). Percorsi formativi aziendali sulla resilienza personale e organizzativa creano sicurezza fornendo strumenti indispensabili per gestire lo stress, rafforzando le competenze emotive ed implementando strategie per risolvere i problemi in un’ottica proattiva.
Nell’ambito delle organizzazioni è dimostrato infatti che un lavoratore “resiliente” gestisce e affronta lo stress in modo sano, cercando di mettere in atto tutte le sue risorse personali. Lo sviluppo di capacità resilienti nei lavoratori preserva da patologie quali lo stress, che può essere concausa, assieme ad altri fattori, dell’insorgenza di situazioni particolari con conseguenti danni comportamentali e fisici nell’individuo e conseguenti danni economici sociali e aziendali.
 
Un lavoratore resiliente ha inoltre un’alta capacità di riflessione sulla propria vita lavorativa: è capace di stabilire rapporti soddisfacenti con i propri colleghi di lavoro, è in grado di mantenersi ad una certa distanza dai problemi (ma senza isolarsi), ed è determinato a raggiungere gli obiettivi prefissati. Egli ha costruito una rete di supporto sociale nell’ambiente sia lavorativo che extralavorativo, riuscendo a dare un senso alla sua vita professionale conciliando le esigenze lavorative e personali. Ha la capacità di gestire ed affrontare lo stress attingendo dalle risorse migliorative interne con aggiustamenti che mirano alla limitazione del rischio psicosociale e ai costi aziendali del malessere (turn-over, micro-assenteismo ecc). E l’organizzazione resiliente riesce inoltre a prevenire, perché è in grado di cogliere i piccoli segnali che possono preannunciare l’evento catastrofico.
 
Conclusioni
Da quanto detto emerge con evidenza l’opportunità di costruire specifici percorsi formativi con un approccio multiplo (sia ingegneristico che psicologico), che consentono di perseguire un doppio obiettivo.
Il primo obiettivo è aumentare la consapevolezza della presenza dei rischi sulla strada (stimolando una corretta percezione degli stessi) e le conoscenze del funzionamento percettivo ed emotivo e delle reazioni del nostro corpo a fronte di variazioni determinate dall’assunzione di sostanze, stanchezza o distrazione. Il secondo obiettivo è consentire l’acquisizione della conoscenza delle norme e del mezzo, responsabilizzare il lavoratore rispetto alle procedure obbligatorie per la sicurezza ed aumentare quindi la sua consapevolezza e la sua capacità di individuare il pericolo e ridurre il rischio.
Un problema complesso, come quello del rischio stradale sul lavoro, richiede una soluzione non banale. Solo affrontandolo con sguardo aperto ed interventi adeguati è possibile ottenere risultati significativi. Ed a vantaggio di tutti: dell’azienda, dei lavoratori, e delle loro famiglie.
 
 
Marco De Mitri e Daniela Frisone
 
 
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