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Sull’installazione di un impianto audiovisivo di controllo dei lavoratori

Sull’installazione di un impianto audiovisivo di controllo dei lavoratori
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

10/03/2014

L’installazione di telecamere puntate direttamente sul personale effettuata senza autorizzazione della DTL o accordo con le rappresentanze sindacali comporta la responsabilità penale del datore di lavoro anche se sono spente. A cura di G. Porreca.

 
Il commento
 
Si è espressa la Corte di Cassazione penale in questa sentenza in merito alla regolarità ed alla rispondenza alle disposizioni di legge vigenti sulla tutela dei lavoratori della installazione in una azienda di telecamere puntate direttamente sul personale al lavoro. La suprema Corte, intervenendo in tema di diritti dei dipendenti sanciti dallo Statuto dei lavoratori, ha infatti affermato, a seguito del ricorso presentato da un datore di lavoro condannato per il reato di cui all'articolo 4 comma 2 della legge n. 300/1970, che l’installazione di tali telecamere effettuata senza attendere l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro o l’accordo con le rappresentanze sindacali comporta la responsabilità penale del  datore di lavoro anche se le stesse telecamere risultano spente.

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Il fatto, il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
 
Il Tribunale ha condannato il legale rappresentante di una società alla pena di € 200 di ammenda per il reato di cui all'articolo 4, comma 2, della legge n. 300/1970 per avere installato un impianto audiovisivo di controllo a distanza dei lavoratori delle casse del suo supermercato senza accordo con le rappresentanze sindacali e senza l’autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro.
 
Il legale rappresentante ha presentato, tramite il suo difensore, ricorso in Cassazione adducendo come motivo fondamentale l’insufficienza ad integrare la violazione dell’articolo 4, comma 2, della legge n. 300/1970 la semplice installazione dell'impianto, essendo anche necessaria invece la verifica della sua idoneità a cagionare concrete conseguenze dannose ai lavoratori e sostenendo, altresì, che nel caso in esame non sussiste il reato perché le modalità delle riprese non sono tali da ledere la riservatezza dei lavoratori dipendenti.
 
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che, con riferimento alle osservazioni formulate dall’imputato, ha precisato che le disposizioni di legge stabiliscono in realtà che gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro ma dai quali derivi anche la possibilità di un controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna e che, in difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti.
 
La suprema Corte ha fatto presente, altresì, che la norma tuttora vigente, pur non avendo più (cfr. Cass. sez. III, 24 settembre 2009 n. 40199) sanzione nell'articolo 38 comma 1 sempre dello Statuto dei lavoratori, dopo la soppressione del riferimento all'articolo 4 nel suddetto articolo 38 comma 1 operata dall'articolo 179 D. Lgs. n. 196/2003 (che colma la lacuna con il combinato disposto dei suoi articoli 114 e 171), prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori qualora non vi sia stato consenso sindacale (o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati Cass. sez. III, 17 aprile 2012 n. 22611) o permesso dall'Ispettorato del lavoro.
 
In merito alla osservazione fatta dal ricorrente - secondo la quale non è sufficiente l’installazione dell'impianto in quanto occorre anche una "successiva verifica della sua idoneità" ed in quanto l’impianto è stato eseguito in conformità al progetto allegato alla richiesta di autorizzazione in seguito approvato e secondo la quale è palese che il reato non sussiste perché le modalità delle riprese visive, peraltro effettuate soltanto dopo ottenuta l'autorizzazione della D.T.L., non sono tali da ledere la privacy dei lavoratori - la Corte di Cassazione ha dichiarato che “l'idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, necessaria affinché il reato sussista emerge ictu oculi dalla lettura del testo normativo - idoneità che peraltro è sufficiente anche se l'impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l'installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno”. L'esistenza di tale idoneità invece, ha ancora affermato la suprema Corte, si colloca sul piano fattuale, per cui al riguardo è stato ritenuto inammissibile il ricorso dell’imputato. “Ad abundantiam”, ha così concluso la sezione penale, “si osserva comunque che tale accertamento è stato effettuato, come emerge dalla descrizione dell'impianto nella sentenza impugnata, impianto inclusivo di otto microcamere a circuito chiuso, alcune puntate direttamente sulle casse ed è dei lavoratori alle casse che l'imputazione contesta la violazione della privacy”.
 
 
 
 
 
 
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