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Le condizioni per un’applicazione corretta dell’art. 437 del codice penale

Le condizioni per un’applicazione corretta dell’art. 437 del codice penale
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

09/11/2020

Ai fini dell’applicazione dell’art. 437 c.p. È necessario che l'omissione o la rimozione dolosa degli impianti o apparecchi destinati a prevenire gli infortuni sul lavoro possano pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori.

Oggetto di questa recente sentenza della IV Sezione penale della Corte di Cassazione in commento è l’art. 437 del codice penale che con il comma 1 punisce “chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia” e che al comma 2 contempla una pena più severa “se dal fatto deriva un disastro o un infortunio”. Lo scrivente ha già avuto modo di commentare una sentenza della IV Sezione penale della Cassazione, la n 57673 del 28 dicembre 2017 pubblicata sul quotidiano del 12/2/2018 (La Cassazione sulla rimozione od omissione di cautele antinfortunistiche) nella quale la Corte suprema ha fornito alcuni indirizzi per una corretta applicazione di tale articolo del codice penale e ha sostenuto a proposito che la pubblica incolumità da tutelare contro gli eventi lesivi di cui all’art. 437 c.p. comprende anche l’infortunio individuale poiché essa è caratterizzata dalla indeterminatezza dei lavoratori e non dal numero rilevante di quelli esposti al rischio.

 

Ora è tornata la suprema Corte a fornire alcune altre indicazioni in merito dovendo decidere sul ricorso presentato dal datore di lavoro di un’azienda che era stato condannato nei due primi gradi di giudizio per avere commesso una serie di violazioni alle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e di cui appunto all’art. 437 c.p. per avere omesso di adottare dispositivi di protezione, di emergenza, di riparo, destinati a prevenire infortuni sul lavoro, in relazione ad alcune attrezzature tenute in azienda nonostante le espresse prescrizioni alla loro regolarizzazione impartite dall’organo di vigilanza nel corso di una ispezione.

 

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 437 c.p. ha sostenuto la suprema Corte in questa occasione, è necessario che l'omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire gli infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l'inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l'attitudine, almeno astratta, anche se non bisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro e ciò indipendentemente dalla effettiva verificazione, a loro danno, di eventi infortunistici.

 

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L’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

Il Tribunale ha condannato l’amministratore unico e legale rappresentante di una società alla pena, condizionalmente sospesa, di 1 anno, 2 mesi e 15 giorni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, di una serie di reati commessi nella sua qualità di datore di lavoro, e precisamente di cui agli artt. 29, comma 1 del D. Lgs. n. 81 del 2008, per non avere redatto il documento di valutazione dei rischi idoneo a evidenziare i rischi specifici cui erano esposti i lavoratori operanti nell'unità produttiva, 37, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008, per non aver assicurato che ciascun lavoratore ricevesse una adeguata e specifica formazione in materia di sicurezza e salute sul lavoro, 37, comma 7, del D. Lgs. per non avere assicurato che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza fosse sottoposto a specifica formazione prevista per il suo ruolo. 64, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008 per avere tenuto i locali forniti ai lavoratori, per uso di dormitorio stabile, non adeguati ai requisiti di abitabilità prescritti per le case di civile abitazione in termini di superficie, di arredamento necessario alle esigenze dell’igiene e di rispondenza alle norme tecniche applicabili in relazione alla conformità dell'impianto elettrico, 64, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 per avere tenuto alcune postazioni, dove gli addetti effettuavano saldature a filo continuo, con difetto di sistemi di aspirazione dei fumi e gas sviluppati, 64, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 per non avere messo a disposizione dei lavoratori, che effettuavano saldature a filo continuo con sviluppo di fumi e gas, dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie, 29, comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 per non avere imposto il divieto di fumare in relazione ai pericoli di incendio derivanti dalla tipologia delle lavorazioni svolte, 71, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008 per non avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere o comunque idonee ai fini della sicurezza e della salute, 71, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008, art. 80, comma 3, del D. Lgs. n. 81/2008 per non avere adottato misure tecniche e organizzative necessarie a eliminare o ridurre al minimo i rischi derivanti dall’impianto elettrico e di cui all’art. 437 cod. pen., per avere omesso di adottare dispositivi di protezione, di emergenza, di riparo, destinati a prevenire infortuni sul lavoro, in relazione a alcune attrezzature nonostante espresse prescrizioni alla loro regolarizzazione emanate dallo Spresal dell'ASL.

 

La Corte di Appello successivamente, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminate alcune pene inflitte dal Tribunale. L’imputato ha quindi, per mezzo del difensore di fiducia, proposto ricorso per cassazione lamentando che non sarebbe stata data una effettiva risposta all'argomentazione difensiva secondo cui le contravvenzioni contestate non sarebbero state integrate in quanto le relative violazioni avrebbero al più configurato delle mere irregolarità, trattandosi di ipotesi di inesatto adempimento delle prescrizioni e non già di totale inadempimento del precetto descritto dalle relative norme. Analogamente, quanto al delitto di rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro ex art. 437 cod. pen. contestatogli, ha evidenziato come l'esiguo numero di macchinari interessati dalle omissioni, così come le modeste proporzioni della collettività dei lavoratori interessati, avrebbero fatto sì gli inadempimenti riscontrati non fossero tali da ingenerare il pericolo del disastro o dell'infortunio posti alla base del reato contestatogli.


 Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato considerato inammissibile dalla Corte di Cassazione. La stessa ha sottolineato come le violazioni contestate nei capi di imputazione non costituissero delle mere irregolarità nell'inadempimento delle prescrizioni dettate dal D. Lgs. n, 81/2008 rappresentando anche la parziale inosservanza degli obblighi o dei divieti, un vero e proprio inadempimento anche giuridicamente rilevante in quanto idoneo a incidere sulle esigenze prevenzionistiche. Il ricorso, secondo la Sezione I, si è limitato a reiterare la tesi già esposta nell'atto di appello, senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato e rivelandosi, per questa via, come del tutto aspecifico. Le lamentele, altresì, sono state considerate del tutto generiche risolvendosi in affermazioni che non hanno analizzato le caratteristiche delle singole figure di reato.

 

Per quanto riguarda, poi, le lamentele relative al delitto previsto dall'art. 437 cod. pen., la suprema Corte ha precisato che, secondo il condiviso indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, “ai fini della sua configurabilità è necessario che l'omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l'inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l'attitudine, almeno astratta, anche se non bisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro”.

 

Giustamente quindi, secondo la Sez. I, la sentenza impugnata ha rilevato che la condotta omissiva dell'imputato, consistita nella mancata adozione dei dispositivi di protezione, emergenza e riparo, destinati a prevenire infortuni sul lavoro, specie in relazione alle attrezzature meccaniche, persistente nonostante le espresse prescrizioni emanate dall’Organo di vigilanza e, dunque, volontaria, avesse integrato un inadempimento sicuramente idoneo a pregiudicare l'integrità fisica dei lavoratori addetti alle lavorazioni effettuate sugli stessi macchinari presenti nello stabilimento e ciò indipendentemente dalla effettiva verificazione, a loro danno, di eventi infortunistici.

Un accertamento in fatto, quello sulla idoneità offensiva dell'omissione contestata, ha così concluso la Sezione I, certamente non censurabile in sede di legittimità.

 

Sulla base delle considerazioni sopraindicate, in definitiva, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e di conseguenza ha posto a carico del ricorrente l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma di 3000 euro in favore della cassa delle ammende.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione I - Sentenza n. 30011 del 29 ottobre 2020 (u.p. 22 settembre 2020) - Pres. Iasillo - Est. Renoldi - P.M.  Casella - Ric. G.G.. - Ai fini dell’applicazione dell’art. 437 c.p. È necessario che l'omissione o la rimozione dolosa degli impianti o apparecchi destinati a prevenire gli infortuni sul lavoro possano pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori.

 




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