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La responsabilità ex 231 per reati commessi a vantaggio dell’ente

La responsabilità ex 231 per reati commessi a vantaggio dell’ente
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

05/12/2016

L’ente è responsabile se un reato in materia di sicurezza sul lavoro è stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio intesi come risparmio di risorse e incremento della produttività legati alla mancata adozione delle misure di sicurezza. Di G.Porreca


 

 

 

 

Ha trovato l’occasione la Corte di Cassazione in questa sentenza di chiarire, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, la differenza esistente fra il reato in materia di salute e di sicurezza sul lavoro presupposto commesso nell’interesse dell’ente medesimo o comunque a suo vantaggio. Il requisito dell’interesse dell’ente, ha infatti precisato la suprema Corte, ricorre quando la persona fisica, pur non volendo  il verificarsi di un infortunio, ha agito consapevolmente allo scopo di far conseguire una utilità alla persona giuridica come quella di potere risparmiare sui costi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il requisito del vantaggio per l’ente, invece, ricorre quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo anche in tal caso il verificarsi di un infortunio, ha violato delle norme di prevenzione a seguito di una gestione disattenta  della sicurezza  così apportando un vantaggio all’ente consistente in una riduzione delle spese da sostenere per la sicurezza dei luoghi di lavoro così consentendo del profitto.

 

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Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

L’amministratore unico di una società a responsabilità limitata è stato giudicato dal GIP del Tribunale, all'esito di un giudizio abbreviato, colpevole di plurime violazioni della legge penale di seguito indicate ed a carico dello stesso è stata riconosciuta anche la responsabilità amministrativa della società. In particolare lo stesso è stato giudicato colpevole:

 

1) del delitto di cui all'art. 589, commi 1, 2 e 4, cod. pen., per avere cagionato per colpa la morte di quattro lavoratori e lesioni gravi ai danni di altri quattro lavoratori, tutti operai dipendenti della società amministrata dall'imputato, rimasti colpiti da un incendio sviluppatosi all'interno dello stabilimento della società in un sito ove si trovavano depositati rifiuti di vario

genere;

 

2) di numerose violazioni della normativa antinfortunistica, per aver omesso di valutare i rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive, dopo che l'impianto di aspirazione era stato messo fuori uso da un precedente incendio e con particolare riferimento alla lavorazione dei cosiddetti setacci molecolari (art. 290, comma 1, del D. Lgs. n. 81/08), per non avere messo gli ambienti di lavoro in condizioni di sicurezza, omettendo i dovuti controlli e non aver ripartito in zone le aree a rischio (art. 291, comma 1 lett. a e b e 293, comma 1, del citato D. Lgs.), per non aver previsto l'organizzazione di un servizio formativo per i lavoratori, che li istruisse sulle cautele necessarie per evitare scariche elettrostatiche (art. 293, comma 2, del D. Lgs. citato), per non aver provveduto a sottoporre a revisione il documento di protezione contro le esplosioni (art. 294, comma 4 del citato D. Lgs.), per aver fatto utilizzare un muletto con motore a scoppio diesel, pericoloso in relazione alle lavorazioni in corso (art. 71, comma 2, del citato D. Lgs.), per non aver tenuto i luoghi di lavoro in conformità di quanto previsto dagli arti. 63 e 64 del citato D. Lgs., per avere trattato i cosiddetti setacci molecolari con acqua, così da procurare rilascio di gas esplosivo, stoccandoli in contenitori non a tenuta stagna (art. 256, comma 1, lett. b, del citato D. Lgs.); per avere travasato, miscelato e triturato rifiuti speciali pericolosi, costituiti da solventi e vernici, in violazione dell'autorizzazione amministrativa, in ambienti sprovvisti di impianti di aspirazione e captazione, per avere gestito i rifiuti miscelandoli, senza previa prova su piccole quantità, per non avere fornito ai lavoratori assunti dalla ditta appaltatrice i dispositivi di protezione individuale (art. 77, comma 3 e 87 comma 2, lett. b, del citato D. Lgs.), per non avere provveduto a far formare ed informare il personale assunto dalla ditta appaltatrice (art. 227, comma 1 lett. c e 262, comma 2, lett. b, del citato D. Lgs.) e per non avere informato i predetti lavoratori del rischio derivante da agenti cancerogeni e mutageni (art. 239, comma 1 e 262 comma 2, lett. b, del citato D. Lgs. e 3);

 

3) del delitto di cui all'art. 449, cod. pen., per avere, per colpa, causato un incendio presso lo stabilimento, generatosi da un container carico di rifiuti speciali pericolosi, costituiti dai cd. setacci molecolari, dai quali, si sprigionava una nube di gas, che venuta a contatto con parti surriscaldate del muletto, provocava una fiammata che si propagava, ulteriormente, rinvigorita dalla presenza di solventi e altro materiale infiammabile, dei quali nei pressi si stava effettuando il travaso;

 

4) di numerose violazioni della normativa diretta alla protezione ambientale, ed in particolare: per avere smaltito rifiuti pericolosi senza la necessaria autorizzazione, effettuando trattamento chimico-fisico mediante aggiunta d'acqua e miscelazione con altri rifiuti non consentita (art. 256, comma 1, lett. b, del D Lgs. n. 152/06); per avere miscelato, travasato e triturato materiali speciali pericolosi in assenza di impianti di aspirazione e captazione (art. 256, comma 4, del citato D. Lgs.); per avere miscelato rifiuti aventi diverso stato fisico e senza la previa prova per 24 ore su piccole quantità (art. 256, comma 4 e 5, del citato D. Lgs.), per avere fatto trasportare rifiuti in uscita dallo stabilimento, affidandoli alla società della quale l'imputato era amministratore unico, indicando nel formulario e nella scheda il falso, per avere, al fine di trarne profitto, fatto trafficare in rifiuti la società amministrata (art. 260, del citato D. Lgs.);

 

5) per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, fatto usufruire la società di mere prestazioni di manodopera, mediante l'occupazione di più lavoratori dipendenti forniti dalla ditta appaltatrice;.

 

6) per avere violato l'art. 2 del D. Lgs. n. 74/00, per essersi avvalso, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, di più fatture emesse  recanti importo superiore al prezzo effettivo.

 

La Corte d'Appello alla quale si sono rivolti l'amministratore unico della società, la società medesima e la parte civile, salvo a disporre provvisionale in favore della parte civile stessa, ha confermato la sentenza di primo grado. La stessa Corte ha ricostruito la dinamica dell’accaduto e la causa dello stesso risalente a plurime e gravi violazioni della normativa sulla sicurezza e sul trattamento e smaltimento dei rifiuti. La prima fonte d'innesco, secondo la Corte territoriale, è stata costituita dall'illegale trattamento dei setacci molecolari che avevano la funzione di trattenere l'odore e il colore, che viene in origine aggiunto al GPL, al fine di renderne accertabile con i sensi la presenza, considerato che tale gas si presenta, in mancanza, pericolosamente inodore e incolore. Esaurita la loro funzione, gli stessi setacci erano stati ceduti dalle aziende che li utilizzavano alla società di cui al procedimento per lo smaltimento e poiché essi erano imbibiti di GPL non doveva essere versata dell’acqua sugli stessi (secondo quanto indicato dallo stesso produttore) in quanto, in presenza d'acqua, il gas trattenuto si sarebbe sprigionato nell'aria. Tale materiale notevolmente pericoloso, lasciato a cielo aperto per giorni all'interno del cassone, aveva sviluppato una nube di gas, peraltro inodore e incolore, la quale entrata in contatto, con le parti calde del motore diesel di un muletto, inopportunamente posto nei pressi, procurava l'esplosione che veniva ulteriormente implementata dal contatto con solventi e vernici infiammabili, che gli operai erano intenti a travasare all'aperto non molto distante, dopo che in un precedente incendio era andato distrutto il sistema d'aspirazione.

 

Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione l'imputato e la società. Quest’ultima, in particolare, fra i motivi del ricorso, ha avanzata una illogicità e una mancanza di motivazione in punto di riconoscimento dell'interesse o del vantaggio della persona giuridica, giudicata responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies del D. Lgs. n. 231/2001. La società ricorrente ha fatto notare che ove la Corte territoriale avesse posto attenzione alle carte processuali, avrebbe dovuto concludere che nessun risparmio di spesa ne era conseguito, avendo la società sempre dedicato particolare attenzione alla sicurezza dei lavoratori in quanto era stato adottato il DVR e il DUVRI e tutti i lavoratori erano formati ed informati, nonché dotati di DPI. L'utilizzo di una società esterna per attività di facchinaggio non aveva comportato alcun risparmio di spesa. In definitiva, errando, la sentenza aveva ritenuto che al verificarsi dell'evento dovesse necessariamente corrispondere un'assenza di predisposizione di cautele e, quindi, un mancato investimento in materia di sicurezza ed ambientale. La società, inoltre, aveva predisposto adeguati modelli organizzativi, strumenti e procedure idonei ad impedire eventi infortunistici e non poteva essere chiamata a rispondere solo perché un evento di tal fatta si fosse verificato o si fossero registrate manchevolezze da parte di qualcuno.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Entrambi i ricorsi, secondo la Corte di Cassazione, a cagione della loro manifesta infondatezza, non hanno superato il vaglio d'ammissibilità. Con riferimento, in particolare al ricorso presentato dalla società la Sez. IV, ribadendo quanto di recente compiutamente puntualizzato in sede di Sezioni Unite (sent. n. 38343 del 24/4/2014, dep. 18/9/2014), sul D. Lgs. n. 231/01, ha fatto notare che ricade sull'ente l'onere di dimostrare di avere efficacemente adottato, prima della commissione del reato, modelli gestionali ed organizzativi idonei a prevenire i reati del tipo di quello verificatosi, dimostrazione che nel caso in esame non è stata affatto resa disponibile. Le due sentenze di merito, infatti, secondo la suprema Corte, avevano evidenziato, con puntualità e precisione, l'assenza, pressoché generalizzata, di strumenti prevenzionali, la eclatante reiterata violazione anche delle norme cautelari comuni e la violazione, anche attraverso procedimenti frodatori, dei precetti di legge né è seriamente dubitabile che dalla macroscopica violazione delle regole volte ad assicurare la sicurezza sul lavoro, la prevenzione di disastri, il rispetto per l'ambiente, nonché la corretta utilizzazione della manodopera siano derivati risparmi aziendali, anche rilevanti. E' appena il caso di soggiungere che il vantaggio, ovviamente, non deriva dal disastro, dalle morti e dalle lesioni procurate, ma dal risparmio di spesa che avrebbe impedito simili eventi.

 

La Sez. IV si è quindi soffermata sui requisiti dell’interesse e del vantaggio precisando che “il requisito dell'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica; ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell'infortunio in danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del vantaggio per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, anche in questo caso, ovviamente, non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionali e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto”.

 

Più precisamente, ha sostenuto, infine, la Sez. IV, interesse e vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell'ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza (dai più basilari e generici, quali la formazione e l'informazione, ai più specifici e settoriali), nonché alla generalizzata violazione della disciplina regolante lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi, e alla predisposizione, infine, di schemi fraudolenti fiscali  oltre che come incremento economico conseguente all'aumento della produttività, non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale e di quella regolante lo specifico settore lavorativo.

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 31210 del 20 luglio 2016 (u. p. 19 maggio 2016) -  Pres. Piccialli – Est. Grasso - Ric. M. G..  - L’ente è responsabile se un reato in materia di sicurezza sul lavoro è stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio intesi come risparmio di risorse e incremento della produttività legati alla mancata adozione delle dovute misure di sicurezza.





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