Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'
Crea PDF

Gli stati di alterazione del lavoratore e le responsabilità del DL

Gli stati di alterazione del lavoratore e le responsabilità del DL
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

31/10/2019

La malattia psichica del lavoratore, l’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, il lavoro svolto in stato alterato: le responsabilità penali e civili del datore di lavoro (e del lavoratore) nelle sentenze di Cassazione

L’obbligo del datore di lavoro di adottare le misure imposte dall’art.2087 c.c. in caso di lavoratore affetto da malattia psichica: la in-capacità di quest’ultimo di “percepire l’effettiva realtà dei rapporti interpersonali” non è un fatto “notorio” bensì è una circostanza da dimostrare caso per caso.

 

In una sentenza di qualche mese fa (Cassazione Civile, Sez. Lav., 4 giugno 2019 n.15159), la Cassazione ha chiarito che le responsabilità derivanti dall’art.2087 c.c. (e quindi legate all’obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure atte a tutelare l’integrità fisica e la personalità del lavoro secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica) non viene meno nel caso in cui il lavoratore sia affetto da una malattia psichiatrica in virtù della mera dimostrazione della sussistenza di tale condizione.

 

Infatti secondo la Corte, “il ragionamento” che pone “in correlazione l’esonero dalla responsabilità di cui all’art.2087 c.c. con l’impossibilità datoriale di impedire il danno, è astrattamente corretto, ma anch’esso, in concreto, si appalesa poi come giuridicamente errato”, in quanto dà per scontata “una notoria incapacità di chi sia affetto da malattia psichica di percepire l’effettiva realtà dei rapporti interpersonali”, che deve invece essere dimostrata.

 

In particolare, “le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza […] e che qui interessano in quanto la sentenza impugnata ha appunto evocato l’esistenza di un fatto notorio nella asserita “incapacità di percepire l’effettiva realtà dei rapporti interpersonali” in capo a chi sia affetto da “malattia psichica”, possono dirsi tali solo in quanto si possa parlare di fatti o anche regole di esperienza che siano pacificamente acquisite al patrimonio di cognizioni dell’uomo medio, ovverosia che risultino acquisiti alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili (Cass.29 ottobre 2014, n.22950; Cass.19 marzo 2014, n.6299; Cass.5 ottobre 2012, n.16959)”.

 

Di conseguenza, a giudizio della Corte “non possono essere invece considerate tali quelle valutazioni che, per la specificità scientifica e l’assenza di un’acquisita tangibilità oggettiva diffusa, necessitino, per essere formulate, di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante c.t.u. o mezzi cognitivi peritali analoghi”.

 

In conclusione, sostenere che “vi sia un nesso addirittura notorio, tra una generica “malattia psichica” e la capacità di affrontare le relazioni interpersonali, al punto di ingenerare un’impossibilità datoriale di porre rimedio allo scaturire dal lavoro di un danno per il lavoratore interessato è affermazione apodittica e non riportabile ad una regola o ad un fatto di comune esperienza”.

 

 

Pubblicità
MegaItaliaMedia
 

L’obbligo del datore di lavoro di prevenire “la condotta maldestra, inavvertita, scoordinata, confusionale per effetto dell'ebbrezza alcolica” del lavoratore.

 

Secondo Cassazione Penale, Sez.IV 20 settembre 2012, n.36272 (per i dettagli della quale si rinvia alla sentenza integrale), “la condotta maldestra, inavvertita, scoordinata, confusionale per effetto dell'ebbrezza alcolica, null'altro è che un comportamento imprudente, anche a fronteggiare il quale è posto l'obbligo prevenzionistico facente capo al datore di lavoro.”

 

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto il datore di lavoro responsabile del decesso di un lavoratore il quale, “mentre era intento alle sue occupazioni quale dipendente di fatto del [datore di lavoro], precipitava da un vano finestra posto a cinque metri di altezza dal suolo, riportando lesioni personali che ne cagionavano la morte.”

 

In particolare, era stato “accertato che il lavoratore era impegnato nei lavori di sigillatura del vano finestra di un locale sito al primo piano di un edificio presso il quale la ditta del [datore di lavoro] stava eseguendo dei lavori edili. Onde operare presso il vano finestra era stato allestito all'interno del locale un ponteggio alto circa un metro dal pavimento, ma non erano state apprestate opere provvisionali all'esterno del vano, sul lato prospiciente il vuoto.”

 

Inoltre, “dopo il decesso era stato accertato che il [lavoratore] presentava un tasso alcolemico pari a 2,40 grammi al litro, quindi un valore implicante una marcata alterazione delle performance psicofisiche con disturbi di equilibrio, atassia, sensazione di instabilità ed ebbrezza.”

 

La Cassazione sottolinea che “quanto allo stato di ebbrezza del [lavoratore], la Corte territoriale rilevava che era probabile che tale condizione avesse reso il lavoratore imprudente ma ciò rappresentava causa concorrente con il fatto ascrivibile al datore di lavoro e quindi non un fatto interruttivo del rapporto causale tra questo e l'evento medesimo. Ciò in quanto l'osservanza della normativa antinfortunistica è prescritta anche allo scopo di evitare che al lavoratore derivino danni da propri comportamenti imprudenti, negligenti o imperiti, con l'esclusione del solo comportamento assolutamente abnorme. Comportamento che non poteva individuarsi nel caso di specie.”

 

Conclusivamente, è stata giudicata “immune da censure, quindi, la Corte di appello quando ha ritenuto che non ricorre nel caso di specie alcun comportamento anomalo del lavoratore e che quindi non è rinvenibile in esso una causa da sola sufficiente a produrre l'evento.”

 

Il giudizio sulla sussistenza di un’eventuale alterazione delle capacità psichiche della vittima sotto il profilo processuale.

 

Una sentenza di circa un mese fa (Cassazione Penale, Sez.IV, 12 settembre 2019 n.37765) ha precisato che, sotto il profilo processuale, “il giudizio sulla sussistenza di un'eventuale alterazione delle capacità psichiche della vittima e, specularmente, di superfluità della perizia diretta ad appurarne l'integrità, è strettamente correlato alla prospettazione difensiva di elementi specifici e di segno contrario (vedi Sez.2, n.50196 del 26/10/2018, Montuori, Rv. 274684, in tema di capacità di intendere e di volere dell'imputato). Il potere di disporre un accertamento di tale tipo ha natura discrezionale ed è esercitabile solo qualora emergano concreti elementi, che consentano di dubitare delle capacità intellettive del soggetto.”

 

In applicazione di tale principio, nel caso di specie trattato dalla sentenza (cui si rinvia per dettagli) la Cassazione giudica “infondate le doglianze inerenti alla mancata valutazione del presunto elevato tasso alcolemico del F.M. [lavoratore deceduto, n.d.r.], formulate sotto i profili dell'esigenza di procedere a perizia tossicologica e del carattere eccezionale ed imprevedibile di tale status, avente efficacia idonea ad interrompere il nesso causale”, laddove era stato accertato che “gli altri lavoratori non avevano notato la presenza del dedotto stato di ebbrezza e che comunque esso non era stato dimostrato […]”.

 

Assunzione di cannabis da parte di un lavoratore: l’alterazione della “capacità di concentrazione, di percezione e di vigilanza” del lavoratore ed il concorso di colpa.

 

Concludiamo questa breve rassegna (condotta - come sempre - senza pretese di esaustività) con una sentenza (Cassazione Penale, Sez.IV, 20 febbraio 2008 n.7709) che ha confermato la condanna di un delegato aziendale in materia di sicurezza (e, ai soli effetti civili, ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro) per omicidio colposo in danno un operaio.

Quest’ultimo era stato assunto da un paio di mesi ed era addetto ad una macchina per la produzione a caldo di taniche di plastica, con il compito di raccogliere quelle che uscivano dalla pressa e di ripulirle dagli scarti di lavorazione, applicandovi le etichette.

 

In particolare, “il lavoratore aveva inserito la testa dentro il corpo pressa ove era rimasto incastrato” e, a seguito degli accertamenti condotti, “il pannello di protezione della macchina non era stato trovato in sede ma accanto alla pressa e si presentava con due ganci saldati artigianalmente sulla parte superiore che permettevano un movimento a cerniera che facilitava l'accesso al corpo macchina per eliminare pezzi difettosi o per cambiare lo stampo.”

 

La sentenza precisa che “detto pannello non era stabilmente ancorato al corpo macchina con le prescritte nove viti a brugola che lo avrebbero tenuto fisso alla struttura” e che “la macchina continuava a funzionare anche senza il pannello.” Inoltre “essa, il giorno dell'incidente, aveva prodotto molti scarti”.

 

La Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello la quale aveva riconosciuto il “concorso di colpa della vittima, in luogo del riconoscimento delle sua esclusiva responsabilità nella causazione dell'evento, essendo la decisione conseguenza della disamina compiuta delle emergenze acquisite […] che riconducevano l'infortunio alla condotta colposa del S. [delegato, n.d.r.] ma che facevano però ravvisare un concorso nel verificarsi dell'incidente della vittima la quale aveva assunto uno spinello di cannabis.

Una parte della responsabilità, infatti, era da attribuire al B. [lavoratore, n.d.r.] in quanto costui, quale fosse stato il momento in cui aveva assunto la droga, sapeva bene che la sostanza avrebbe influito sull'attività lavorativa in quanto alterava la sua vigilanza e l'esatta percezione spazio temporale del luogo in cui operava.”

 

Riguardo poi al fatto che la Corte d’Appello aveva determinato il concorso di colpa della vittima nella misura del 45% (modificando la precedente decisione del Tribunale che l’aveva ritenuta nella misura del 30%), la Suprema Corte precisa che i Giudici d’appello “hanno dato conto delle ragioni per le quali hanno ritenuto che la sola circostanza dell'assunzione di sostanza stupefacente era sufficiente ad elevare l'entità di tale concorso di colpa, avendo dato rilievo assorbente al dato che la droga presa influiva sulle capacità di concentrazione, di percezione e di vigilanza che ogni lavoratore, quindi anche il B., deve mantenere integre nello svolgimento della sua attività.”

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

Corte di Cassazione Civile, Sez. Lav. – sentenza n. 15159 del 04 giugno 2019 - Risarcimento danni da mobbing. La malattia psichica non esonera il datore di lavoro da responsabilità ex art. 2087 c.c.

 

Corte di Cassazione - Penale Sezione IV - Sentenza n. 36272 del 20 settembre 2012 (u. p. 14 giugno 2012) -  Pres. Brusco – Est. Dovere – P.M. Policastro – Ric. M.. - Una condotta confusionale da parte del lavoratore per effetto dell’ebbrezza alcolica equivale a un comportamento imprudente del lavoratore, per fronteggiare il quale l’obbligo prevenzionistico è posto comunque a carico del datore di lavoro.

 




Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'

Pubblica un commento

Rispondi Autore: Massimo Braghieri - likes: 0
31/10/2019 (09:46:12)
Le sentenze sono chiare ma a noi resta sempre l'aspetto non chiaro di come agire per evitare gli infortuni, definire le modalità dell'allontanamento, ecc.

Pubblica un commento

Banca Dati di PuntoSicuro


Altri articoli sullo stesso argomento:


Forum di PuntoSicuro Entra

FORUM di PuntoSicuro

Quesiti o discussioni? Proponili nel FORUM!