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La Corte europea dei diritti umani sconfessa la Corte di Cassazione

La Corte europea dei diritti umani sconfessa la Corte di Cassazione
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Privacy

15/03/2017

Una decisione della Corte dei diritti umani di Strasburgo smentisce, almeno in parte, altre sentenze della Cassazione italiana sul tema dei dati personali e della diffamazione. Mettiamo a confronto questi due diversi atteggiamenti. Di Adalberto Biasiotti.

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Il nove marzo, con una decisione significativa, la decisione n. 74742/14, la Corte europea dei diritti umani ha all’unanimità dichiarato che un ricorso, presentato da un interessato al trattamento dei dati personali, non era ammissibile. La decisione non solo nel finale, ma sotto certi aspetti smentisce altre sentenze, che la Cassazione italiana ha emesso sullo stesso tema. Mettiamo a confronto questi due diversi atteggiamenti.

 

Un cittadino svedese, interessato al trattamento, è stato accusato, da un post pubblicato su una piccola associazione non profit, di essere coinvolto nel partito nazista. Il commento, che era stato postato da un soggetto anonimo, metteva in una luce oltremodo negativa il profilo di questo interessato al trattamento. L’interessato ha denunciato l’associazione per calunnia, sostenendo che l’associazione era responsabile per quanto era pubblicato sul suo blog, soprattutto in conseguenza del fatto che il gestore del blog non aveva provveduto a rimuovere immediatamente la calunnia.

 

La magistratura giudicante locale svedese ha ritenuto che il messaggio pubblicato sul blog fosse protetto dalla libertà di espressione e ha rimandato il tutto alla magistratura nazionale. Anche se la corte centrale ha riconosciuto che il messaggio era calunnioso, essa non ha trovato alcun supporto legale per ritenere l’associazione responsabile di quanto pubblicato e soprattutto del fatto di non aver cancellato la calunnia al più presto possibile.

 

La Corte di appello a sua volta confermò questa sentenza.

Per questa ragione l’interessato si è rivolto direttamente alla Corte europea dei diritti umani per vedere riconosciuto il proprio diritto a richiedere ed ottenere la cancellazione del messaggio. La Corte europea ha confermato che il messaggio era di tipo calunnioso.

Esso rientrava pertanto nella categoria di messaggi dai quali i cittadini europei hanno diritto di essere protetti. Tuttavia vi era anche un diritto contrastante, da prendere in considerazione, che era legato al diritto di libertà di espressione.

 

Questi due diritti richiedono uguale rispetto e la magistratura deve effettuare una sorta di bilanciamento tra questi due diritti, quando vi è un conflitto.

Al proposito val la pena di ricordare che anche il nostro garante più volte si è espresso con ragionamenti similari.

 

La Corte europea ha inizialmente esaminato il contenuto del messaggio e ha ritenuto che il gestore del blog non poteva essere a conoscenza del fatto che tale messaggio avesse natura calunniosa. Il blog inoltre chiaramente indicava il fatto che chi postava un messaggio era l’unico responsabile di tutto ciò che nel messaggio veniva scritto.

 

Inoltre, l’associazione ha cancellato il post, con commenti e scuse, il giorno dopo aver ricevuto un messaggio dall’interessato, che chiedeva la cancellazione. Il messaggio è rimasto sul blog per nove giorni e la corte ha sottolineato che ci si trovava davanti ad un blog non particolarmente diffuso e frequentato.

 

L’interessato inoltre aveva ottenuto l’indirizzo IP del computer utilizzato per inviare il post, ma l’interessato stesso non aveva preso altre iniziative per individuare fisicamente chi aveva scritto il post.

 

La Corte europea ha anche tenuto conto del fatto che in ben due gradi di giudizio precedenti la magistratura svedese aveva espresso un parere sfavorevole, circa le richieste dell’interessato.

Il ricorso pertanto è stato ritenuto non ammissibile.

 

Questa sentenza della Corte europea, che è prevalente su qualunque altra sentenza di magistratura nazionale, sembra andare in senso contrario all’atteggiamento sinora tenuto dalla nostra cassazione.

 

Con la sentenza numero 54946/2016, la nostra Cassazione ha invece ritenuto che il gestore di un blog era responsabile del concorso nel reato di diffamazione in danno del presidente della lega nazionale dilettanti della federazione italiana gioco calcio, in quanto era stato pubblicato un commento nel quale si definiva il soggetto calunniato come emerito farabutto e pregiudicato.

L’imputato si riteneva innocente in quanto chi aveva postato il blog si era inserito autonomamente con il proprio post sul sito, senza alcun intervento del gestore e quindi la responsabilità doveva essere esclusivamente a lui imputata.

Anche se il commento incriminato era stato autonomamente caricato da quel soggetto terzo, il giudizio di responsabilità doveva essere conservato, secondo la cassazione, perché l’imputato aveva mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, anche se nel frattempo aveva ricevuto il certificato penale del presidente della federazione, che non dava luogo ad alcun specifico commento.

 

Un aspetto non secondario, preso in considerazione della Cassazione, riguarda il fatto che quando il gestore del blog venne a conoscenza del certificato penale, che dimostrava l’innocenza del presidente, egli si trovava all’estero e quindi non aveva potuto vedere tempestivamente il messaggio presente nella sua casella di posta elettronica.

 

In questo caso quindi la responsabilità del gestore del blog veniva confermata, per il fatto che, pur davanti a un documento che smentiva chiaramente quanto sul blog era stato pubblicato, egli non aveva preso ed attuato tempestive misure correttive.

 

Dalla lettura attenta di queste due sentenze, messe a confronto, si rileva che in realtà la corte di giustizia europea ha esaminato un caso alquanto diverso da quello esaminato dalla nostra Cassazione ed ecco la ragione per la quale i commenti, che in Italia si sono subito scatenati dopo la pubblicazione della sentenza della Corte europea, vanno letti con molta cautela, perché le due sentenze devono essere entrambe lette e meditate, prima di esprimere giudizi assolutisti.

 

Entrambe le sentenze, infatti, confermano che il gestore del blog, non appena viene a conoscenza di un post pubblicato sul proprio sito ed avente valore potenzialmente calunnioso, deve tempestivamente reagire e prendere appropriate contromisure. È questo il succo che appare evidente dalla lettura delle sentenze, messe a corretto ed equilibrato confronto.

 

 

Adalberto Biasiotti

 

 

The European Court of Human Rights – DECISION Application no 74742/14 – 9 marzo 2017.

 

Corte di Cassazione - Cassazione Penale Sezione V – Sentenza n. 54946/2016 del 27 dicembre 2016 (ud. 14 luglio 2016).



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