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Come concepire la diversità della forza lavoro come una ricchezza?

Come concepire la diversità della forza lavoro come una ricchezza?

Un intervento sui temi della sicurezza sul lavoro e delle differenze di genere si sofferma sulla necessità di modificare l’atteggiamento culturale e attribuire alle diversità la debita importanza. Le azioni da mettere in atto e la flessicurezza.

 

Trieste, 17 Giu – Negli articoli di PuntoSicuro dedicati alle differenze di genere abbiamo rilevato come le donne lavorino spesso in settori specifici svolgendo attività erroneamente considerate sicure e semplici e come si occupino, generalmente, della maggior parte del lavoro domestico e della cura della famiglia.

 

Tuttavia malgrado la consapevolezza delle tante differenze relative ai rischi a cui le donne sono esposte, rispetto ai colleghi maschi, e del difficile equilibrio tra vita lavorativa e vita famigliare, ancora oggi “abbinare il tema della gestione della salute e sicurezza sul lavoro con le differenze di genere è impresa tutt’altro che semplice e scontata”.

 

A soffermarsi sul tema delle differenze di genere e a fornire dei suggerimenti per un modello di sicurezza “non neutrale” è un intervento raccolto nel volume “ Sicurezza accessibile. La sicurezza sul lavoro in una prospettiva di genere” curato da Giorgio Sclip ( Università degli Studi di Trieste) ed edito da EUT Edizioni Università di Trieste. Un volume che contiene i contributi del seminario di studi “ La sicurezza sul lavoro in una prospettiva di genere. Uomini e donne sono uguali?”, che si è tenuto l’8 marzo 2018 a Trieste.

 

Gli argomenti affrontati nell'articolo:



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Le azioni per una sicurezza in ottica di genere

L’intervento “La sicurezza sul lavoro e le differenze di genere”, a cura di Giorgio Sclip, ricorda che malgrado già la normativa riporti l’esigenza di considerare le differenze dei rischi tra uomini e donne, questo principio nella pratica “viene spesso trascurato o comunque non sufficientemente applicato, il che costituisce una grave lacuna per l’efficacia del sistema di prevenzione e di tutela dei lavoratori e delle lavoratrici” (come indicato dalla relazione della Commissione d’Inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro anno 2013).

 

 

 

Il datore di lavoro dovrebbe in realtà “focalizzare l’attenzione sull’organizzazione del lavoro in modo da garantire pari opportunità di tutela tra gli stessi, anche in relazione alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. E questo “in un mondo del lavoro flessibile e globalizzato dove, alcuni lavori tradizionalmente destinati agli uomini, oggi sono anche professioni femminili e viceversa”.

 

Queste alcune possibili “azioni che si possono mettere in atto nei luoghi di lavoro:

  • “avviare monitoraggio e la raccolta dati e informazioni sulla salute e sicurezza in ottica di genere;
  • coinvolgere più donne nella consultazione nelle decisioni in materia di salute e sicurezza;
  • tenere conto delle peculiarità individuali a partire dal genere di appartenenza;
  • attivare processi di informazione e comunicazione per garantire coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici;
  • individuare le lacune negli accordi di lavoro, politiche e procedure che con scelte di tipo apparentemente ‘neutro’ possono produrre effetti indesiderati di non equità tra donne e uomini (es. orari);
  • migliorare le informazioni raccolte sulle esperienze negative di lavoro di uomini e donne”.

Senza dimenticare che, ad oggi, vi sono anche differenze di genere in ambito lavorativo “che non sono ancora adeguatamente indagate, e saranno forse oggetto di studio diffuso nei prossimi anni”.

 

L’importanza di modificare l’atteggiamento culturale: la flessicurezza

L’autore sottolinea che è necessario “modificare l’atteggiamento culturale, attribuire alle diversità la debita importanza e assumere un impegno concreto al riguardo”. E, da questo punto di vista, è importante iniziare a considerare “la diversità della forza lavoro come una ricchezza e non come un problema”.

 

A questo proposito l’intervento segnala un modello di welfare danese, la flexicurity, un “neologismo inventato negli anni ’90 per identificare il modello e unisce in sé le parole ‘flexibility’ (flessibilità) e ‘security’ (sicurezza)”. Il punto “forte e più importante di questo modello “sono le politiche attive di lavoro, cioè tutte quelle misure volte ad accompagnare le persone nell’inserimento e nel reinserimento lavorativo”.

In ogni caso l’idea di bilanciare flessibilità e sicurezza si è diffusa in tutta Europa e “questa sembra essere la strada da percorrere per creare occupazione e rispondere alle nuove necessità del mondo del lavoro, sempre più caratterizzato da un contesto economico in continuo cambiamento”.

 

Partendo da questo concetto e correlandolo al tema della gestione della salute e sicurezza sul lavoro con attenzione alle differenze di genere, si può coniare – continua l’intervento - il termine “flessicurezza” che unisce in sé le parole flessibilità e sicurezza.

 

In questo caso “l’idea è quella di bilanciare flessibilità e sicurezza sul lavoro per puntare ad una gestione puntuale e quanto più possibile corretta, aderente alle reali esigenze del contesto lavorativo messe in relazione con le caratteristiche delle persone, tra gli altri aspetti, anche in relazione al genere. Questo per assicurare ai lavoratori un livello elevato di salute e sicurezza, vale a dire poter operare in ogni fase della loro vita attiva in un contesto lavorativo dinamico e appunto flessibile, in rapido cambiamento”.

 

La cultura della sicurezza e le differenze di genere

L’intervento si sofferma poi sul concetto di “cultura della sicurezza” ricordando che è un concetto relativo, non assoluto.

 

Misurare la “ cultura della sicurezza” sulla base del numero di infortuni “non è utile”. Infatti un’azienda “che non ha mai avuto infortuni, nonostante non rispetti le norme di sicurezza, non ha un’elevata ‘cultura della sicurezza’. Così come avere un infortunio in azienda non significa necessariamente che lì non vi sia ‘cultura della sicurezza’”: rispettare le norme di sicurezza “è solo una condizione necessaria, ma non sufficiente” per padroneggiare questa cultura.

 

Si riporta un esempio pratico relativo all’uso delle cinture di sicurezza in auto: “possiamo affermare che essa è parte integrante della nostra “ cultura della sicurezza”? Non esattamente. Solamente pochi sono intimamente convinti della necessità di indossare la cintura di sicurezza”. E, infatti, ad esempio, “la maggioranza di quelli che la indossano alla guida non la indossa anche quando siede sui sedili posteriori”.

La “cultura della sicurezza” è, in realtà, definita dall’attitudine mentale (il mindset) con la quale si guida. E può essere suggerita dall’alto – “con le norme, per imposizione” – ma “attecchisce solo quando emerge dal basso, dai comportamenti quotidiani di ciascuno e dall’interiorizzazione del loro significato”.

 

Riprendiamo dall’intervento alcuni “esempi virtuosi” in materia di promozione della cultura della sicurezza:

  • “Un’importante azienda in cui una parte del personale deve fare tragitti quotidiani medio-lunghi in auto per necessità lavorative, ha espresso la volontà di vietare ogni comunicazione di lavoro verso e da parte di questi lavoratori ‘nomadi’ dopo le 18:30, per dar loro la possibilità di fare il tragitto di ritorno verso il loro alloggio in maggiore sicurezza, con minore stress”;
  • “Il sindacato dei metalmeccanici tedeschi ha siglato un accordo che consente di lavorare meno per due anni, in particolare quando si hanno bambini piccoli o persone anziane da assistere”;
  • “Nel 1960 in Germania Occidentale un lavoratore dipendente lavorava in media 2.163 ore/anno. Oggi lavora 1.363 ore/anno, la media più bassa tra i paesi ricchi”.

L’autore indica che questi sono “segnali rilevanti, di un mondo del lavoro che dà importanza all’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, con la convinzione che questo possa avere benefici diretti su salute e sicurezza”.

 

Questa è la giusta attitudine (mindset) con cui affrontare anche il tema delle differenze di genere. E se vogliamo affrontarla correttamente “ciascuno di noi deve mettersi in gioco”...

 

Concludiamo segnalando che l’intervento riporta anche precise indicazioni sulle criticità normative e sulle specifiche differenze di genere a livello di rischi lavorativi. E ribadisce ancora la necessità di cogliere tali differenze nella valutazione dei rischi e nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

La sicurezza sul lavoro e le differenze di genere”, a cura di Giorgio Sclip (curatore della collana “Sicurezzaccessibile”, membro del Network Nazionale Focal Point Italia dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Università degli Studi di Trieste), intervento tratto dal volume “Sicurezza accessibile. la sicurezza sul lavoro in una prospettiva di genere”, curato da Giorgio Sclip ed edito da EUT Edizioni Università di Trieste, correlato al seminario di studio “Sicurezza accessibile. La sicurezza sul lavoro in una prospettiva di genere. Uomini e donne sono uguali?” (formato PDF, 784 kB).

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sulle differenze di genere, età, cultura



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Rispondi Autore: Federica - likes: 0
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