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L'obbligo datoriale della massima sicurezza tecnologicamente fattibile

L'obbligo datoriale della massima sicurezza tecnologicamente fattibile
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Datore di lavoro

22/01/2019

Indicazioni sull’obbligo generale datoriale della massima sicurezza tecnologicamente fattibile di cui all'art. 2087 del Codice Civile. Gli obblighi gravanti sul datore di lavoro e le indicazioni della giurisprudenza di legittimità.

 

L’ art. 2087  del codice civile prevede un obbligo generale fondamentale di prevenzione e protezione a carico dell’imprenditore (datore di lavoro e tutta la sua organizzazione imprenditoriale) di importanza decisiva nell’ordinamento giuridico italiano: «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Il datore di lavoro deve adoperarsi, nello svolgimento della sua specifica attività professionale, con una diligenza professionale particolare, in base alla quale deve adottare sempre e in ogni caso tutte le misure dettate:

  1. dalla particolarità del lavoro, in base alla quale devono essere individuati tutti  i rischi, le nocività specifiche e le conseguenti misure necessarie e idonee;
  2. dall'esperienza, in base alla quale devono essere previste le conseguenze dannose, sulla scorta di eventi e di pericoli già verificatisi (non solo infortuni, ovviamente, ma anche incidenti, comportamenti e situazioni pericolosi - c.d. near miss) e dunque ampiamente prevedibili e valutabili, al fine di definire adeguate ed idonee misure di prevenzione e protezione;
  3. dalla tecnica, della miglior tecnica, in base alle nuove conoscenze in materia di sicurezza, salute e antincendio messe a disposizione dal progresso tecnico-scientifico.

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Questo è dunque il fondamentale principio della «massima sicurezza tecnologicamente possibile», o fattibile (Guariniello), ovvero, in altri termini, il principio della massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale possibile, o fattibile.

Il T.U. riprende all'art. 2 c. 1 lett. n  la precedente definizione di prevenzione fornita dal D.Lgs. 626/1994 (“il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”) con alcune integrazioni migliorative: “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno” che la collocano e qualificano come diretta derivazione di quanto previsto dall' art. 2087 cod. civ., che costituisce il più importante e fondamentale precetto in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, una garanzia fondante la posizione del datore di lavoro come garante strutturale della sicurezza e salute delle lavoratrici e dei lavoratori nei luogo di lavoro (posizione di garanzia penalmente e civilmente rilevante).

Questa garanzia di sicurezza va interpretata come l'“arte del possibile” (L. Montuschi, La sicurezza nei luoghi di lavoro ovvero l'arte del possibile, LD, 11995, pag. 405), ovvero l'obbligo del datore di lavoro di prendere conoscenza delle nuove modalità tecnologiche, organizzative e procedurali di prevenzione, di protezione, di salute e sicurezza e di adeguare quindi l'attività, a partire da impianti e attrezzature aziendali, adottando tutte le misure di sicurezza effettivamente realizzabili.

Questa linea interpretativa è in linea con l'orientamento incontrastato nella giurisprudenza, ma anche ampiamente prevalente nella dottrina (G. Natullo, Principi generali della prevenzione e “confini” dell'obbligo di sicurezza in M. Rusciano e G. Natullo, Ambiete  e Sicurezza del lavoro, Diritto del lavoro, Commentario di Franco Carinci, Utet, 2007; M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Giappichelli, 2002; L. Montuschi, La sicurezza nei luoghi di lavoro ovvero l'arte del possibile, LD, 11995, pag. 405: R.Romei, Il campo di applicazione del D.Lgs. n. 626/94 e i soggetti, in L. Montuschi, Ambiente, salute, sicurezza, Giappichelli 1997) in base al quale l'obbligo gravante  sul datore di lavoro consiste nel dover sempre utilizzare le misure tecnologiche, organizzative e procedurali più aggiornate ed avanzate disponibili sul mercato, ovvero la cosiddetta “best avalaible technology” “facilmente reperibile anche indipendentemente dalla sua diffusione nel settore produttivo dell'azienda cui l'obbligo si riferisce (Sicurezza del lavoro e certezza del diritto,  E.Ales, A. Giurini, O. La Tegola, L. Miranda, G. Verrecchia,  In Colloqui giuridici sul lavoro, 1, 2009, Gaetano Natullo Soggetti e obblighi di prevenzione nel nuovo Codice della sicurezza sui luoghi di lavoro: tra continuità e innovazioni, cit. p. 18; G. Natullo, Principi generali della prevenzione, op.cit.; R. Guariniello, Il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile, ISL, 1997, pag. 339; P. Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Giuffrè 2001).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la  disposizione dell' art. 2087 c.c., "come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica", e pertanto "vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima e di adeguamento di essa al caso concreto" (Corte di Cassazione, sentenza n. 5048/1988).

Inoltre, secondo la Corte Suprema, i principi più volte affermati in materia dalla stessa Corte e dal giudice delle leggi sono quelli secondo cui “seppure è vero che l'art. 2087 c.c. non introduce una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, è altrettanto vero che, per la sua natura di norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia anti infortunistica, ma anche all'adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest'ultimo”. “In sostanza”, ha così proseguito la Sez. Lavoro, “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo ‘tipico’ ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento” [Cassazione Civile Lavoro - Sentenza n. 2626 del 5 febbraio 2014].

Il compito del datore di lavoro, peraltro,  “non si esaurisce nella predisposizione e nella consegna ai lavoratori dei mezzi di prevenzione e nell’attuazione delle misure necessarie, essendo lo stesso tenuto ad accertarsi che le disposizioni impartite vengano nei fatti eseguite e ad intervenire per prevenire il verificarsi di incidenti” (Cass. civ. Sez. lavoro, 9 marzo 1992, n. 2835), “attivandosi per far cessare eventuali manomissioni o modalità d’uso pericolose da parte dei dipendenti, quali la rimozione delle cautele antinfortunistiche” (Cass. civ. Sez. lavoro, 27 maggio 1986, n. 3576) “o il mancato impiego degli strumenti prevenzionali messi a disposizione” (Sez. 4, n. 6486 del 03/03/1995 – dep. 03/06/1995, Grassi, Rv. 201706). 

In sostanza in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, “ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all' art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro” (Sez. 4, n. 4361 del 21 ottobre 2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200)

In tal senso “il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro” (Cassazione Penale, Sez. 7, 16 ottobre 2017, n. 47449).

 

Non costituisce però comportamento autonomamente imprudente e del tutto abnorme quello del lavoratore dovuto a sottovalutazione del rischio, eccesso di sicurezza, scarsa informazione. In tal senso è stato “osserva[to] ...correttamente, che è assolutamente prevedibile che il lavoratore, per una serie di ragioni, ...  (sottovalutazione del rischio, eccesso di sicurezza, scarsa informazione), sottovalutando il rischio, trascuri di indossare il casco ma, al contempo, ...  questo rischio il datore di lavoro e coloro che rivestono una posizione di garanzia sono tenuti a governare ...  tenuto conto che il casco è, per definizione, dispositivo individuale eludibile, mentre la tettoia è una barriera non eludibile” (Cassazione Penale, Sez. 4, 22 agosto 2016, n. 35257).

 

 

 

Rolando Dubini, avvocato in Milano, cassazionista


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Rispondi Autore: Sergio Misuri - likes: 0
22/01/2019 (10:08:29)
"è assolutamente prevedibile che il lavoratore, per una serie di ragioni, ... (sottovalutazione del rischio, eccesso di sicurezza, scarsa informazione), sottovalutando il rischio, trascuri di ........."
Dunque per l'ennesima volta si conferma che occorre contrastare quelle "serie di ragioni", comprese la distrazione, i gesti istintivi, ecc.
Occorre agire sulla consapevolezza e sui meccanismi che possano rendere facili le cose giuste e difficili le cose sbagliate. Può essere utile la sistematica reiterazione di brevi messaggi di allerta personalizzati e molto specifici ("ad hoc") svolti direttamente in campo. Vedi le molte esperienze, come ad esempio "Take Two briefing" di DuPont; "Stepback 5x5" daily safety briefing; "formazione on the job nei cantieri EXPO 2015, ecc.
Sono soluzioni pratiche utili per avviare o aiutare un cambiamento nei comportamenti sicuri dei lavoratori.
Perché non provare anche nelle PMI
Rispondi Autore: Tazio Brodolini - likes: 0
23/01/2019 (10:13:43)
Certo, dopo aver scoperto dal Corriere della Sera che nel tribunale di Milano c'è 1 km (un chilometro) di balaustre da mettere in sicurezza, qualche prurito a leggere questo tipo di pur ineccepibili interventi viene.

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