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Interrogativi e indicazioni per la valutazione del rischio stress

Interrogativi e indicazioni per la valutazione del rischio stress

Indicazioni sulla valutazione del rischio stress lavoro correlato. Le misurazioni, le determinanti organizzative del benessere, la dimensione del contenuto del lavoro, vantaggi e limiti della valutazione tramite un sistema di indicatori.

Bologna, 3 Mag – La valutazione del rischio stress lavoro correlato è probabilmente una delle valutazioni più sottovalutate nelle aziende. Spesso sono realizzate come un  adempimento formale senza la consapevolezza dell’importanza e dei vantaggi che si possono trarre dai suoi risultati.
 
Per offrire informazioni su come realizzare una  valutazione dello stress nei luoghi di lavoro e rispondere a qualche interrogativo, presentiamo oggi un intervento relativo al “Corso di formazione RSPP/Medici Competenti” delle Aziende Sanitarie della  Regione Emilia-Romagna che si è tenuto a Bologna il 27 e 28 settembre 2012.
 
Ci soffermiamo sulle relazioni di Anna Perna (Servizio di Prevenzione e Protezione dei Rischi,  Ausl Bologna) e Franco Pugliese (Direttore del Dipartimento della Sicurezza -  Ausl Piacenza e Componente della Commissione Stress Lavoro Correlato Conferenza Stato Regioni).
 
In “La valutazione del rischio stress lavoro correlato”, a cura della Dott.essa Anna Perna,  si risponde a diversi interrogativi riguardo alla valutazione.

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Ci soffermiamo in particolare su uno di questi quesiti: è opportuno somministrare strumenti di misurazione in azienda? Quali, come e quando?
 
Queste alcune considerazioni sulle misurazioni:
- “gli strumenti proposti per la misurazione dello stress devono essere validi ed attendibili;
- sono strumenti di valutazione soggettiva e oggettiva;
- chiunque può fare queste domande in azienda? Chi gestisce il dato?;
- la misurazione dello stress, per gli strumenti che utilizza, può generare dubbi e paure perché vissuta come una ‘valutazione’ da parte dei dipendenti”. 
 
La relatrice si sofferma sulle determinanti organizzative del benessere
-il clima organizzativo: “è un costrutto psicologico che si riferisce alle percezioni sviluppate dalle persone nei riguardi del proprio ambiente di lavoro. È un insieme di esperienze, valutazioni e reazioni emotive che accomuna i membri di un’organizzazione o di un gruppo di lavoro. Il clima organizzativo si compone di diverse dimensioni. Secondo il modello di Ostroff (1993) il clima è dato da 12 dimensioni: partecipazione, calore, ricompense sociali, cooperazione, comunicazione (fattore affettivo); crescita, innovazione, autonomia (fattore cognitivo); gerarchia, struttura, ricompense estrinseche, achievement (fattore strumentale)”;
-la cultura organizzativa: “il concetto di cultura organizzativa designa i valori dominanti di un’organizzazione, le norme che vigono e si sviluppano nei gruppi di lavoro e nell’interazione tra i membri, i modelli di comportamento utilizzati con regolarità e frequenza, i linguaggi ed i rituali, le regole che i nuovi assunti devono apprendere per orientarsi all’interno dell’organizzazione e per essere accettati come membri, il lay-out e le modalità di interazione con gli interlocutori esterni (Schein, 2000). Si articola su 3 livelli di visibilità e profondità: gli artefatti (ambiente fisico e sociale, tecnologia, linguaggio, comportamenti), i valori (strategie, obiettivi, filosofie, giustificazioni dichiarate), gli assunti di base impliciti (convinzioni inconsce e date per scontate, percezioni e pensieri di base, sentimenti)”;
-il perceived organizational support (POS): “si riferisce alle percezioni di sostegno/supporto da parte dell’organizzazione sviluppate dai suoi componenti. Il sostegno organizzativo percepito (POS) si sviluppa quando i dipendenti percepiscono di essere rispettati, apprezzati e ricompensati per il lavoro effettuato da parte dell’organizzazione e inoltre quando essa dà loro accesso alle informazioni, fornisce sostegno nelle situazioni stressanti e soddisfa i bisogni socio emotivi”;
-il commitment organizzativo: “si riferisce all’impegno dei dipendenti nei confronti dell’organizzazione di cui fanno parte. Secondo il modello di Meyer e Allen (1991) il commitment organizzativo si compone di 3 diverse dimensioni”: impegno affettivo (attaccamento affettivo agli obiettivi e ai valori dell’organizzazione, al proprio ruolo, ...); impegno normativo (“sorta di responsabilità morale verso l’organizzazione”, i dipendenti sentono che è “loro dovere rimanere all’interno dell’organizzazione”); impegno per continuità (“percezione di profitto associata con il rimanere a far parte dell’organizzazione e con i costi associati al lasciarla. I dipendenti rimangono nell’organizzazione perché hanno bisogno di farlo”);
-la soddisfazione lavorativa: “può essere definita come un sentimento di piacevolezza derivante dalla percezione che l'attività professionale svolta consente di soddisfare importanti valori personali connessi al lavoro. Si riferisce ad uno stato emozionale piacevole o positivo che deriva dalla valutazione o dall'esperienza del proprio lavoro. La soddisfazione lavorativa può essere studiata focalizzando l’attenzione sulle sue diverse dimensioni (il lavoro in sé, la retribuzione, la supervisione, le relazioni con i colleghi, ...)”;
-il conflitto organizzativo: “può derivare dalla percezione di incompatibilità tra preferenze comportamentali, limitatezza delle risorse disponibili in relazione agli obiettivi di più persone nonché dal contrasto fra valori e atteggiamenti di persone diverse. L’essenza dei conflitti sociali è l’interazione: la tipologia di relazione determina la tipologia di conflitto intrapersonale, interpersonale, intergruppi”.
 
La relazione di Franco Pugliese si sofferma innanzitutto sulla parte normativa, ad esempio sull’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 e sulle indicazioni della Commissione Consultiva Permanente del 18 novembre 2010.
In relazione alla valutazione preliminare e alla rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili e, ove possibile, numericamente apprezzabili, riporta diverse informazioni sui fattori relativi al contenuto del lavoro e al contesto del lavoro.
 
Ad esempio alla dimensione del contenuto del lavoro appartengono:
-ambiente e attrezzature di lavoro: “caratteristiche fisiche degli ambienti di lavoro (temperatura, illuminazione, pulizia, ecc.),; possibilità di agire autonomamente sulle caratteristiche ambientali; coerenza fra caratteristiche funzionali ed attività da svolgere (open space, postazioni isolate ecc.); efficienza delle attrezzature; manutenzione; qualità estetiche dei luoghi di lavoro;
-pianificazione dei compiti lavorativi: definire i compiti in modo che siano dotati di ‘senso’ per chi è chiamato a svolgerli; compiti stimolanti hanno effetti benefici sugli aspetti cognitivi, motivazionali ed emotivi; frammentazione e monotonia dei compiti generano abbassamento dell’attenzione e demotivazione; 
-carichi e intensità dei ritmi di lavoro: qualità e quantità dell’impegno fisico; qualità e quantità dell’impegno cognitivo, mentale ed emotivo; ritmi produttivi autodeterminati oppure dettati da: macchine, mercato, necessità urgenti ecc.;
-orario di lavoro: lunghezza orario di lavoro; lavoro per turni; lavoro festivo; straordinari; pause; flessibilità oraria”. 
 
Dopo essersi soffermato anche sulla dimensione del contesto di lavoro, l’autore si sofferma sulla valutazione tramite un sistema di indicatori.
 
Il processo di valutazione e di intervento (secondo quanto indicato dal Institut National de Recherche et de Sécurité pour la prévention des accidents du travail et des maladies professionnelles) può riguardare:
- “costituzione di un gruppo di progetto;
- analisi preliminare;
- diagnosi approfondita;
- restituzione dei risultati;
- definizione e attuazione dei piani di azione;
- monitoraggio continuo”.
 
In particolare il gruppo di progetto:
- dirige e assicura la continuità del processo conoscitivo e decisionale;
- definisce le partizioni e/o i gruppi omogenei da valutare;
- seleziona gli indicatori pertinenti;
- attribuisce un significato non ambiguo a ciascun indicatore;
- definisce le modalità e le fonti per la raccolta dei dati;
- appronta le strategie per verificare la presenza di ‘falsi positivi’ o ‘falsi negativi’;
- definisce metodologie e strumenti per la diagnosi approfondita;
- valuta gli esiti della valutazione, restituisce i risultati e collabora alla definizione dei piani di azione”.
 
La diagnosi preliminare presuppone:
- “identificazione dei criteri di disaggregazione dell’organizzazione in partizioni diagnosticamente significative o in gruppi omogenei di lavoratori;
- individuazione degli indicatori pertinenti e realisticamente rilevabili”. 
 
E le categorie degli indicatori sono relative a:
-Manifestazione: “alterazioni dello stato di salute, dei comportamenti individuali e delle prestazioni dei lavoratori” (ad esempio “numero di giorni di assenza, domande di mobilità interna, numero di infortuni, tipologia e durata dell’eventuale assenza, reclami riferibili alla partizione organizzativa, visite richieste al MC; inidoneità o limitazioni”); 
-Rischio: “aspetti relativi alle caratteristiche del lavoro ed al modo in cui questo è organizzato” (ad esempio “orari di lavoro, straordinari, ferie non godute, lavoro per turni o in orari atipici, gestione dei processi produttivi, livelli di autonomia e di controllo, condizioni ambientali ed ergonomiche”);
-Contrasto: “accorgimenti organizzativi che possono essere approntati per incrementare le risorse individuali e sociali di coping” (ad esempio “numero di ore e numero di beneficiari di attività formative, sistema interno di comunicazione e informazione, sistema per l’accoglienza di neo-assunti”). 
 
Terminiamo con alcune considerazioni del relatore.
 
Ad esempio se “la soggettività può influenzare la valutazione, affinché ciò non ne infici l’affidabilità occorre:
- definire ed esplicitare preventivamente i criteri con cui deve essere fatta;
- mantenere traccia attraverso annotazioni dettagliate delle scelte operate nel corso della valutazione;
- ove possibile, basare la valutazione su dati in qualche modo formalizzati”.  
 
Questi, infine, i punti di forza della valutazione tramite indicatori:
- agevole reperimento dei dati (una volta predisposta l’organizzazione a fornirli);
- facilità della loro gestione (evitando gli automatismi);
- opportunità di comparabilità sincronica infra e inter aziendale;
- possibilità di monitoraggio diacronico su serie storiche;
- accrescimento della significatività all’estendersi degli ambiti in cui è applicato il sistema (in termini di valori normativi di riferimento);
- all’ampliarsi della sperimentazione si innesca un processo virtuoso di revisione/integrazione/ miglioramento del sistema;
- possibilità di essere gestito con risorse interne” 
 
Sono invece punti di debolezza/cautele:
- nell’ottica della confrontabilità intraorganizzativa la “difficoltà di definire valori normativi di riferimento in aziende con architetture eterogenee;
- senza l’opportuna riflessione preliminare gli indicatori rischiano di essere ambigui;
- scelte metodologiche poco chiare, non esplicitate e non tracciabili possono alterare l’interpretazione degli esiti ed aumentare il rischio di rilevare ‘falsi positivi’ o ‘falsi negativi’”.
 
 
La valutazione del rischio stress lavoro correlato”, relazioni di di Anna Perna (Servizio di Prevenzione e Protezione dei Rischi, Ausl Bologna) e Franco Pugliese (Direttore del Dipartimento della Sicurezza - Ausl Piacenza e Componente della Commissione Stress Lavoro Correlato Conferenza Stato Regioni), “Corso di formazione RSPP/Medici Competenti” (formato PDF, 6.63 MB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 

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