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Il ruolo dello psicologo in materia di stress e rischi psicosociali

Il ruolo dello psicologo in materia di stress e rischi psicosociali

Autore:

Categoria: Rischio psicosociale e stress

14/05/2019

L’approccio multidisciplinare alla valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato e dei rischi psicosociali in ambito organizzativo: lo scenario nel quale si trova a operare lo psicologo (parte 1). A cura di Franco Amore e Isabella Corradini.

 

Introduzione

In questo articolo si propone un rinnovato approccio dello psicologo all’interno del tema salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alla valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato e, più in generale, dei rischi psicosociali in ambito organizzativo. Nelle strutture di maggior complessità o con presenza di rischi di natura diversa, è necessario infatti operare con un approccio multidisciplinare. Per una facilità di lettura, si è suddiviso l’articolo in due parti. In questa prima parte viene analizzato lo scenario nel quale si trova ad operare lo psicologo, mentre nella seconda parte sarà approfondita una proposta volta a valorizzare il ruolo dello Psicologo nelle attività di intervento in materia di rischi psicosociali.

 

Lo scenario

Lo Psicologo non è previsto nella valutazione dello stress o dei rischi psicosociali sul lavoro.

Lo Psicologo è una figura centrale di riferimento quando si affronta il tema dello stress e degli altri rischi psicosociali nei luoghi di lavoro.

Possibili criticità nel processo di valutazione del rischio SLC

   

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Lo scenario

In questi ultimi anni il tema dello stress lavoro-correlato e, più in generale, quello dei rischi psicosociali sono oggetto di interesse di organizzazioni pubbliche e private, sia per effetto delle normative vigenti, sia per le necessità derivanti dai cambiamenti che hanno investito il concetto di luogo di lavoro.

Se più noto è il tema dello stress lavoro-correlato, meno conosciuto (almeno al grande pubblico) è quello dei “rischi psicosociali”, atto ad indicare tutti quegli “aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali che potenzialmente possono causare danni di tipo psicologico o fisico” (Cox, Griffith, 1995).

 

Rispetto a queste tematiche in Italia dal 2010 si è consolidata una cornice normativa focalizzata principalmente sulla valutazione del rischio stress lavoro-correlato (di seguito SLC) nelle Organizzazioni. Questa attività poggia fondamentalmente sulla previsione contenuta nell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (successivamente D.Lgs.81) che insieme alle altre norme correlate [1] ne fa un obbligo per il Datore di Lavoro, con la finalità di istaurare un percorso continuo di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. All’interno dell’ormai ampio dibattito metodologico, giuridico e professionale, che si è dispiegato nel corso di questi anni, è doveroso riprendere un tema caro alla professione dello psicologo, che verte sul ruolo tale figura può avere in materia di rischi psicosociali, in accordo con il quadro normativo vigente. Per questo articolo prendiamo spunto dai seminari che all’interno del Gruppo di Lavoro Rischio Stress LC abbiamo svolto in questi anni per conto dell’Ordine Psicologi Lazio. [2] Le molteplici posizioni espresse dai colleghi e alcune carenze concettuali che ancora permangono sull’argomento hanno stimolato alcune considerazioni che esponiamo in questo articolo. È necessario precisare che nel testo si danno per conosciuti i riferimenti normativi e procedurali di base della valutazione rischio SLC [3] in quanto l’obiettivo è quello di far comprendere come le potenzialità dello psicologo formato su queste tematiche possa costituire una buona prassi in linea con le disposizioni vigenti ed in cooperazione con le altre figure coinvolte sul tema della salute e sicurezza sul lavoro.

 

Il percorso logico che proponiamo in questo articolo si fonda sulle considerazioni maturate su due posizioni, anche contrapposte, espresse da un lato da colleghi, dall’altro da figure che operano nell’ambito della sicurezza sul lavoro (datore di lavoro, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, medico competente, ecc.).

 

Riteniamo sia necessario partire dall’analisi di alcune criticità concettuali o applicative per avviare una rivisitazione degli approcci. Tale necessità nasce anche dalla constatazione che alcune situazioni tipiche del processo di valutazione, che saranno analizzate nell’articolo, possono creare stalli o conflittualità tali da bloccare il processo di valutazione, suggerendo così l’utilità del nostro coinvolgimento. Un approccio basato sulla “consulenza durante l’intero processo di valutazione e gestione” ci sembra una valida strategia con cui lo psicologo può intervenire sui rischi psicosociali (SLC, mobbing e violenze), anche tenuto conto della sua formazione. Infine, concludiamo con alcuni suggerimenti di come proporsi alla committenza pur nel rispetto delle norme attuali.

 

Veniamo così alle due posizioni da argomentare.

  1. Lo Psicologo non è previsto nella valutazione dello stress o dei rischi psicosociali sul lavoro.

Tale posizione veniva affermata, in particolare nei primi anni di applicazione della normativa, talvolta in modo esplicito, ma anche indirettamente non menzionando, ad esempio, lo psicologo tra le figure deputate alla valutazione e negli interventi successivi.  Se vi è una base di verità questa poggia sul fatto che nella normativa di riferimento (D. Lgs. 81/08, Accordo Europeo del 2004, Indicazioni della Commissione consultiva permanente del 2010) non viene fatta menzione della figura dello Psicologo, come d’altronde però anche per tante altre figure professionali specifiche. Per molti anni abbiamo assistito, anche in sedi di confronto, ad una “dimenticanza selettiva”, per la quale mentre si argomentava sui compiti delle figure previste come necessarie e preposte alla valutazione di questo rischio (Datore di lavoro, Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, Medico Competente -ove nominato-, Rappresentanti dei lavoratori e Lavoratori esperti), non si faceva cenno al fatto che ai sensi dell’art. 6 dell’Accordo Europeo e degli artt. 31 e 32 del D.Lgs. 81/08 è chiaramente indicata la possibilità di utilizzare la figura dell’”Esperto” qualora non siano presenti le necessarie conoscenze professionali adeguate alla natura dei rischi presenti. Colpisce come risultasse pacifico che il Datore di Lavoro (di seguito DL) potesse coinvolgere, ad esempio, un chimico per la valutazione di un così specifico rischio, ma non fare lo stesso per la figura dello psicologo rispetto alle tematiche dello SLC; probabilmente la conoscenza superficiale di questa (non più nuova) tipologia di rischio e delle reali conseguenze personali e produttive, spinte corporative ed una tendenza al conservatorismo culturale, hanno permesso la mancanza di coinvolgimento di quei professionisti, come ad esempio lo Psicologo del Lavoro [4], che potevano meglio affrontare il tema, anche a tutela dello stesso management.

 

Il punto risulta ancora più evidente se consideriamo quanto indicato nell’art. 28 del D.Lgs. 81 d) “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;” punto che ribadisce la necessità di adeguate competenze nell’affrontare tutti i rischi, quindi ivi compreso lo SLC. A maggior integrazione dobbiamo anche ricordare nella declaratoria dei compiti dei dottori triennalisti [5], ma chiaramente facente parte anche dei compiti degli psicologi, si prevede al punto 4) “esecuzione di progetti di prevenzione e formazione sulle tematiche del rischio e della sicurezza;” declaratoria che per molto tempo è parsa sconosciuta in molti ambienti dove si discuteva delle pratiche di valutazione e dei risultati, dimenticando il beneficio di autotutela nell’assegnare i compiti ad una figura che in base ad una legge dello Stato è titolata alla loro effettuazione. Fortunatamente, la posizione esposta è ormai in via di superamento, almeno tra gli attori della sicurezza più attenti [6]. Inoltre, dai riscontri si vede come la diffidenza iniziale della committenza, anche dovuta al timore di un approccio clinico alla valutazione del rischio, sia in parte superata. Ci sembra altresì doveroso sottolineare che il tema specifico del coinvolgimento della figura dello psicologo è stato per tempo affrontato anche nelle nostre sedi istituzionali [7].

 

  1. Lo Psicologo è una figura centrale di riferimento quando si affronta il tema dello stress e degli altri rischi psicosociali nei luoghi di lavoro.

Ad una prima riflessione sembra una posizione condivisibile per il contenuto del tema e per la consapevolezza scientifica che la mediazione dei processi mentali si pone sempre tra gli stimoli (stressor) e le conseguenze psicofisiche (strain), nonché per l’abbondante letteratura sul tema prodotta dagli stessi psicologi. Se ne deduce che lo Psicologo dovrebbe figurare a pieno titolo insieme ad altre figure professionali già previste dalle Indicazioni 2010 della Commissione consultiva permanente.

Approfondendo l’analisi, si pongono comunque alcuni aspetti che non possono essere elusi.     

  1. La valutazione del rischio SLC attiene fondamentale ad una dimensione organizzativa e mira a soluzioni prioritariamente collettive e sulle fonti. Infatti, l’Accordo Europeo del 2004 (richiamato dal D.Lgs. 81) prevede all’art 4

 

“Data la complessità del fenomeno stress, questo accordo non intende fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress. ….. L’individuazione di un problema di stress da lavoro può avvenire attraverso un’analisi di fattori quali l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.), le condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.), la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.) e i fattori soggettivi ( pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.): se il problema di stress da lavoro è identificato, bisogna agire per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo.” [8] ; mentre nel D.Lgs.81 all’art. 15 si legge “e) la riduzione dei rischi alla fonte ed i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale”.

 

Oltre queste chiare indicazioni che indirizzano i contenuti stessi della valutazione si può osservare che la letteratura e la prassi sul tema sono ormai orientate verso una valutazione organizzativa, lasciando gli interventi sul singolo lavoratore nei casi di particolari compiti svolti individualmente o alla valutazione del disagio personale con visita a richiesta al Medico Competente (di seguito MC) nella sorveglianza sanitaria (art. 41 del D.Lgs. 81).                   

 

B) Si deve considerare che la valutazione dei rischi psicosociali, anche detti trasversali, è solo una parte della più ampia classe dei rischi sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro la cui complessità valutativa non è sovente da meno di quella di nostro diretto interesse e che, dobbiamo sottolineare, grava sulle figure previste nel D.L.gs 81; figure che, se pur con i compiti diversi, intervengono su tutte le tipologie di rischio assumendo anche delle responsabilità in ambito sia civile che penale.

 

C) Sempre rispetto agli interventi organizzativi occorre tener in conto che per la Prevenzione nella declaratoria delle attività dello Psicologo, pubblicata nel 2015 in coerenza con il dettato dell’art. 1 della Legge 56/89, il riferimento recita “La caratteristica specifica che definisce la prevenzione psicologica è l’intervento sugli aspetti rappresentativi, ideativi, emozionali - consapevoli e non - che influenzano l’agire umano.” [9]

 

Quindi ci sembra difficile sostenere un intervento procedurale o organizzativo come “solo riservato” allo psicologo, se effettuato su contenuti diversi da quelli dianzi citati, mentre è pacifica una sua competenza organizzativa, conseguente all’ottenimento della laurea specialistica o successivamente con una formazione adeguata. Tuttavia, tale competenza può essere in parte acquisita anche da altre figure.

 

In breve, non si può non tener conto di questi aspetti ora rappresentati e del loro peso nelle argomentazioni delle categorie professionali prima citate; pertanto, allo stato normativo attuale, anche questa seconda posizione sembra una strada percorribile con difficoltà rispetto a quella che successivamente tratteggeremo.

 

Quest’ultima, di seguito proposta, è comunque a salvaguardia della buona prassi perché contribuisce a dare valore aggiunto a tutto l’iter di valutazione ed alla tutela del management mettendo anche in luce i vantaggi del coinvolgimento dello Psicologo.

Prima di addentarci nella proposta soffermiamoci un momento su cosa può accadere nella pratica.

 

Possibili criticità nel processo di valutazione del rischio SLC

Va innanzitutto ricordato che tutte le attività di valutazione del rischio SLC si basano su un elemento imprescindibile, ovvero la cornice normativa all’inizio richiamata che indica i contenuti, il metodo ed i possibili strumenti da utilizzare [10].

 

Nel percorso di valutazione possono presentarsi alcune criticità in modo isolato o tra loro associate.

Nel momento propedeutico, durante il quale almeno il DL insieme al RSPP ed al Mc (ove nominato) decidono l’impostazione della metodica di valutazione (tipologia, strumenti, gruppi omogenei, composizione team di valutazione, ecc.) talvolta si applica pedissequamente una procedura già attuata. Questa impostazione mirata spesso al solo soddisfacimento dell’obbligo normativo rischia di non tener conto delle specificità previste dall’art. 28 del D.Lgs. 81, come ad esempio la differenza di genere o contrattuale, che potrebbero essere contemplate; non considera la relazione tra metodologia attuata e gli strumenti utilizzati, [11] che talvolta poi si mostrano complessi ed antieconomici; non rispetta i criteri razionali nella scelta dei gruppi/partizioni organizzative o del team dei valutatori e la necessità della loro formazione oppure ignora il ruolo del RLS, esponendo quindi il processo a possibili rilievi.

 

Nella fase della valutazione preliminare obbligatoria si osserva in alcuni casi la mancanza di regole nella conduzione del team di valutazione, che possono esitare in estenuanti conflitti tra i convenuti o in forme di acquiescenza costante, uno sbilanciamento tra le rappresentanze datoriali, quelle dei lavoratori e quelle delle figure sanitarie (MC e Psicologi), se non l’assenza di esse. Inoltre, si evidenzia l’utilizzo degli strumenti in modo acritico, mancandone probabilmente la comprensione concettuale. Si ribadisce in questa sede il necessario legame di coerenza tra metodo e strumento utilizzato, senza il quale il lavoro di valutazione può mostrarsi debole, costringendo il DL alla ripetizione dello stesso, con evidenti conseguenze quantomeno in termini di costi.

 

Quando, se richiesto, si devono intraprendere eventuali interventi correttivi, le competenze nel team di valutazione e gestione mostrano la loro effettiva conoscenza dei processi organizzativi o delle procedure. Se, infatti, la decisione sulle misure è in capo al DL, la loro proposizione dovrebbe essere fatta anche dai componenti del team contemperando gli aspetti di priorità, efficacia, durata e costi, in particolar modo quando si tratta di attuare interventi tecnico procedurali o ri-organizzativi, aspetto fondamentale per una effettiva attività di prevenzione. La fase della valutazione approfondita, sui lavoratori esposti al rischio, si mostra anch’essa talvolta problematica per l’assenza di una conoscenza approfondita degli strumenti della rilevazione della percezione e delle implicazioni del loro uso, sia in termini di rilevazione che di calcolo dei risultati. Infine, brevemente accenniamo alla necessità di produrre una relazione finale che deve essere redatta con i criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, e comunque finalizzata alla prevenzione del rischio valutato. Pur essendo criteri scontati, non è raro vedere relazioni contenenti pochissimi dati sul processo attuato e una profusione di riferimenti teorici sul concetto generale di stress lavoro -correlato. [12]

 

Due considerazioni si palesano rispetto ai contenuti e alle relazioni redatte. Per i primi osserviamo che molte debolezze procedurali potrebbero essere evitate, in  un’ottica di approccio multidisciplinare, utilizzando le conoscenza appropriate su questa classe fattori di rischio sia in fase di valutazione che per i successivi interventi organizzativi, quindi conoscenze anche di  metodologia e degli strumenti utili in quel contesto produttivo; mentre per la seconda, pur tenendo conto dei vincoli talvolta imposti, nei membri dei team talvolta si osserva un comportamento più o meno consapevole di acquiescenza nei confronti delle figure istituzionali (DL, RSPP, MC e RLS) che, in virtù del ruolo ricoperto, vengono implicitamente investite di conoscenze specifiche. Alternativa all’acquiescenza è il dissenso totale e diretto, senza però che vi sia la presentazione di proposte competenti per l’integrazione o la modifica del processo che si vuole attuare.

 

In altri termini possiamo sostenere che almeno nei casi di valutazioni più complesse o di maggior difficoltà di gestione è più che opportuna la presenza di una effettiva expertise capace di evitare una procedura carente e quindi le possibili conseguenti sanzioni da parte degli Organi di vigilanza.

 

La presenza di un team di valutazione costituito da diverse figure istituzionali (DL o dirigente delegato, RSPP, MC ove nominato, RLS e/o Lavoratori esperti) e professionali (medico competente, psicologo, ecc.) può rivelarsi particolarmente preziosa per diversi motivi. Innanzitutto perché favorisce una lettura più completa ed esaustiva degli indicatori di valutazione, siano essi di natura oggettiva che soggettiva. Inoltre, una siffatta valutazione tutela anche il management da possibili rilievi da parte degli Organi di vigilanza, che possono esitare in sanzioni pecuniarie o penali in primis per il DL; infine, ma non ultimo, v’è da evidenziare che un clima collaborativo prodotto dal processo di valutazione e gestione dove, pur nelle possibili differenze di vedute, e capace di coinvolgere anche la parte datoriale, è di buon auspicio per il clima organizzativo e promuovere al tempo stesso un ciclo di miglioramento continuo.

 

 

Franco Amore e Isabella Corradini

 


*Franco Amore lavora come psicologo presso la Direzione Sanità del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane dove per lo specifico tema si occupa di formazione ai lavoratori ed ai membri dei team di valutazione, di valutazioni rischio SLC per settori diversi ed è coautore della Procedura di valutazione del rischio SLC per la società Rete Ferroviaria Italiana; partecipa da anni ai gruppi di lavoro dedicati presso l’OP Lazio e la SIPLO dopo aver fatto parte di quello del CNOP.

*Isabella Corradini, psicologa sociale, è presidente e direttore scientifico di Themis, centro ricerche socio-psicologiche e criminologico-forensi. Esperta di tematiche di salute e sicurezza, fa parte del gruppo sullo stress lavoro-correlato dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. È docente in corsi specialistici e master universitari e autrice di numerose pubblicazioni nazionali ed internazionali.

 

 

[1]La Lettera circolare del Ministero del Lavoro con le Indicazioni dell’ottobre 2010 sulle procedure da seguire e l’Accordo Europeo del 2004 hanno valore cogente in quanto specificamente richiamate nel D. Lgs. 81/08 e s.m.i.

[3] D.Lgs. 81/08 e s.m.i. ;  ACCORDO QUADRO EUROPEO SULLO STRESS NEI LUOGHI DI LAVORO del 8 OTTOBRE 2004 ; Indicazioni della Commissione consultiva permanente del 18 novembre 2010.

[6] Si veda in proposito l’evidenza comunicata al convegno INAIL del 2016 (atti del convegno, Intervento D’Orsi – Di Giorgio), dove si riportava la maggior congruenza dei risultati tra le valutazioni preliminari obbligatorie e quelle approfondite nei casi nei quali erano stati coinvolti degli Psicologi.

[7] Si veda, ad esempio, quanto riportato sul sito del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi[7] ( http://www.psy.it/linee-guida/stress-lavoro-correlato-quadro-normativo-2013); attività del Gruppo di Lavoro Rischio stress lavoro correlato dell’Ordine Psicologi Lazio https://www.ordinepsicologilazio.it/gruppi-di-lavoro/rischio-stress-lavoro-correlato/ 

[8] Per chiarezza si precisa che il testo dell’Accordo 2004 è in inglese e viene presentata per facilità la traduzione italiana contenuta nell’Accordo Interconfederale del 2008 siglato in Italia da Confindustria e Sindacati.

[10] Si ricorda che le Indicazioni 2010 della Commissione consultiva permanente precisano un percorso “minimo” da attuare ma è certamente facoltà del DL integrare la metodologia come anche ribadito nell’interpello del CNOP del 2012 http://www.psy.it/sicurezza-del-lavoro-accolto-il-quesito-su-stress-lavoro-correlato-presentato-dal-cnop-alla-commissione-ex-art-12-d-lgs-8108

[11]Amore F. Evangelista A. Maliore M. Palmarini C. Rischio Stress Lavoro-Correlato. L’utilità dei riferimenti metodologici nella valutazione. La Tecnica Professionale, n.10, ottobre 2015, pag.10. ed. Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, Roma 2015.

[12] Si veda per gli effettivi contenuti da riportare nella relazione da includere nel DVR le INDICAZIONI PER LA CORRETTA GESTIONE DEL RISCHIO E PER L’ATTIVITÀ DI VIGILANZA ALLA LUCE DELLA LETTERA CIRCOLARE DEL 18 NOVEMBRE 2010 DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, a cura del Coordinamento Tecnico Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro, del 2012, in particolare alle pagg. 33/34 la LISTA DI CONTROLLO PER LA VIGILANZA.


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