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L’ormai famosa sentenza della corte europea sul diritto all’oblio

L’ormai famosa sentenza della corte europea sul diritto all’oblio
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Privacy

28/04/2017

Una sentenza della corte europea su un ricorso in cui si chiedeva che una vicenda giudiziaria di un cittadino venisse eliminata dai risultati che venivano presentati in un motore di ricerca. A cura di Adalberto Biasiotti.

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Questa sentenza è stata emessa dalla corte di giustizia europea con una tempistica sufficiente perché le sue indicazioni venissero recepite anche nel regolamento generale sulla protezione dei dati 679/2016, che esplicitamente prevede il diritto all’oblio. Questo diritto in precedenti disposizioni legislative europee e nazionali era accennato ma non espresso con modalità vincolanti.

 

La sentenza della corte europea può interessare tutti i cittadini europei, perché sono moltissimi i soggetti, interessati al trattamento, che potrebbero trovarsi coinvolti in questa situazione.

La sentenza C 202/14, pubblicata nel 2014, esaminava un ricorso, presentato da un cittadino spagnolo alla autorità garante spagnola, nel quale si chiedeva che una sua vicenda giudiziaria, che aveva portato ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali, avvenuta nel marzo 1998, venisse eliminata dai risultati che venivano presentati al navigatore, da parte di un grande motore di ricerca.

Egli sosteneva che questa vicenda era stata ormai completamente risolta e non vi era alcun motivo perché la sua immagine personale potesse in qualche modo essere compromessa da questa situazione ormai sanata e lontana nel tempo.

In particolare, la richiesta di cancellazione o diritto all’oblio era diretta sia nei confronti di un quotidiano, che aveva pubblicato la notizia e cui si riferivano i collegamenti che apparivano nei motori di ricerca, sia al gestore del motore di ricerca, che avrebbe dovuto provvedere a cancellare questo collegamento.

 

L’autorità garante spagnola ha respinto il reclamo, per quanto riguardava il quotidiano, in quanto l’editore aveva pubblicato legittimamente le informazioni in questione.

Per contro, il reclamo è stato accolto nei confronti del motore di ricerca, imponendo ai titolari del trattamento di adottare le misure necessarie per rimuovere i dati dai loro indici e per rendere impossibile in futuro l’accesso ai dati stessi.

 

Il gestore del motore di ricerca ha presentato ricorso in tribunale chiedendo l’annullamento della decisione del garante. In tale contesto, il giudice spagnolo ha sottoposto una serie di questioni alla corte di giustizia nell’ambito di una procedura di rinvio pregiudiziale.

 

Colgo l’occasione per ricordare lettori che un rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la corte in merito all’interpretazione di diritto dell’unione. La corte pertanto non risolve la controversia nazionale, ma dà al giudice nazionale delle indicazioni, che egli potrà utilizzare per risolvere la causa conformemente alla decisione della corte.

In questo caso, la decisione della corte si intende valida per tutti i giudici nazionali dei paesi europei.

Le valutazioni della corte sono oltremodo interessanti e vengono appresso sintetizzate.

 

Tanto per cominciare, la corte ha deciso, senza possibilità di dubbio, che il gestore del motore di ricerca è, a tutti gli effetti, titolare del trattamento. Pertanto gli incombono tutti gli obblighi che la direttiva europea e le leggi nazionali attribuiscono al titolare del trattamento.

Il fatto poi che il trattamento riguardi informazioni già pubblicate su altri mezzi di comunicazione di massa non cambia in nulla le responsabilità del titolare del motore di ricerca.

Infatti, nel momento in cui il gestore del motore di ricerca diventa titolare, egli può decidere quali sono le finalità e gli strumenti di trattamento che permettono di far apparire o meno, nella fattispecie, dei collegamenti a notizie presenti su altri siti.

La finezza della decisione della corte sta quindi nel fatto che al titolare del motore di ricerca non spetta certamente il compito di cancellare informazioni che sono presenti su altri siti, come ad esempio sul sito del quotidiano spagnolo. Sta però nella responsabilità del titolare introdurre strumenti che permettano di cancellare il link alle informazioni, pubblicate sul sito del quotidiano.

È evidente che se poi l’interessato al trattamento vuole che venga cancellata l’informazione presente sul sito Web del quotidiano, dovrà rivolgersi al titolare del quotidiano stesso per un specifico provvedimento di cancellazione.

 

È bene comunque far presente che le indicazioni date dalla corte devono essere sempre osservate in un contesto più allargato, in cui il diritto alla protezione dei dati di un interessato deve essere sempre messo a confronto con la libertà di informazione e il diritto del pubblico a conoscere particolari informazioni, soprattutto se legate a persone con uno specifico profilo pubblico.

 

Ecco perché occorre trovare un giusto equilibrio tra il diritto al rispetto alla vita privata, il diritto alla protezione dei dati personali e l’interesse che può avere il pubblico nel ricevere un’informazione specifica. L’interesse evidentemente è direttamente legato al ruolo che la persona coinvolta riveste nella vita pubblica; per quanto riguarda invece il coinvolgimento del titolare del sito Web del quotidiano, dove appariva l’informazione che tanto era dispiaciuta, anche se vera, all’interessato che avanzato ricorso, la corte fa presente che è del tutto normale che informazioni, anche vere, possano dopo un certo periodo di tempo essere cancellate, alla luce dell’insieme delle circostanze specifiche, ove ad esempio tali dati non abbiano più alcuno specifico interesse pubblico, per il lungo tempo trascorso dai fatti.

 

Sulla base di questa sentenza, il titolare del motore di ricerca ha attivato una procedura, accessibile a chiunque, grazie alla quale l’interessato può richiedere specificamente che determinati link afferenti al suo nome o alla suo attività debbano essere cancellati. Resta inteso che è facoltà del gestore del motore di ricerca decidere se o meno dare riscontro positivo alla richiesta.

 

L’esperienza accumulata, dal momento in cui la corte europea ha pronunciato la sua valutazione ad oggi, dimostra come nel complesso i titolari dei motori di ricerca abbiano un atteggiamento non particolarmente cooperativo su questo fronte e c’è da aspettarsi che in futuro ricorsi, che a questo punto verranno risolti a livello nazionale, sulla base delle indicazioni della corte europea, diventeranno sempre più numerosi.

 

 

Adalberto Biasiotti



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