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L’individuazione del preposto per la tutela della sicurezza del lavoro

Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Preposti

06/07/2012

L’individuazione del preposto in riferimento al D.Lgs. 81/2008 e alla giurisprudenza. Di Rolando Dubini.

 
1. Profili generali
In via preliminare è necessaria una lettura attenta e rigorosa del dato normativo per poter individuare in modo chiaro in che modo il legislatore caratterizzi la figura del preposto come portatore di una posizione di garanzia prevenzionistica originaria, autonoma, indipendente da delega e incarico specifico di sicurezza e igiene sul lavoro, e fondamentale, in quanto incarnante la funzione essenziale del controllo.
 
D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 - Art. 2.Definizioni
 “1. Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si intende per
e) «preposto»: persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa;”.
 
D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 - Art. 19. Obblighi del preposto
 1. In riferimento alle attività indicate all'articolo 3, i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze, devono:
 a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti;
 b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
 c) richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
 d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
 e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;
 f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;
 g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall'articolo 37.
 


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Art. 56. Sanzioni per il preposto
 1. I preposti sono puniti nei limiti dell'attività alla quale sono tenuti in osservanza degli obblighi generali di cui all'articolo 19:
 a) con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da 400 a 1,200 euro per la violazione dell'articolo 19, comma 1, lettere a), e), f);
 b) con l'arresto sino a un mese o con l'ammenda da 200 a 800 euro per la violazione dell'articolo 19, comma 1, lettere b), c), d);
c) con l'ammenda da 200 a 800 euro per la violazione dell'articolo 19, comma 1, lettera g).
 
Art. 299 D.Lgs. n. 81. Esercizio di fatto di poteri direttivi
 1. Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) [datore di lavoro], d) [dirigente] ed e) [preposto], gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.
 
La definizione del Testo Unico ex art. 2, come già detto a proposito dell’individuazione dei dirigenti, “fotografa la posizione dei diversi soggetti aziendali” (Anna Guardavilla) e pone l’accento “sulla natura dell’incarico conferito”, in linea con la conclusione alla quale da tempo era arrivata la giurisprudenza, secondo la quale “tali qualità discendono dalla loro posizione assunta all’interno delle singole aziende o enti (Cass. Pen. , sez. III, sentenza n. 14017 del 15/04/05)” [Antonella Guadagni].
Il preposto la legge lo individua a partire dalla effettiva organizzazione del lavoro aziendale, e dalla posizione gerarchica sovraordinata che alcuni “superiori” hanno in azienda, eventualmente, nei confronti di altri soggetti aziendali “sottoposti”. In altre parole, una volta che il datore di lavoro ha deciso di organizzare la sua attività con alcune funzioni aziendali sovraordinate ad altre, automaticamente si è generata, eventualmente, la figura del preposto (o del dirigente) come colui che nella normale attività lavorativa esercita una supremazia su altri a lui sottoposti. Su tale figura il legislatore (e non il datore di lavoro) fa ricadere la qualifica di preposto (quantomeno ai sensi dell’art. 299 del D.Lgs. n. 81/2008).
Anche perché, in realtà, il preposto in azienda non viene frequentemente definito tale, ma in un modo più confacente all’effettiva organizzazione produttiva: caporeparto, caposquadra, capocantiere, capoturno, capolinea, caposala, capobarca, responsabile, coordinatore, supervisor, team leader ecc. Tutti questi sono quasi sempre preposti, di fatto o di diritto poco importa, lo sappiano o non lo sappiano, non importa, la legge non ammette ignoranza (Codice Penale art. 5 – Ignoranza della legge penale – Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale).
La Cassazione Penale, Sezione IV, con la Sentenza 14 gennaio 2010 n. 1502 ha chiarito in modo esemplare la individuazione normativa della figura del preposto fatta dal legislatore, dopo che il datore di lavoro ha organizzato la sua attività aziendale e prima, a prescindere, da deleghe e incarichi specifici in materia di sicurezza (che vengono considerati, ma solo in seconda battuta, e se non sono fasulli): “il preposto è una delle tre figure cui, secondo la nostra legislazione antinfortunistica e secondo la giurisprudenza formatasi al riguardo, competono, nell’ambito dell’impresa, specifiche posizioni di garanzia autonomamente previste. Il preposto, come il datore di lavoro e il dirigente, è individuato direttamente dalla legge e dalla giurisprudenza come soggetto cui competono poteri originari e specifici, differenziati tra loro e collegati alle funzioni a essi demandati, la cui inosservanza comporta la diretta responsabilità del soggetto iure proprio. Il preposto non è chiamato a rispondere in quanto delegato [o incaricato] dal datore di lavoro, ma bensì a titolo diretto e personale per l’inosservanza di obblighi che allo stesso, come già si è detto, direttamente fanno capo. È pertanto del tutto improprio il richiamo alla assenza di delega da parte del datore di lavoro con il quale la difesa del preposto cerca di allontanare la responsabilità.”
In tal senso «i poteri ed i doveri dei preposti si collocano ad un livello radicalmente diverso da quello dei poteri dei soggetti in posizione apicale nell'azienda e sono, in un certo senso, subordinati e limitati dal settore e dal luogo in cui esercitano le loro attività» (Cassazione Penale, sez. IV, 12.12.2007, n. 3483).
 
La Cassazione mette in luce che i preposti sono “i soggetti che sovrintendono all’espletamento delle attività soggette alla normativa prevenzionistica. Non spetta, perciò, al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare.
Posto che con il termine ‘sovrintenderè si indica l’attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza, il caposquadra va inquadrato [legalmente e automaticamente] nella figura del preposto perché rientra nei suoi compiti dirigere e sorvegliare il lavoro dei componenti la squadra.
Non può sfuggire, pertanto, alle sue responsabilità il soggetto che avendo il potere di ordinare un tipo di lavoro non controlli che questo sia compiuto secondo le norme antinfortunistiche; in caso contrario verrebbe meno un anello della catena organizzativa, essendo impossibile per chi non si trovi sul posto di lavoro effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra quelle dirette ad evitare gli infortuni” [Cassazione Penale, Sez. 4, 21 aprile 2006, n. 14192 - la fattispecie ha riguardato “B. S., imputato del reato di lesioni colpose e di violazione degli artt. 4 co 5 lett f) e dell'art .90, co 2 lett b) D lgs 626/94 per non avere controllato in qualità di capo squadra che il sottoposto A. G. , intento a segare pezzi di legno utilizzasse l'apposito attrezzo spingi pezzo cagionando allo stesso una lesione personale grave costituita dalla perdita del secondo dito della mano destra con diminuzione permanente della capacità prensoria”].
 
Secondo Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2008, n. 10812 "il capo-reparto è, quale preposto, personalmente tenuto a fare adottare ai dipendenti i necessari mezzi di protezione individuale adeguati al tipo di lavoro che devono compiere, svolgendo a tal fine specifica attività di vigilanza e controllo; altrimenti, in caso di insorgenza di rischi all'integrità fisica dei lavoratori, deve segnalare al datore di lavoro la carenza o inadeguatezza del mezzo di protezione individuale dato in uso ai dipendenti.
Nella fattispecie, dalle considerazioni che precedono è dato trarre la conclusione che l'imputato, nella spiegata qualità, è venuto meno sia all'obbligo di vigilare che l'operaio Z. indossasse la maschera coprivolto prima di procedere alla verniciatura con la pistola ad aria compressa, sia all'obbligo di vietare l'uso degli occhiali incautamente fomiti allo Z., benché privi di alette protettive e di segnalarne, per tempo, al datore di lavoro la necessità di renderli adeguati allo scopo di protezione degli occhi"[nella fattispecie all'operaio derivarono lesioni all'occhio sinistro attinto da uno spruzzo di vernice].
Dunque «preposto è colui che sovraintende a determinate attività produttive o più esattamente svolge funzioni di immediata supervisione e di diretto controllo sull'esecuzione delle prestazioni lavorative. La sua specifica competenza prevenzionale è quella di controllare l'ortodossia antinfortunistica dell'esecuzione delle prestazioni lavorative, cioè di assolvere agli obblighi indicati nell'art. 4. Tra questi è compreso quello di aggiornare le misure prevenzionali in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi o al grado di evoluzione della tecnica di prevenzione e protezione, ma sempre nell'ambito delle sue limitate attribuzioni che attengono all'organizzazione delle modalità lavorative e non alla scelta dei dispositivi di sicurezza» (Cassazione Penale, sez. IV, 2.4.2007, n. 21593).
 
È necessario focalizzare l'attenzione su questo chiaro concetto: chi ordina un tipo di lavoro qualunque senza controllare che questo avenga nel rispetto della normativa antifortunistica sarà inevitabilmente chiamato a risponderne penalmente in sede di accertamento delle responsabilità penali da danno alla persona, omicidio colposo o lesioni gravi o gravissme di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale.
 
2. Il preposto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
La già citata sentenza 14192/2006 definisce in modo esemplare e quasi insuperabile la natura del preposto, quale figura che va identificata in colui che espressamente ordina operazioni lavorative, talchè automaticamente deve controllare anche che il lavoro si svolga in modo sicuro.
Corte di Cassazione - Sezione VI Penale - Sentenza n. 14192/2006 - udienza del 14 dicembre 2005 - deposito del 21 aprile 2006
“Fatto e diritto
B. S., imputato del reato di lesioni colpose e di violazione degli artt.4 co 5 lett f) e dell'art .90, co 2 lett b) D lgs 626/94 per non avere controllato in qualità di capo squadra che il sottoposto A. G. , intento a segare pezzi di legno utilizzasse l'apposito attrezzo spingi pezzo cagionando allo stesso una lesione personale grave costituita dalla perdita del secondo dito della mano destra con diminuzione permanente della capacità prensoria, (fatto risalente al 12 luglio 1999) veniva condannato , con la concessione delle attenuanti generiche la pena di sei mesi di reclusione.
Avverso la suindicata sentenza il B. proponeva appello chiedendo l'assoluzione dal reato, deducendo di non avere avuto la qualità di preposto, ma solo di capo squadra, senza alcun potere di controllo sull'A.; in subordine chiedeva la concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 cp. e la riduzione della pena.
La Corte d'Appello di Napoli dichiarava estinta per prescrizione la contravvenzione; confermava la dichiarazione di responsabilità e, ritenuta la prevalenza delle concesse attenuanti generiche, determinava la pena in euro 400,00 di multa, confermando nel resto.
Il B. avverso detta sentenza datata 4.6.04 ha proposto ricorso per cassazione, deducendo inosservanza o erronea applicazione della normativa antinfortunistica di cui al D.lgs 626/94 come modificato dal D.Lgs 242/96, in quanto la norma citata riguarderebbe il datore di lavoro e non più il dirigente o il preposto.
Con il secondo motivo deduce anche manifesta illogicità della motivazione, in quanto a suo dire la corte avrebbe fatto confusione tra le qualifiche attribuitegli, equiparando la figura dell'assistente a quella del preposto ed a quella del caposquadra: mentre l'assistente di cantiere, munito di procura, può essere assimilato al preposto, tale non potrebbe essere considerato il caposquadra, "operaio fra operai, senza obbligo di vigilanza sull'osservanza delle norme di sicurezza". Assumeva, in linea di fatto, che nel cantiere di piazza … a …, dove avvenne l'incidente, vi erano al lavoro decine di operai, tutti minatori specializzati e di lunga esperienza , con due capisquadra e probabilmente un vero assistente che sorvegliava le operazioni in sotterraneo, per cui esso ricorrente non aveva compiti di vigilanza, né avrebbe potuto in concreto sorvegliare in ogni istante i suoi compagni di lavoro.
Con il terzo motivo il B. contesta che l'A. abbia fatto parte del suo gruppo, ricordando come lo stesso abbia dichiarato all'Ispettorato del Lavoro ed in una successiva dichiarazione di avere ricevuto l'ordine di ricavare dei cunei da un'asse di legno da parte del caposquadra […] e solo in dibattimento abbia riferito che tale ordine gli era stato impartito dal B..
Con il quarto motivo lamenta la mancata applicazione della chiesta attenuante di cui all'art. 114 c.p., considerato che lo stesso A. era stato imputato e condannato dal tribunale per non avere fatto uso dello spingi pezzo.
Sulla base dei detti motivi chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata con ogni statuizione conseguente.
 
Il Procuratore Generale concludeva chiedendo il rigetto del ricorso.
 
Il ricorso propone la questione relativa all'applicazione dei doveri inerenti alla posizione di garanzia rispetto agli infortuni intercorsi nell'ambiente di lavoro che è stata novellata dai citati decreti legislativi per rendere uniforme la normativa italiana risalente alla legge antinfortunistica del 1955 e del 1956 ai principi della normativa europea.
In particolare con le innovazioni apportate al testo del 1994 dal decreto legislativo del 1996 si sono distinte le funzioni e la posizione di garanzia che è propria del datore di lavoro e non è delegabile a terzi dalle funzioni delegabili ( art. l comma 4 ter ). In questo modo si sono enucleati degli obblighi così ontologicamente connessi alla funzione propria ed alla qualifica del datore di lavoro da renderli assolutamente insuscettibili di traslazione su altri soggetti, sia pure prescelti ed espressamente delegati dal titolare. Si tratta dei compiti di valutazione dei rischi connessi all'attivita’ d'impresa di individuazione delle misure di prevenzione e dei mezzi di protezione, di definizione del programma per migliorare i livelli di sicurezza, di fornitura dei dispositivi necessari di protezione individuale, di designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Il datore di lavoro non è tenuto ad elaborare personalmente il piano di sicurezza, ma dovrà scegliere gli esperti che lo faranno, fissando i tempi ed i modi delle forme di controllo della loro attività, senza rimettere ad altri l'incarico di assumere questa iniziativa ed una volta ottenuto il piano dovrà reperire le risorse, organizzare le strutture e distribuire i compiti fra i suoi collaboratori per renderlo operante.
Accanto al datore di lavoro sono menzionati dal decreto i dirigenti ed i preposti, dei quali non si da’ una espressa definizione, per cui tali qualità discendono dalla loro posizione assunta all'interno delle singole aziende o enti.
Venendo a considerare la figura dei preposti perché il ricorrente , caposquadra, non aveva senz'altro una posizione dirigenziale e contesta di poter essere considerato preposto, la nozione si ricava dall'art 4 bis che riprende il concetto contenuto dell'art. 4 dei D.P.R. 547/55 e 303/56, definendoli come i soggetti che sovraintendono all'espletamento delle attività soggette alla normativa prevenzionale.
Con il termine "sovraintendere", secondo il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica l'attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza.
Non spetta al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri, intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare
Con l'art. 90 del D.Lgs.626/94, così come modificato dal D.Lgs.242/96 è stato ampliato il precetto prevenzionale diretto al preposto, ma perché possa essere chiamato a risponderne in concreto occorre che utilizzando il criterio guida dell'effettività egli abbia in concreto il potere di intervenire nei compiti precettati, per cui l'area della sua responsabilità viene circoscritta dagli effettivi poteri a lui spettanti, indipendentemente dalle più ampie indicazioni normative. Nel caso di specie il caposquadra va inquadrato nella figura del preposto perché rientra nei suoi compiti dirigere e sorvegliare il lavoro dei componenti la squadra.
Al lavoratore era stato ordinato dal caposquadra di trarre dei cunei da un'asse di legno, operazione che necessita dello spingi pezzo onde impedire lesioni alle mani.
Si tratta di una dotazione obbligatoria che va fornita dal datore di lavoro, ma l'imputato non ha sollevato obiezioni circa la possibilità di disporre di tale strumento.
Trattandosi di un'operazione espressamente ordinata dal preposto il controllo della stessa era di sua competenza e se vi fosse stata una qualche difficoltà nel reperimento dello spingi pezzo avrebbe dovuto preoccuparsene o sospendere l'operazione stessa, essendo suo compito quello di fornire ai lavoratori i mezzi di protezione o di farne richiesta al datore di lavoro ed al responsabile del piano di sicurezza, quantomeno nell'ambito delle attività lavorative di sua competenza. Non può, pertanto sfuggire alle sue responsabilità il soggetto che avendo il potere di ordinare un tipo di lavoro non controlli che questo sia compiuto secondo le norme antinfortunistiche. In caso contrario verrebbe meno un anello della catena organizzativa, essendo impossibile per chi non si
trovi sul posto di lavoro effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra quelle dirette ad evitare gli infortuni.
L'imputato sostiene di non avere avuto nella sua squadra l'A. e che l'ordine di segare in piccoli pezzi l'asse di legno era stato impartito dall'altro capo squadra [...], ma la Corte ha motivato in ordine alle prove che conferiscono al B. la qualità di caposquadra e in merito al fatto che fu lo stesso ad impartire l'ordine di tagliare l'asse all'A..
Quanto alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art.114 c.p., la corte ha opportunamente motivato in ordine all'esclusione dei presupposti per la concessione con argomento logico condivisibile, perché fu il mancato controllo, unitamente all'imprudenza del lavoratore ad incidere in modo determinante nella produzione dell'evento lesivo.
 
Ciò premesso, il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M. [Per Questi Motivi]
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.”
 
Rolando Dubini, avvocato in Milano
 
 
La seconda parte dell'articolo, dedicata all'individuazione del preposto in relazione all'attività di sovraintendere, alle funzioni e alla qualificazione tecnica del preposto, alla gestione degli appalti e al comportamento imprevedibile del lavoratore, sarà pubblicata nei prossimi giorni.
 
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