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La certificazione della parità di genere: un intervento per la sostenibilità

La certificazione della parità di genere: un intervento per la sostenibilità
Davide Biasco

Autore: Davide Biasco

Categoria: Sostenibilità

29/06/2022

La gender equality nell’ambito delle attività di impresa con riferimento alla prassi di riferimento UNI PdR 125, alla legge n. 162/2021, alla normativa tecnica e alla certificazione della parità di genere sul posto di lavoro.

È di particolare attualità l’argomento della parità di genere (gender equality) nell’ambito delle attività di impresa. Il tema è poi stimolato dalla prospettiva di opportunità legate alla possibilità di ottenere sgravi fiscali ottenendo una certificazione per la quale è stata redatta una prassi di riferimento, la UNI PdR 125 del 2022.

 

Il documento è stato sviluppato dal Tavolo tecnico sulla certificazione, costituito lo scorso ottobre 2021 con decreto del Capo del Dipartimento per le pari opportunità, coordinato dal Dipartimento per le pari opportunità con la partecipazione di rappresentanti del Dipartimento per le politiche della famiglia, del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e della Consigliera di parità. Uno stimolo specifico è lanciato dalla legge n. 162/2021 che prevede, a partire dal 1° gennaio 2022, la certificazione della parità di genere sul posto di lavoro per eliminare il divario di retribuzione tra uomini e donne.

Il nuovo impianto normativo prevede l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti (e la facoltà per le imprese tra 15 e 50 dipendenti) di redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato delle assunzioni. Questo rapporto deve essere compilato e trasmesso dalle aziende alle rappresentanze sindacali aziendali entro il 31 dicembre, ogni 2 anni.

 

È rilevante tener presente che è definito come un obbligo che, se non assolto, prevede sanzioni per il datore di lavoro e verifiche ad opera dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.


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La certificazione di parità è una delle misure specificatamente inserite dal Governo nella missione 5, «Inclusione e coesione», del Pnrr, destinando a questa finalità 10 milioni di euro. Più precisamente risulta che siano stati stanziati 19,81 miliardi di euro per lo sviluppo di politiche di inclusione e coesione sociale e, di questi, 6,66 miliardi sono destinati alla Certificazione della Parità di Genere.

 

La misura ha lo scopo di assicurare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ridurre il gender gap attraverso la creazione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere, che dovrà migliorare le condizioni di lavoro delle donne anche in termini qualitativi, di remunerazione e di ruolo e promuovere la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese.

 

La norma fa riferimento a dei KPI ed individua 6 Aree di indicatori:
1. Cultura e strategia (5.2);
2. Governance (5.3);
3. Processi HR (5.4);
4. Opportunità di crescita in azienda neutrali per genere (5.5);
5. Equità remunerativa per genere (5.6);
6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro (5.7).

 

Gli indicatori di natura qualitativa sono misurati in termini di presenza o non presenza, mentre gli indicatori di natura quantitativa sono misurati in termini di delta % rispetto a un valore interno aziendale o al valore medio di riferimento nazionale o del tipo di attività economica (codice ATECO di appartenenza).

 

L’azienda interessata ad implementare questo standard, eventualmente a fini certificativi, è chiamata a confrontarsi con i KPI espressi nei sei capitoli del documento al fine di allinearsi con gli stessi secondo modalità che più siano consone e coerenti con le proprie modalità di condurre il proprio business.

 

È previsto il raggiungimento dello score minimo di sintesi complessivo del 60% per determinare l’accesso alla certificazione da parte dell’organizzazione

È interessante scoprire come nel punto 6.2 della norma “piano strategico” siano considerati anche gli aspetti di conciliazione vita-famiglia-lavoro: si troveranno in questo modo premiate le azienda che da tempo hanno adottato gli schemi di audit “famiglia-lavoro” che con nomi differenti sono attivi nelle regioni del nord est.

 

È sottesa la convinzione che lo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo richieda un impegno costante ed un contributo di tutta l’organizzazione in termini di politiche, processi, pratiche organizzative e comportamenti consci e inconsci delle singole persone.

 

Come siamo già abituati con le certificazioni ISO di processo, l’iter di certificazione prevede innanzi tutto di implementare i requisiti della norma in modo sufficientemente completo. A quel punto si può individuare un organismo di certificazione accreditato per questo schema (il sito di Accredia è sicuramente funzionale a questo scopo), sottoporsi ad un audit di certificazione che è strutturato in due fasi (stage 1 e stage 2) per arrivare, in caso di superamento dell’audit, all’ottenimento di una certificazione pluriennale che deve essere confermata con audit annuali.

Dal punto di vista delle imprese non ci sono limitazioni né di settore né di dimensione, alle tipologie che possono richiedere questo riconoscimento.

 

Tra gli aspetti più significativi che impattano sull’implementazione dei requisiti di questa norma si considerano l’analisi degli episodi o delle minacce di violazione dei diritti riferibili alla parità di genere nonché le contromisure adottate ed eventuali cause giudiziarie riferite a episodi di violazione dei diritti di genere. Come di consueto nei sistemi di gestione di processi sarà necessario prevedere la registrazione delle evidenze, la definizione della politica, degli obiettivi, del piano strategico e del risultato del monitoraggio del sistema e, contemporaneamente, la definizione, le modalità e la frequenza di misurazione degli indicatori qualitativi e quantitativi.

 

Dal punto di vista della pura convenienza economica, cui qualche imprenditore potrà essere principalmente interessato, sono da considerarsi lo sgravio contributivo fino a 50mila euro all’anno, un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere e, prevedibilmente, un punteggio qualificante nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture.

 

La certificazione per la parità di genere è frutto della collaborazione e del lavoro svolto con il Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese previsto dal Pnrr Missione 5, come suggerito anche nella UNI ISO 30415, e considera fondamentale l’efficacia delle azioni intraprese dall’organizzazione al fine di creare un ambiente di lavoro inclusivo delle diversità che sostengano la parità di genere. È infatti forte la correlazione con la recente norma internazionale ISO 30415 pubblicata nel 2021 che fornisce una linea guida (quindi non è certificabile) per le aziende di qualsiasi settore e dimensione, che vogliano adottare un approccio inclusivo che valorizzi le diversità negli ambienti di lavoro. Questo standard si rifà alla ISO 26000, altra linea guida riferita alla responsabilità sociale, ed alle norme sulla gestione del personale della serie 30400 e si presenta come un utile strumento operativo per il raggiungimento degli SDGs: Obiettivo 5: Parità di Genere ed Obiettivo 10: Riduzione delle diseguaglianze.

 

Fin qui gli aspetti normativi e tecnici. È tuttavia sicuramente necessario essere consapevoli che a monte di tutto ciò è necessario sia presente una maturata convinzione della direzione aziendale dei principi di riferimento cui si ispira un approccio di questo tipo. Deve infatti essere viva la convinzione che l’azienda efficiente è quella che utilizza le persone secondo le loro predisposizioni, le loro aspirazioni, le loro competenze. Lo slogan “Giuste risorse al posto giusto” dovrà essere coniugato in un modo inclusivo. Vediamo quindi la norma come strumento di stimolo per un’evoluzione culturale in questa direzione e contemporaneamente un riconoscimento per chi questa maturazione l’ha già sviluppata da tempo.

 

 

Ing. Davide Biasco


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Rispondi Autore: Stefano Vergani - likes: 0
05/07/2022 (10:18:48)
articolo molto interessante. Quello che non si riesce però a capire è : come mai, in un Universo geo economico di globalizzazione lo Stato italiano promuove una prassi nazionale mentre c'è uno standard ISO ( 30415 ) che non viene utilizzato - anzi - viene banalizzato e demonizzato come " non certificabile ". Grazie

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