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CEM: quali sono le condizioni che possono comportare un maggiore rischio?

CEM: quali sono le condizioni che possono comportare un maggiore rischio?
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischi campi elettromagnetici

06/05/2022

Un intervento si sofferma sul rischio connesso all’esposizione ai campi elettromagnetici e sulle condizioni che possono comportare una maggiore suscettibilità dei lavoratori. Focus sui possibili effetti indiretti sui lavoratori esposti.

Bologna, 6 Mag – I rischi professionali correlati all’esposizione ai campi elettromagnetici (CEM) presi in considerazione dal d.lgs. 81/2008 sono ‘ …i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti agli effetti biofisici diretti e agli effetti indiretti noti provocati dai campi elettromagnetici…’ (art. 206), mentre non sono considerati gli “ …. eventuali effetti a lungo termine ... ”. E dunque i valori limite di esposizione (VLE) e i valori di azione (VA) previsti dal Decreto ‘ ….. riguardano soltanto le relazioni scientificamente accertate tra effetti biofisici diretti a breve termine ed esposizione ai campi elettromagnetici’.

Inoltre il Capo IV del Titolo VIII del Decreto Legislativo 81/2008 “prevede in modo esplicito l’esistenza, nei lavoratori esposti a CEM, di specifiche condizioni che possono comportare una maggiore suscettibilità a tale rischio: all’art. 209, infatti, esplicitamente richiede di prestare ‘….particolare attenzione…’ a ‘…tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio…’, riportando anche una lista, non considerabile però esaustiva, di tali lavoratori: ‘ … con particolare riferimento a soggetti portatori di dispositivi medici impiantati, attivi o passivi, o dispositivi medici portati sul corpo e le lavoratrici in stato di gravidanza’”.

 

A ricordare in questi termini l’importanza, per la prevenzione del rischio CEM, della conoscenza delle condizioni che possono comportare ad un maggiore suscettibilità dei lavoratori è un intervento al convegno “dBA2019 – Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro” che, organizzato da Regione Emilia Romagna, Inail e Ausl Modena, si è tenuto durante la manifestazione Ambiente Lavoro a Bologna il 17 ottobre 2019.

 

L’intervento, ancora attuale e utile per migliorare la prevenzione nei luoghi di lavoro, è stato pubblicato nel volume “dBA2019 – Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro” – a cura di Silvia Goldoni, Pietro Nataletti, Nino Della Vecchia e Antonio Santarpia - che raccoglie gli interventi all’omonimo convegno bolognese.

 

Nell’articolo di presentazione dell’intervento ci soffermiamo in particolare sui seguenti argomenti:


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L’intervento e le difficoltà della sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti

Nell’intervento “CEM: le condizioni che possono comportare una maggiore suscettibilità dei lavoratori e le misure di prevenzione” – a cura di Fabriziomaria Gobba e Alberto Modenese (Cattedra di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, Università di Modena e Reggio Emilia) - si ricorda che “le conoscenze sulle condizioni che comportano una ‘particolare sensibilità’ ai CEM, sui meccanismi e sulle specifiche condizioni di esposizione che generano un rischio per questi lavoratori sono da considerarsi ancora non adeguatamente esaustive, così come va anche rilevato che, per questi lavoratori, il rispetto dei Valori Limite di Esposizione definiti dal D.lgs. 81/08 e s.m.i può non essere adeguatamente protettivo”.

 

Dunque il medico del lavoro incaricato della sorveglianza sanitaria di lavoratori esposti ai campi elettromagnetici “si trova di quindi di fronte ad una serie di problematiche che finora non sembrano essere state sufficientemente chiarite”. E la relazione vuole fornire un contributo per affrontare tali problematiche, concentrandosi in particolare sui due aspetti che ci sembrano di maggior rilievo in questo ambito:

  • “chi sono i ‘lavoratori particolarmente sensibili al rischio’, ovvero in base alle conoscenze attuali, quali condizioni possono comportare una particolare sensibilità ai CEM, e attraverso quali meccanismi?
  • quali possibili criteri possono essere applicati per attuare un’efficace Sorveglianza Sanitaria (SS) nei confronti dei lavoratori nei quali sono state identificate tali condizioni?”

 

CEM: i lavoratori da considerarsi particolarmente a rischio

Il documento ricorda che gli effetti sulla salute connessi alla esposizione ai campi elettromagnetici, “per i quali esiste un rapporto di causalità accertato, ed i cui meccanismi patogenetici sono noti, possono essere distinti in indiretti e diretti; effetti indiretti possono essere, ad esempio, la possibilità di interferenza con “dispositivi medici impiantati o portati sul corpo, l’effetto meccanico e le correnti di contatto”.

 

Se la normativa “non identifica una lista esaustiva di tutte le condizioni che possono indurre una particolare sensibilità al rischio da CEM, dato che questo è un compito che spetta alla ricerca scientifica”, un utile riferimento può essere la lista/tabella (anche questa non necessariamente esaustiva) dei lavoratori da considerarsi particolarmente a rischio riportata nella “ Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/EU relativa ai campi elettromagnetici”:

 

 

Si segnala che nella tabella c’è un refuso (presente nella versione inglese e nella traduzione italiana della Guida): tra gli “esempi” di dispositivi impiantabili passivi “vengono erroneamente citati quelli attivi”.

 

CEM: i portatori di dispositivi medici e gli effetti indiretti

Se la maggiore sensibilità dei lavoratori comporta la possibile comparsa di effetti, che possono essere classificati in indiretti e diretti, ci soffermiamo oggi brevemente sugli effetti indiretti.

 

Riguardo agli effetti indiretti dei CEM sui portatori di dispositivi medici impiantati, attivi o passivi, si ricorda che i dispositivi medici impiantati attivi (DMIA) “attualmente più diffusi sono probabilmente i pacemaker, i defibrillatori (ICD) e gli impianti cocleari, ma ne esistono numerosi altri, quali gli impianti al tronco encefalico, gli apparecchi acustici endoauricolari, i neurostimolatori, le pompe per l’infusione, i codificatori della retina ed altri ancora”.

 

Si indica che i possibili effetti che i CEM possono indurre sui dispositivi medici cardiaci, o su loro parti, “sono essenzialmente da ricondursi o ad un effetto meccanico che può essere generato da campi statici e che può comportare dislocazioni, oppure alla induzione di correnti che possono a loro volta causare inibizione della stimolazione o variazioni di soglia o del settaggio del dispositivo, con conseguente errato sensing da disturbo nei circuiti elettronici e/o della capacità di rilevamento del ritmo; un ulteriore meccanismo è un aumento della temperatura ai punti di contatto tra materiali metallici e tessuti, che potrebbe causare una risposta tissutale. La possibile occorrenza di effetti da meccanismo meccanico è da ritenersi un’evenienza più rara rispetto a quelli da correnti indotte”. E un altro punto importante “è che interferenze modeste e/o di breve durata possono anche essere clinicamente del tutto silenti e passare pertanto inosservate, ma episodi più rilevanti e/o prolungati possono invece indurre stimolazioni inappropriate o un mancato funzionamento, fino ad un completo desettaggio del dispositivo con necessità di riprogrammazione”.

 

L’intervento si sofferma su vari aspetti e norme, anche con riferimento al Regolamento (UE) 2017/745 sui dispositivi medici, e sul tema della valutazione dei rischi indicando che “in linea di massima, le modalità che possono essere applicate per la valutazione sono:

  • approccio non clinico, “basato sul confronto tra i livelli e le caratteristiche dell’ esposizione occupazionale del lavoratore ed i livelli di immunità e le caratteristiche del dispositivo così come desumibili dalle informazioni raccolte
  • approccio clinico, basato su un vero e proprio monitoraggio ‘in vivo’ del funzionamento del DMIA in condizioni di esposizione reali (o eventualmente anche simulate in laboratorio), da attuarsi sotto osservazione clinica diretta, ovviamente prevedendo tutte le necessarie precauzioni opportune”.

E nella valutazione approfondita da attuarsi nei lavoratori portatori di DMIA, “tra le caratteristiche di cui tenere conto per la valutazione dell’idoneità lavorativa, dovrebbero però essere considerate anche le caratteristiche del fenomeno di interferenza che può essere indotto e la sua effettiva rilevanza clinica.

Ad esempio – continua l’intervento – “in aree con esposizione che potrebbero essere anche superiori ai livelli di immunità del dispositivo, è importante stabilire se la interferenza può essere indotta da esposizioni istantanee o richieda una maggior durata, e se gli effetti sono clinicamente significativi. Se anche esposizioni brevi possono essere efficaci, e l’effetto dell’interferenza non è clinicamente accettabile, l’operatore con DMIA non è idoneo al lavoro nelle aree interessate, ma in alcuni casi, se gli effetti possono essere considerati clinicamente accettabili per brevi periodi (un esempio che viene frequentemente utilizzato per illustrare la situazione è la esposizione transitoria di un portatore di pacemaker che attraversa un sistema antitaccheggio) il lavoratore con DMIA può transitare nell’area, purché non debba sostarvi o lavorarvi”.

 

Vi sono poi le problematiche connesse con i dispositivi medici impiantati passivi, dispositivi che “non hanno una sorgente autonoma di energia e componenti elettriche e/o elettroniche, ed hanno funzioni essenzialmente meccaniche; esempi sono le protesi articolari, endoauricolari passive, chiodi, piastre, viti, clip chirurgiche, clip per aneurisma, stent, protesi valvolari cardiache, anelli per annuloplastica, impianti contraccettivi, otturazioni dentali ed altri”. E vengono usualmente considerati inclusi in questo gruppo “anche eventuali corpi estranei inclusi nei tessuti corporei a seguito di infortuni, introduzione accidentale, quali schegge o frammenti metallici inclusi”.

 

Si indica che è essenzialmente la componente metallica “quella che può condizionare la comparsa degli effetti indiretti: se questi impianti o inclusi hanno componenti ferromagnetiche, infatti, possono subire torsioni e/o dislocazioni in presenza di campo magnetico statico con conseguenti possibili lesioni dei tessuti circostanti”.

 

L’intervento si sofferma poi sui vari livelli di sicurezza e sui valori individuati e segnala che “sebbene ci siano ancora pochi dati su cui basare una valutazione dei rischi cui sono esposti i lavoratori con impianti passivi, la conformità alla Raccomandazione 1999/519/CE dovrebbe fornire un’adeguata protezione in relazione all’esposizione a campi variabili”. E anche in questi casi, “sulla base di una specifica valutazione preliminare sulla base delle caratteristiche del dispositivo e dell’esposizione, è possibile valutare la possibilità di esposizione a campi più intensi”.

 

Infine, riguardo agli effetti indiretti, si segnala la categoria (come indicato nella normativa) dei “dispositivi medici portati sul corpo”, che “possono essere anche in questo caso attivi o passivi, per i quali valgono considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle già espresse per i dispositivi impiantati”.

 

Concludiamo rimandando alla lettura integrale dell’intervento che riporta ulteriori indicazioni su:

  • effetti diretti dei CEM
  • effetti dei CEM sulle lavoratrici in gravidanza
  • sorveglianza sanitaria dei lavoratori.

 

 

RTM

 

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “ dBA2019 – Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro”, a cura di Silvia Goldoni, Pietro Nataletti, Nino Della Vecchia e Antonio Santarpia, pubblicazione che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno - Bologna, 17 ottobre 2019 (formato PDF, 11.65 MB).

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro - 2019”.

 


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