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Il Preposto e l’organizzazione del lavoro da eseguire

Il Preposto e l’organizzazione del lavoro da eseguire
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Preposti

17/03/2022

Il preposto deve organizzare lo svolgimento del lavoro, per consentire agli addetti di operare in sicurezza, stabilendo le direttive da seguire, ma deve anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto.

La Cassazione Penale sez. IV con la sentenza n° 7092 del 1 marzo 2022 si è pronunciata riguardo la figura del “Preposto” in merito agli obblighi previsti dall’art. 19 del D. Lgs. n° 81/2008.

 

Come noto, la L. n° 215/2021 ha modificato tali obblighi ma l’evento in questione, ovviamente, fa riferimento ad un fatto accaduto prima del recente intervento del legislatore.

 

L’infortunio avvenuto ha riguardato un lavoratore che, mentre era addetto con un collega al montaggio di un cassero, veniva attinto ad un occhio da una barra metallica di collegamento infilata dall’altro lavoratore che si trovava dall’altra parte del cassero.

 

La Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 7 novembre 2018, aveva assolto il capocantiere dal reato di cui agli artt. 113, 590 commi 1, 2 e 3, 583 comma 2 c.p. , contestato in cooperazione con il CSE (quest’ultimo già assolto in primo grado perché il fatto non costituisce reato) per le lesioni gravissime personali ai danni del lavoratore consistite nella perdita di un organo per effetto dello scoppio del bulbo oculare destro con "perdita completa del visus in OD (occhio destro)" con invalidità riconosciuta dall'INAIL in misura pari al 38%.

 

L’iniziale imputazione del capocantiere era consistita nell'aver cagionato, in qualità di preposto di fatto alla sicurezza dell'impresa, ai sensi dell'art. 299, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b, d ed e), d. lgs. n. 81 del 2008 - le predette lesioni nei confronti del lavoratore per colpa generica e per l'omessa predisposizione di adeguate misure di prevenzione e protezione da adottare per eliminare il rischio durante i lavori di casseratura, ove si trovavano ad operare i due lavoratori.

 

Da quanto ricostruito nel processo di primo grado, durante il montaggio del cassero, i due lavoratori operavano senza visibilità e ai lati opposti dello stesso; un primo lavoratore infilava le barre metalliche di collegamento tra i due pannelli della struttura e l’infortunato avvitava i piattelli di fissaggio. Mentre quest’ultimo si chinava per raccogliere un piattello caduto, nel rialzarsi, veniva attinto all’occhio destro dalla barra filettata che sbucava dal tubo di collegamento sospinta dall’altro lavoratore che non poteva accorgersi della posizione del collega dalla parte opposta del cassero.

 

La barra che aveva colpito l’infortunato sporgeva di cm. 13 dalla parete del cassero (sporgenza massima consentita dal sistema di bloccaggio della barra, alla cui opposta estremità era avvitato un piattello di fissaggio prima dell'inserimento nel foro di ingresso) e si trovava ad un'altezza di m. 2,05 rispetto al piano terra (m. 1,50 rispetto al gradino). L’infortunato, in dibattimento, aveva affermato di essere stato colpito mentre si stava rialzando, dopo aver raccolto da terra il piattello col quale avrebbe dovuto fissare la barra e dichiarava di non ricordare l'intera dinamica del fatto negando di aver avvicinato di proposito l'occhio al foro di uscita della sbarra.

 

In primo grado il Tribunale di Milano riteneva il capocantiere responsabile dei reati contestati e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia nonché al risarcimento dei danni alla parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede.

 

Secondo il giudice del Tribunale di Milano l’imputato in qualità di capocantiere e “preposto di fatto” non aveva vigilato sulla corretta applicazione delle misure di prevenzione e protezione in merito al corretto approntamento dei casseri, quali opere provvisionali, da parte dei due lavoratori operanti come invece richiesto dall’art. 19 comma 1, lett. a) del D. Lgs. n° 81/2008.

 

Nella sentenza di primo grado si era evidenziato che <<ai sensi dell'art. 123 d. lgs. n. 81 del 2008, all'interno dei cantieri temporanei o mobili il preposto alla sicurezza deve sorvegliare il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali e che l'obbligo di vigilare sulle attività di armo e disarmo dei casseri si estende ad ogni fase della lavorazione compreso l'ancoraggio delle pareti con le barre filettate, e non può essere circoscritto alla sola posa in opera del cassero>>.

 

Riguardo le motivazioni del Tribunale di Milano, va detto che, in realtà, la legislazione vigente non identifica da nessuna parte la figura del “preposto alla sicurezza”. Esiste invece, la figura del Preposto come definito dall’art. 2 comma 1, lett. e) del D. Lgs. n° 81/2008 e cioè la:

<<persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa>>.

Pertanto, per evitare confusione, anche alla luce delle recenti modifiche prima citate, non si può parlare di un capocantiere che, in quanto tale, già individuabile come preposto per sovrintendere ai lavori, si disinteressa della sicurezza dei propri collaboratori perché non investito formalmente da un atto con cui lo si nomina “preposto alla sicurezza”.

Questo perché è insito nella funzione e nelle attribuzioni di capocantiere l’obbligo di adempiere a quanto previsto dall’art. 19 del D. Lgs. n° 81/2008.

 

Dopo la condanna in primo grado, il difensore dell’imputato aveva fatto appello adducendo come motivazione che, al momento dell'evento, questi pur essendo presente in cantiere, si trovava in una posizione che non gli permetteva di avere una visuale completa della lavorazione in corso in modo da poter coordinare operativamente i due lavoratori addetti al montaggio del cassero e di assolvere, così, al suo obbligo di vigilanza. In altre parole, non era stato in grado di verificare cosa stessero facendo i due lavoratori.

Secondo il difensore, se il capocantiere si fosse trovato in una posizione diversa, avrebbe potuto indirizzare e coordinare i due lavoratori nelle rispettive attività persino in caso di incauto avvicinamento dell’infortunato al foro di uscita della barra per accertare il comportamento dell’altro lavoratore.

 

La Corte di appello ha accolto l'appello proposto dal capocantiere assolvendo anche lui, come già avvenuto in primo grado per il CSE, dal reato ascrittogli per insussistenza del fatto.

Secondo la Corte d’appello non era stato chiarito se al momento dell'impatto l’infortunato si fosse mosso ovvero se avesse avvicinato di proposito l'occhio al foro, dal quale sarebbe uscita la barra, per verificare cosa stesse facendo l’altro lavoratore (circostanza sostenuta dal tecnico dell'ASL ma negata dall'infortunato) in quanto:

<<l'incertezza sull'esatto andamento dei momenti antecedenti all'incidente non consentiva di ipotizzare profili di colpa riconducibili all'imputato, da porre in nesso causale con le lesioni refertate. Anche a voler ritenere il comportamento della parte offesa né improvviso né anomalo, l’imputato era comunque impossibilitato ad evitare l'incidente, anche mediante una sorveglianza continua, condotta da ritenere inesigibile in relazione alle necessità della lavorazione e alle modalità operative concrete. Inoltre, eventuali profili legati a carenze organizzative non potrebbero essere addebitati al preposto, ma piuttosto al suo superiore gerarchico (assolto dal giudice di primo grado)>>.

 

L’infortunato, con il proprio difensore, aveva fatto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello per violazione degli artt. 43 e 590 cod. pen., 19 del D. Lgs. n° 81/2008 e per vizio di motivazione.

Nel ricorso era stato ribadito che la Corte d’Appello non aveva valutato che il capocantiere, nel suo ruolo di preposto, aveva ordinato ai due lavoratori di operare tramite modalità manifestamente pericolose come emerso in dibattimento nelle deposizioni di alcuni testi.

Sempre secondo il difensore del lavoratore, la Corte distrettuale, peraltro, aveva completamente ignorato le specifiche caratteristiche del luogo di lavoro che, invece, aveva avuto un peso significativo nella genesi dell’evento.

Infatti, l’attività veniva svolta in uno spazio angusto che non permetteva all’infortunato di vedere cosa stesse facendo il collega dall’altra parte del cassero mentre infilava le barre sporgenti da avvitare.

Inoltre, l’infortunato per eseguire la propria attività (posizionare i piattelli di fissaggio del cassero) doveva <<restare in equilibrio su un gradino della larghezza di cm. 18 che essendo inferiore alla lunghezza del piede, lo faceva rimanere in equilibrio instabile mentre con una mano doveva procedere ad avvitare i citati piattelli che, di volta in volta, doveva raccogliere da terra, per poi rialzarsi con le mani impegnate a reggere tale oggetto>>.

Per il difensore, qualora fosse stato indispensabile adottare quella modalità operativa intrinsecamente pericolosa, il capocantiere avrebbe dovuto informarne i lavoratori e prevedere un metodo di lavoro sicuro, senza riversare su di loro il compito di trovare una soluzione al problema (soluzione poi rivelatasi inadeguata).

Quindi, non erano individuabili elementi che, da un lato, potessero escludere la manifesta colpa del capocantiere che ordinava personalmente, quale preposto, un lavoro in condizioni di grave rischio e in una deficitaria situazione formativa ed informativa, e, dall'altro, il nesso causale tra tale responsabilità e l'evento.

 

In conclusione, la Corte territoriale non aveva preso in considerazione il profilo di colpa connesso al contesto in cui veniva eseguito il lavoro con l’implicita rischiosità della specifica situazione logistica in cui il capocantiere aveva posto a lavorare il lavoratore infortunato. La Corte di merito non aveva esaminato tale aspetto, perché il Tribunale lo aveva esaustivamente trattato, assolvendo il coimputato Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE), proprio per l'acclarata insussistenza in quel contesto di cantiere di situazioni di pericolo riguardanti la tipologia di casseratura adottata, le modalità di allestimento della stessa e la collocazione degli operatori a ciò adibiti. Lo stesso Tribunale, d'altronde, aveva ravvisato una residuale ipotesi di colpa esclusivamente in capo al capocantiere, per l'omessa sorveglianza del lavoro della persona offesa. Per questo motivo, la Corte territoriale, muovendosi nell'ambito conoscitivo tracciato dai motivi di gravame della difesa appellante, aveva affrontato tale ipotetico profilo di responsabilità non ravvisandone la sussistenza in considerazione dell'impossibilità del capocantiere, pur presente sul luogo del sinistro, di evitare l'incidente, neanche con una sorveglianza continua, da ritenere condotta inesigibile, in relazione alle necessità della lavorazione e alle modalità operative concrete.

 

La Cassazione Penale, esaminando il ricorso, ne ha riconosciuto la sua fondatezza.

Nelle motivazioni riguardanti l’accoglimento del ricorso, per quel che conta condivise anche da chi scrive, la Cassazione però utilizza, come già avvenuto altre volte, termini che lasciano piuttosto perplessi.

Infatti, non è raro anche oggi vedere riferimenti, nei testi di altre sentenze, di un fantomatico “Responsabile della Sicurezza dell’azienda” o del “Responsabile della Sicurezza di cantiere” mentre, realtà, ci si dovrebbe riferire al RSPP e al CSE. Comunque, tornando al caso in esame, nelle motivazioni ricompare il termine “preposto alla sicurezza”.

Nel ricorso della parte civile si parla di “Preposto alla sicurezza” (definizione integralmente ripresa dalla Cassazione Penale nelle motivazioni di accoglimento del ricorso) a cui viene addebitata:

  • la mancata predisposizione delle modalità di esecuzione dell'attività lavorativa in modo da consentire ai due lavoratori coinvolti, di operare in modo da evitare rischi per la propria incolumità;
  • l'omesso assolvimento dei compiti assegnatigli di formazione ed informazione dei lavoratori.

Nelle motivazioni la Cassazione Penale afferma che, ai sensi dell'art. 2, lett. e) del D. Lgs. n° 81/2008, <<il preposto ( la cui posizione è assimilabile a quella del capo cantiere) è un soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende all'attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa>>. Qui, a parere di chi scrive, andava chiarito che il capocantiere, in quanto tale, è il “Preposto” visto che, in concreto, deve attuare, per la funzione che il suo datore di lavoro gli ha attribuito, quanto previsto nella definizione data dal decreto.


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La Cassazione Penale, continuando nella premessa alle motivazioni di accoglimento del ricorso della Parte Civile, citando tutta una serie di precedenti pronunce, evidenzia la figura del preposto quale:

  • titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumità dei lavoratori,
  • soggetto che risponde degli infortuni loro occorsi a causa della violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia, purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi,
  • soggetto che sovrintende alle attività, impartisce istruzioni e dirige gli operai,
  • soggetto che verifica il rispetto delle normative antinfortunistiche ed attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione e

pertanto, risponde delle lesioni occorse ai dipendenti.

 

Nelle motivazioni viene richiamato l’art. 299 del D. Lgs. n° 81/2008 (Esercizio di fatto dei poteri direttivi) affermando che il preposto è <<un soggetto la cui sfera di responsabilità è modellata sui poteri di gestione e di controllo di cui concretamente dispone>> e, pertanto, <<la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati>>.

Viene ricordato che l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni effettivamente esercitate e sui poteri di cui si dispone, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale.

 

Indubbiamente, se in un cantiere avessi un capocantiere il cui nominativo è inserito all’interno del POS del cantiere, quale elemento facente parte dei contenuti minimi obbligatori previsti dall’allegato XV ma in concreto le funzioni di preposto e cioè quelle contenute nella definizione dell’art. 2 comma 1, lett. e) del decreto, fossero esercitate da altri soggetti non formalmente individuati come preposti (assistenti, capisquadra, ecc.), non si può che essere d’accordo con la Cassazione.

 

Nel caso in esame, invece, c’era un capocantiere che, in concreto, esercitava le funzioni di preposto; pertanto, scrivere in una sentenza che la posizione del preposto <<è assimilabile a quella del capo cantiere>> può generare confusione in quanto, come già detto in un precedente articolo sulle novità della Legge n° 215/2021 (La scoperta del Preposto), è l’organizzazione e la complessità dell’attività dell’impresa che genera la necessità di avere il “Preposto”.

 

Scritta così, sembrerebbe che, invece, di avere un capocantiere con il nominativo indicato nel POS ed a cui sono attribuiti, vista la funzione di gestione  e controllo tipica del ruolo, i relativi poteri,  il datore di lavoro debba invece preoccuparsi di procedere all’individuazione del preposto ed alla sua formale nomina prescindendo da quella che è la normale organizzazione di un cantiere dove si svolgono lavori edili o d’ingegneria civile e dove l’individuazione del capocantiere è tassativa vista la richiesta dell’allegato XV riguardante i contenuti minimi del POS.  

Indubbiamente, il preposto assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l'incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative “contra legem”.

 

Nelle motivazioni, la Cassazione Penale descrive sommariamente la situazione al momento dell’evento. Il capocantiere aveva impartito disposizioni, concernenti la posa in opera delle casserature in metallo ai carpentieri dell’impresa. Erano presenti tre lavoratori, tra cui un gruista incaricato di calare gli elementi dei casseri. I primi due, tra cui l’infortunato, dovevano procedere al posizionamento e fissaggio dei casseri. L’infortunato avrebbe dovuto posizionarsi nell'intercapedine ricavata tra un ponteggio (alle sue spalle) ed una delle pareti metalliche del cassero, per avvitare le barre filettate metalliche che, dall'altra parte, l’altro lavoratore avrebbe provveduto ad infilare negli appositi spazi, in modo tale da ancorare tra loro le due pareti del cassero.

L’infortunato si trovava in un'intercapedine alta m. 3 e larga cm. 48. Sul pavimento era presente un gradino largo cm. 18 ed alto cm. 55, il quale consentiva all’infortunato di arrivare ad avvitare con maggiore praticità le barre situate ad altezze più elevate.

Il posizionamento dei due lavoratori ai due lati opposti dei casseri metallici impediva ai due di vedersi, per cui il primo doveva confidare nel solo avvertimento vocale del secondo (che, secondo la dinamica della vicenda riportata dal Tribunale sulla scorta della deposizione dell'infortunato, non sempre lo aveva avvisato puntualmente).

A seguito dell'inserimento di una delle ultime barre da parte dell’altro lavoratore, il ricorrente veniva colpito ad un occhio.

 

La Corte di Appello, come detto prima, aveva assolto il capocantiere in ragione dell'impossibilità di ricostruire la dinamica del fatto e dell'eventuale ricollegabilità dell'infortunio al comportamento maldestro della stessa persona offesa.

 

Secondo la Cassazione Penale, invece:

<< in realtà, non appare configurabile una condotta abnorme nel comportamento del lavoratore, il quale, secondo quanto pacificamente affermato dai giudici di merito, svolgeva un compito particolarmente impegnativo, in uno spazio angusto e senza la possibilità di vedere il collega che collaborava sinergicamente con lui>>.

 

La motivazione della sentenza impugnata, secondo la Cassazione appare carente, <<mancando l'esame del tema decisivo delle direttive eventualmente impartite dal capocantiere, ai fini del regolare svolgimento dell'incombenza notevolmente delicata affidata ai due operai, e, specificamente, del coordinamento tra i due lavoratori, in modo da evitare che il comportamento di ognuno di loro potesse costituire fonte di pericolo per il collega>>.

 

Molto importante è il successivo passaggio in quanto delinea con precisione il perimetro delle responsabilità del preposto (nel caso di specie, il capocantiere) e, indirettamente anche il perimetro delle responsabilità del CSE, soggetto a cui, ancora oggi, si continua a guardare come al “supergarante” della sicurezza in cantiere.

 

La Cassazione Penale in questa sentenza afferma che <<Il preposto, infatti, deve non solo organizzare lo svolgimento del lavoro, al fine di consentire agli addetti di operare in sicurezza, stabilendo le direttive da seguire, ma deve anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei medesimi, in modo da evitare la superficiale tentazione di trascurarle>>.

 

Per queste ragioni, la sentenza impugnata è stata annullata e rinviata al giudice civile competente per valore in grado d'appello, al quale va altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

 

Appare palese che ciò che è mancato da parte del capocantiere è l’aver organizzato quella particolare attività lavorativa secondo ben definiti criteri, viste le particolarità del luogo e le modalità di esecuzione delle attività dato che i due lavoratori erano posizionati in modo tale da non potersi vedere reciprocamente.

 

Questa sentenza, di fatto, segue la linea già definita più di 20 anni fa. Infatti, la Cassazione Penale si era pronunciata riguarda le responsabilità attribuibili al preposto in merito all’obbligo di vigilanza e controllo (Cassazione Penale sez. III, 05/04/2000 n. 4265). In questa pronuncia, le responsabilità del preposto erano direttamente connesse all’effettiva possibilità di espletare tali obblighi in funzione delle dimensioni del luogo e delle modalità di svolgimento del lavoro.

Solo nei casi in cui le dimensioni del luogo e le modalità di svolgimento del lavoro rendevano impossibile un controllo effettivo e costante su tutti i lavoratori contemporaneamente, la responsabilità del preposto andava esclusa.

 

Infine, un’ultima riflessione va fatta sulla figura del “Preposto” viste le recenti modifiche intervenute.

Come già sostenuto nel precedente articolo “La scoperta del Preposto”, quello che va ribadito ancora una volta è che il “Preposto” è una conseguenza diretta dell’organizzazione dell’impresa e, quindi, non vi è alcun obbligo di nomina.

Nel caso di un cantiere edile dove vi è il Capocantiere il cui nominativo è indicato all’interno del POS, questi, in quanto tale, non può rifiutarsi di essere il “Preposto”. Non potendo rifiutarsi di essere “Preposto” non deve ricevere una dazione d’incarico e né la deve firmare questa “nomina” per accettazione affinché si possa considerare effettivo il suo incarico.

Se sa di essere il Capocantiere, sa anche di essere il Preposto.

Pertanto, facendo riferimento alle modifiche introdotte dalla L. N° 215/2021, queste non fanno altro che chiedere alle imprese di dare evidenza, anche e soprattutto in caso di visita degli enti di vigilanza, di chi sono i preposti senza che i funzionari debbano andare a fare una specifica ricerca all’interno dell’organizzazione aziendale.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

 

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 - Sentenza n. 7092 del 01 marzo 2022 - Perdita di un occhio durante i lavori di casseratura: responsabilità del preposto di fatto




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Rispondi Autore: Fausto Pane - likes: 1
17/03/2022 (11:36:26)
Buongiorno.
E neanche questa volta, l'art 20 dlgs 81/08 entra in gioco...
Ma cosa l'hanno scritto a fare!
La responsabilità è sempre di altri, mai di chi agisce.
D'altronde, in un paese dove i genitori pestano il maestro quando il proprio figlio va male a scuola, beh, ci sta!
Si stanno dimettendo dal ruolo, tutti i preposti dei miei clienti. Non ne vogliono più sapere di essere responsabili di comportamenti temerari, agiti dai colleghi, che non hanno nessuna intenzione di modificare il loro approccio alla sicurezza. Ci sta anche questo.
Che tristezza. Lavoratori e lavoratrici trattati come burattini, con i fili tenuti dal preposto.
Alla faccia della partecipazione, responsabilizzazione ed aumento della consapevolezza.
Fare sempre le stesse cose (sentenziare come 50 anni fa) ed aspettarsi che la situazione infortunistica migliori, è una follia.
Ma tant'é.
Saluti cari.
Fausto Pane
Rispondi Autore: Alessandro Delena - likes: 0
17/03/2022 (18:49:56)
Articolo chiaro e chiarificatore, per chiunque avesse ancora dubbi. L'uso scorretto dei termini, sia da parte dei giudici che da parte di alcuni addetti ai lavori, è deleterio, usare definizioni non esistenti in normativa, di quel tipo, induce a pensare che le responsabilità siano sempre di "qualcun altro" e non è sovente che tale criticità emerga proprio durante corsi di formazione per preposti.
Rispondi Autore: Bandierini Paolo - likes: 0
21/03/2022 (10:14:05)
Caro Fasto Pane....PAROLE SANTE !

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