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Essere preposto: formazione e addestramento ai sensi del DL 146

Essere preposto: formazione e addestramento ai sensi del DL 146

Autore: Alessandro Mazzeranghi

Categoria: Preposti

16/02/2022

La figura del preposto assume con il DL 146/21 non tanto responsabilità del tutto nuove, bensì tratti più chiari che evitano a tutte le parti interessate di equivocare su cosa significhi essere preposto.

Abbiamo già convenuto su queste pagine che la figura del preposto tramite il decreto-legge citato, poi convertito in legge, viene ad assumere non tanto responsabilità del tutto nuove bensì tratti più chiari che evitano a tutte le parti interessate di equivocare su cosa significhi essere preposto.

 

Vediamo in questo articolo:

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L’individuazione del preposto

Molto e giusto si è scritto sul termine: individuazione. Molti di noi avrebbero preferito che si parlasse più nettamente di nomina. Resta comunque il fatto che il datore di lavoro, individuando i preposti tramite un atto tracciabile, non può poi affermare che gli stessi individuati non sarebbero preposti, o peggio sostenere che persone non individuate sarebbero da lui ritenute preposti, e dunque come tali andrebbero considerate anche dagli organismi di vigilanza.

 

Chi scrive da anni propugna la nomina dei preposti come atto di trasparenza reciproca fra le parti: le organizzazioni non chiare hanno sempre una maggior possibilità di fallimento.

 

Se concentriamo l’attenzione sui compiti che il preposto ha, per legge, in aggiunta a quelli dei lavoratori (che non sono affatto esenti da responsabilità in merito alla propria e altrui salute e sicurezza) direi che possiamo semplificare in quanto segue:

  • Comandare i propri sottoposti ordinando anche tutte le misure di prevenzione dei rischi residui.
  • Vigilare sull’osservanza da parte dei lavoratori delle prescrizioni di salute e sicurezza vigenti (per legge o per regola aziendale e, infine, anche per elementare buon senso).

 

Chiaramente il primo punto si auto sostiene: se io, in virtù della mia autorità o, anche, della mia autorevolezza ordino a un lavoratore di fare qualcosa sono responsabile delle conseguenze che ciò che ordino può causare in materia di salute e sicurezza (e di tanti altri aspetti: buona esecuzione del lavoro, qualità, conservazione dei beni, impatto ambientale ecc.). pertanto viene facile concludere che il recente intervento legislativo abbia, come principale obiettivo, le attività di vigilanza sulle persone e la comunicazione di eventuali problemi di sicurezza di cui il preposto venga a conoscenza.

 

Per questa ragione ritengo inevitabile che la individuazione dei preposti sia resa nota a tutta la organizzazione che sarà sottoposta alla loro vigilanza, altrimenti si corre incontro all’ennesima disfunzionalità organizzativa. Per questo la distinzione di termini di cui parlavo sopra è giusta ma non cambia la sostanza. Tanto più che vorrei avere conferma (scritta) che l’individuato è, lui per primo, cosciente del ruolo attribuitogli.

Essere preposto: cosa dovrebbe essere

Uno dei punti che mi lasciano gravemente perplesso sul tema dell’efficacia di questo sistema a responsabilità distribuite è la reale capacità dei preposti di svolgere al meglio il proprio ruolo. Prima di parlare della “formazione al ruolo” vorrei accennare all’importanza che i preposti (alla vigilanza) siano correttamente inseriti della organizzazione; cito alcuni aspetti su cui, a mio avviso, è bene ragionare in modo preventivo al momento della individuazione:

  • Devono avere un sufficiente commitment da parte della organizzazione.
  • Devono avere il tempo materiale per svolgere adeguatamente il loro compito: se un preposto, poniamo, si occupa prevalentemente di programmazione della produzione e delle risorse, passando gran parte della sua giornata lavorativa all’interno di un ufficio, come costui potrebbe vigilare? L’organizzazione del lavoro deve essere tale da portare il preposto dove la sua vigilanza è necessaria.
  • Devono avere le competenze tecniche e di ciclo produttivo per poter vigilare nonché devono conoscere perfettamente le regole di salute e sicurezza vigenti.

(spero che si capirà perché ho diviso in due l’elenco)

  • Non devono avere timori a richiamare i colleghi quando ciò si rende necessario, non solo per autorità attribuita ma anche per propria autorevolezza.
  • Devono avere capacità analitiche decisionali per trovare soluzioni sicure a situazioni impreviste ma relativamente semplici.
  • Devono avere a disposizione chiari canali / flussi comunicativi da innescare quando la situazione supera le loro effettive capacità di comprensione e scelta e avere anche le capacità comunicative minime indispensabili.

È evidente che un fallimento di vigilanza dovuto ad una carenza di conoscenze o di capacità da parte del preposto riporta la responsabilità a chi lo ha identificato.

Essere preposto: come aiutarlo ad essere

I nostri modelli formativi su salute e sicurezza sul lavoro non vanno oltre:

  • Informazione (spesso ottima) sui rischi
  • Formazione teorica sui compiti che si cala nel concreto solo sul tema dei timori dei discenti per le responsabilità
  • Addestramento in campo, assolutamente fondamentale e utile, ma concentrato sul saper fare attività abituali

 

Nessuno è in grado di insegnare il “decison making”; oppure ci prova ma non ci riesce perché si rivolge all’uditorio con esempi “di scuola” e non “di fabbrica”.
 

Una esperienza

Io non affermerò mai di essere più bravo degli altri: ho solo avuti una grande opportunità dove ho capito che gli obiettivi si possono raggiungere, ma a che costo? Io, per ragioni contorte che non voglio spiegare, sono stato quasi giornalmente a contatto in reparto con circa 160 operativi (capi reparto, capi turno, capi squadra, specialisti tecnici e operai) per più di trenta mesi 12 giorni lavorativi al mese (circa 360 giorni lavorativi complessivi). L’azienda aveva certe necessità e su queste si erano costruiti obiettivi molto ambiziosi. Alle fine, a forza di richiamare, spiegare, ma anche costruendo un rapporto interpersonale forte, e avendo il massimo e incondizionato supporto della direzione e della proprietà, sono riuscito a cambiare il modo di approcciarsi al lavoro delle persone. Quindi: riconoscere le condizioni di pericolo, specie quelle anomale, analizzarle, decidere come operare oppure ricorrere all’aiuto di un superiore più esperto. Grande aiuto era che io (con poteri da dirigente per la sicurezza) oppure il direttore di fabbrica avevamo entrambi esperienze concrete che non ci hanno mai lasciato muti.

 

 

Questo racconto ci dice due cose:

  • Insegnare alle persone ad essere, ovvero a saper fare con un importante grado di discrezionalità, ma anche con la coscienza di chiedere quando non si è in grado, è possibile
  • Quella che ho descritto non può essere la strada giusta, anche perché chi supportava i preposti aveva una peculiare propensione ad assumersi le proprie responsabilità, anziché sfuggirle (credo che fra tutti gli esempi dati e gli errori fatti e immancabilmente rilevati dai lavoratori, la questione della assunzione di responsabilità sia stata fondamentale)

 

A prescindere dai costi di una attività del genere, dei successivi costi di mantenimento del livello raggiunto ecc., ci sono fattori che rendono non ipotizzabile qualcosa del genere: l’intervento di coaching deve avere tempi ben più brevi, il coach non può vivere in azienda per fare solo quello, è troppo facile che l’azienda sconfessi il coach mandando in briciole tutta la credibilità che si è costruito …
 

Provo ad essere costruttivo

Mi pare di avere sottinteso ampiamente quanto segue:

  • I corsi preconfezionati (/sempre uguali senza riguardo alle differenze di mestiere e di azienda) sul tema delle capacità sono inutili (non le possono cambiare)
  • Chi parla con dei lavoratori si deve porre come chi condivide con loro delle esperienze concrete adottando anche le corrette terminologie di settore ed evitando qualunque accenno di presunta superiorità; ma questi non sono bambini, è gente che tutti i giorni lavora duramente, le favole non funzionano e può essere che i loro modelli culturali di riferimento fuori dalla fabbrica siano molto diversi gli uni dagli altri

 

Ricordo ancora come da giovane mi facesse quasi ribrezzo il modo di trattare il personale che aveva Procter & Gamble che io, esagerando, intendevo come al limite del plagio sistematico. Direi che a tutt’oggi non amo quegli approcci che invadono, pur con buone intenzioni, la sfera del privato, ma quando sei in fabbrica DEVI ESSERE UNO DI NOI con la stessa cura per i colleghi, lo stesso modo di approcciarti al lavoro, gli stessi valori di tutela delle persone condivisi dall’intera comunità aziendale.

 

Avendo chiarito le premesse, molte delle quali figlie dell’esperienza personale, vado a tentare di delineare una mia personalissima idea di percorso formativo, partendo da cosa non deve essere: distinguere l’insegnamento delle competenze dall’allenamento (scusate il termine) di quelle capacità che sono parte del nostro essere uomini è il peggiore degli errori.

 

Allora:

  • Prima cosa compenetrare gli insegnamenti in materia di sicurezza con quelli riguardanti il saper lavorare.
  • Secondo: considerare tutti gli aspetti di competenza (riconoscere, analizzare, valutare e decidere) come un qualcosa che si applica a tutte le attività di una persona, anche non lavorative.
  • Terzo: lavorare solo su esempi concreti e pertinenti alla sfera cognitiva dei discenti.

 

Vorrei qui creare una apparente contraddizione: gli aspetti correlati alla sfera analitico / decisionale sono assolutamente trasversali e si possono (o dovrebbero) applicare ad ogni attività umana, non solo all’azienda. Le regole, le concezioni astratte del bene comune ecc. sono altra cosa. Saper decidere non implica una omologazione sui criteri di valutazione delle decisioni.

 

Io ho grande stima dei Mormoni e della loro vicenda storica, o di altri gruppi come gli Hamish (film: “il testimone” con Harrison Ford), ma non riesco a sposare il loro assolutismo. Del resto, i fondamentalisti ebraici, di cui conosco direttamente la cultura, compiono azioni per me inaccettabili.

 

Quindi distinguere il modo di ragionare dai parametri di giudizio (bene / male oppure positivo / negativo), a mio avviso è fondamentale e, per conseguenza, ogni decisione è la confluenza di un parametro assoluto (come confrontare costi e benefici) con un parametro relativo (cosa è bene e cosa è male).

 

Presumendo che in ambito di salute e sicurezza sul lavoro i parametri di confronto (cosa è bene e cosa è male) siano condivisi, ci resta da insegnare (allenare) alle persone a ragionare autonomamente e razionalmente per arrivare ad una conclusione, se non perfetta almeno ragionevole.

 

Non è facile, mi rendo conto, ribalta molti dei nostri approcci alla formazione e alla “certificazione” della stessa; ma se l’obiettivo di un intervento di crescita culturale e comportamentale dei lavoratori non è questo, ma allora lasciatemi chiedere: quale dovrebbe essere?

 

Alessandro Mazzeranghi


Scarica la normativa di riferimento:

Legge 17 dicembre 2021, n. 215 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili.

 

Testo del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Gazzetta Ufficiale 21 ottobre 2021, n. 252), coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2021, n. 215 recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”.




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Pubblica un commento

Rispondi Autore: Rocco Salvato - likes: 0
16/02/2022 (07:23:15)
I concetti espressi sono ampiamente condivisibili perché esprimono condizioni comuni a ogni attività lavorativa e trasversali rispetto alla maggioranza dei settori interessati.
Chi sovrintende il lavoro altrui non può prescindere dall’associare l’autorità del ruolo all’autorevolezza che gli deve essere riconosciuta sia dall’alto che dal basso.
In mancanza, i risultati non possono essere che incerti!
Rispondi Autore: Gian Piero Marabelli - likes: 0
16/02/2022 (08:35:05)
Voglio solo sottolineare, in commento, che l'art. 299 del D.lgs 81/2008 non è venuto meno. Quindi al di la, anche dell'individuazione formale del preposto, la cui assenza è adesso sanzionata, se il Datore individua delle persone come preposti nell'organigramma, gli fa fare i corsi, etc, ma poi "la posizione" di garanzia viene esercitata da qualcun altro, vale appunto il principio di effettività, che c'è sempre stato e non viene meno. Quando succedono gli infortuni" si deve capire chi era la posizione di garanzia, cioè la persona che in quel momento aveva il potere di ordinare (sovraintendere) ai lavoratori di fare o non far delle cose al di la di individuazione formale o anche della nomina. E' qui piuttosto la vera novità, che causerà non pochi problemi. Perché nell'art. 19 adesso c'è scritto che il preposto in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, deve interrompere temporaneamente l'attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate. Non vi è chi non veda che questa è non solo una novità (perchè se il preposto non lo fa è sanzionato) ma una cosa che molte volte si porrà fuori dalla realtà. Perché se andiamo in una "metalmeccanica" normale diciamo, qual'è adesso la percentuale di macchine/attrezzature "non conformi" in cui, come dice la norma si possono "rilevare" delle deficienze? Senza colpevolizzare nessuno la realtà ci mostra dei dati...Si potrebbe dire: anche prima le macchine/attrezzature che non erano a norma (CE, etc) non potevano essere usate. Vero: ma adesso se il preposto si accorge di questo e non "ferma" la macchina, può essere sanzionato e in caso di infortunio grave la sua posizione potrebbe avere delle conseguenze decisamente più spiacevoli. E' una questione su cui riflettere..
Rispondi Autore: TASSELLI GIANNI - likes: 0
16/02/2022 (11:29:09)
Molto condivisibile, ragionamenti da sviluppare.
Rispondi Autore: Carlo Timillero - likes: 0
16/02/2022 (15:16:13)
Condivido la logica di fondo dell'articolo che punta alla sostanza del problema.
In questi giorni sembra che la discussione, molto "giuridica" anche se spesso fatta da tecnici, riguardi più gli aspetti formali ( del tipo " che cosa significa individuare?" " individuare non vuol dire designare, quindi non c'è obbligo formale"). E se gli addetti al settore dibattono sulla forma cosa potrà mai arrivare alle aziende che quasi sempre si fidano e affidano a loro?
Grazie, quindi, per questa immersione nella vita reale, seppur teorica, del preposto alla sicurezza.
Solo una perplessità. Nell'articolo viene identificata come attività primaria del preposto il comando, il dare ordini a dei sottoposti. Non mi pare che il nostro sistema configuri i nostri Preposti come capi, bensì come soggetti che VIGILANO sull'applicazione di un sistema regolamentare che altri hanno definito. Credo sia una vizio di lettura della figura del preposto e che ne può fare travisare obblighi e responsabilità.
Autore: Alessandro mazzeranghi
16/02/2022 (16:24:44)
Io lo desumo dalla definizione all'articolo 2. Non è dunque un obbligo in materia di sicurezza, piuttosto la identificazione di un ruolo anche, ma non solo, per differenziarlo da quello che viene dato, subito prima, di dirigente.
Rispondi Autore: Carlo Timillero - likes: 0
17/02/2022 (11:18:29)
Gentile Mazzeranghi, sono appena andato a rivedermi la definizione di preposto:
"persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa".
A mio parere è abbastanza chiara la funzione del preposto come soggetto che vigila e, eventualmente, segnala situazioni che ritiene problematiche dal punto di vista della sicurezza. E lo fa nei limiti dell'incarico ricevuto e delle competenze professionali necessarie.
Le medesime competenze che l'art.16 richiama tra le condizioni necessarie per la validità della delega di funzioni in materia di sicurezza: "che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate".
E qui sorgono alcuni dubbi: la professionalità e l'esperienza vanno misurate rispetto alla conoscenza del lavoro da effettuare o, nel caso del preposto alla sicurezza, degli aspetti legati alla sicurezza del lavoro? Se il preposto deve garantire l'attuazione delle direttive ricevute, non credo ci siano dubbi sul fatto che siano direttive in materia di sicurezza, e che qualcuno (il DDL) gliele abbia comunicate. Il DDL può incorrere in culpa "in eligendo" nel caso in cui abbia attribuito funzioni di Preposto a persone senza adeguata professionalità o che non sono informate/formate rispetto alle direttive da attuare?
Non entro nella questione dell'assunzione di fatto del ruolo di preposto, che trovo essere una situazione patologica in un' organizzazione.
Credo che il buon funzionamento del sistema della vigilanza non possa prescindere da:
- scelta adeguata del preposto
- sua formazione su temi tecnici e di gestione del personale
- formalizzazione dell'incarico e comunicazione al personale
- chiara identificazione delle materie, dei luoghi e dei lavoratori che rientrano nell'ambito della vigilanza
- tempo e strumenti formali per la gestione dell'incarico
- ultimo, ma non meno importante, vigilanza sull'operato del preposto.
Rispondi Autore: Giuseppe Zerruso - likes: 0
19/02/2022 (07:11:17)
Se in una organizzazione nessuno dei lavoratori svolge una funzione/mansione che aderisce alla definizione di preposto data nell'art.2 è ancora corretto dire che in quella organizzazione non ci sono preposti?
Rispondi Autore: FMR - likes: 0
23/02/2022 (17:20:50)
condivisibile

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