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La responsabilità del DdL in un sistema collaborativo della sicurezza

La responsabilità del DdL in un sistema collaborativo della sicurezza
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

24/01/2022

Il datore di lavoro, che ha valutato preventivamente i rischi, fornito al lavoratore i relativi dpi e adempiuto agli obblighi propri di sicurezza, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.

Quando il datore di lavoro, congiuntamente al responsabile della sicurezza dell’azienda, va assolto dall’accusa di avere creato delle lesioni a un lavoratore dipendente per un infortunio avvenuto durante la sua attività lavorativa. Si può così sintetizzare brevemente questa recentissima sentenza della Corte di Cassazione. A seguito di un ricorso presentato da un datore di lavoro che ha dimostrato, durante il procedimento penale posto a suo carico per lesioni colpose, di avere adottate tutte le misure di salute e sicurezza sul lavoro alla sua posizione di garanzia, la suprema Corte ha annullata la sentenza di condanna inflitta dal Tribunale e dalla Corte di Appello.

 

La stessa, infatti, ha ritenute erronee ed illogiche le argomentazioni che i giudici di merito avevano adottate per affermare la sua responsabilità colposa e ha avuto, altresì, l’occasione di ribadire, richiamando una precedente sentenza della stessa Sezione IV, la n. 8883 del 10/02/2016, che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che ha fornito al lavoratore, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, i relativi dispositivi di sicurezza e che ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore stesso; in motivazione la Corte di Cassazione ha inoltre ricordato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.


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Il fatto, la condanna, il ricorso per cassazione e le motivazioni

La Corte di Appello ha confermata la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il datore di lavoro, oltre al responsabile della sicurezza dell’azienda e al costruttore di un tornio, responsabile del reato a lui ascritto di lesioni colpose, per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro a seguito di un infortunio subito da un lavoratore dipendente verificatosi presso lo stabilimento dell’azienda.

 

In particolare, mentre il lavoratore stava utilizzando un tornio per la riduzione di un tondino di alluminio di 20 centimetri, per prelevare il pezzo dopo la tornitura aveva infilato la mano destra, indossante un guanto, nella zona di lavoro della macchina quando ancora gli organi erano in movimento, per cui il dito mignolo, rimanendo a contrasto con la torretta, aveva riportato la frattura scomposta della falange prossimale del 5° dito della mano destra (guarita in 98 giorni con inabilità temporanea di 40 giorni). Era successo che il lavoratore, al fine di arrestare la macchina, aveva azionato la leva di frizione anziché il freno a pedale, con la conseguenza che la rotazione non si era immediatamente interrotta ma aveva continuato per inerzia ancora per qualche secondo; avendo quindi toccato il mandrino con la mano ed essendo rimasto il guanto impigliato, la stessa era stata trascinata a contrasto con la torretta.

 

I giudici di merito avevano ravvisata la colpa degli imputati nella causazione dell'evento. In estrema sintesi, al datore di lavoro si era rimproverato di non aver individuato il rischio connesso al pericolo derivante dal possibile contatto accidentale delle parti del corpo esposte del lavoratore con le parti in movimento del tornio ed in particolare di non aver munito il macchinario di uno schermo frontale di protezione; al responsabile della sicurezza dell’azienda si era rimproverato di avere sottovalutato il rischio derivante dall'utilizzo del tornio in assenza di protezione frontale e al legale rappresentante della ditta produttrice del tornio, si era addebitato di aver venduto un macchinario sprovvisto di apposita protezione dagli organi in movimento.

 

 

Avverso la sentenza i tre imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione. Il datore e il responsabile della sicurezza si sono lamentati nel ricorso sostenendo che la macchina era regolarmente immessa sul mercato per la vendita ed era dotata della certificazione CE, sicché gli stessi non potevano che presumere la conformità della stessa alla normativa di settore e che tale punto non era stato in alcun modo affrontato nella sentenza impugnata. Gli stessi, inoltre, hanno evidenziata una erronea interpretazione del D. Lgs, n. 17/2010 in relazione agli artt. 22 e 23 del D. Lgs. n. 81/2008 in quanto il macchinario, contrariamente a quanto ritenuto nell'impugnato provvedimento, era conforme alla norma di riferimento UNI EN 12840/2003, che lo identifica come utensile tornio di tipo 1, munito di uno schermo paraspruzzi che non è preposto a proteggere la zona di lavoro da possibili interferenze fra le parti in movimento e gli arti dell'operatore, date le sue ridotte dimensioni. D'altra parte, hanno evidenziato altresì i ricorrenti, uno schermo in grado di coprire tutto il campo di lavoro della macchina ne avrebbe impedito l'utilizzo; il "riparo" del tornio infatti era costituito dal "carter'' posto sopra il mandrino, avente la funzione di impedire all'operatore l'accesso alle zone in movimento.

 

L'infortunio si era verificato, secondo i ricorrenti, in realtà perché il lavoratore, invece di usare il freno a pedale, aveva azionato la leva a frizione e, contemporaneamente, aveva fermato manualmente il mandrino con l'uso di guanti. La protezione frontale della zona di lavoro, inoltre, identificata come paraspruzzi dalla norma UNI di riferimento, non poteva essere assimilata ad un riparo atto a garantire l'impossibilità di interferire con gli arti dell'operatore. Il lavoratore in pratica, invece di operare in modo più rapido, efficace e corretto per arrestare l'azione del tornio azionando il freno, aveva optato per una serie di manovre illogiche, vietate e macchinose, che non potevano essere addebitate a mera disattenzione, tenuto conto anche dell'esperienza trentennale del lavoratore nella specifica mansione.

 

La Corte territoriale, secondo i ricorrenti, aveva invece ritenuto erroneamente irrilevante la condotta gravemente colposa del lavoratore, pensando che la stessa, anche se dovuta a disattenzione, rientrasse nell'ordinario rischio e ciò senza considerare i numerosi elementi da cui era emerso che il lavoratore era soggetto ben informato sul funzionamento della macchina. In quel frangente l’azionamento del freno era l'azione più immediata e semplice, per cui non si poteva parlare di semplice disattenzione. L'utilizzo del guanto, inoltre, era espressamente vietato in fase di lavorazione e soprattutto quando il tornio è attivo; esso serve, infatti, ad estrarre il pezzo lavorato, ma solo quando il tornio è in posizione di fermo. Si era verificata in definitiva una violazione di un espresso divieto che aveva integrato gli estremi dell'abnormità e del comportamento "eccentrico" tale da escludere il nesso di causalità.

 

Il costruttore del tornio, da parte sua, ha sostenuto nel suo ricorso che erroneamente dai giudici di merito era stata ritenuta necessaria la presenza dello schermo sulla macchina, le cui dimensioni non potevano che essere in concreto del tutto ridotte per consentire il funzionamento del tornio, e come tali inidonee ad impedire l'accesso agli organi in movimento da parte del lavoratore. La sicurezza del macchinario, infatti secondo lo stesso, era garantita dalla presenza del freno pedale che, se azionato, avrebbe certamente impedito l'evento, sicché era stato provato che il lavoratore si sarebbe dovuto comportare diversamente e che la sua condotta concreta doveva essere qualificata come "esorbitante" ed interruttiva del nesso causale.

 

L’accusa nei suoi confronti del resto, ha ancora sostenuto il costruttore, era stata basata solo sulla deposizione di un teste e da considerare insufficiente dovendo invece essere fondata su un supporto tecnico e scientifico ben più probante tenendo conto che il Ministero, benché interpellato in ordine alla regolarità della conformità CE del macchinario, non aveva dato risposta.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

I ricorsi sono stati ritenuti fondati dalla Corte di Cassazione. Secondo la stessa il ragionamento fatto sul punto dai giudici di merito, in base al quale se il tornio fosse stato dotato di uno schermo protettivo nella zona di lavoro, questo avrebbe preservato il lavoratore dal contatto con le parti in movimento della macchina, è risultato illogico. Il lavoratore infatti, nel caso concreto, non aveva bisogno di essere "preservato", in quanto il contatto della mano destra con le parti in movimento del tornio non era avvenuta accidentalmente, ma su iniziativa dello stesso lavoratore, al fine di prelevare il pezzo lavorato.

 

Il macchinario in questione inoltre, ha osservato la suprema Corte, era pacificamente conforme alla norma di riferimento UNI EN 12840/2003, che lo ha identificato come utensile tornio di tipo 1, munito di uno schermo paraspruzzi che non è preposto a proteggere la zona di lavoro da possibili interferenze fra le parti in movimento e gli arti dell'operatore, date le sue ridotte dimensioni. Il riparo del tornio infatti, come sottolineato dai ricorrenti, era costituito dal "carter" posto sopra il mandrino, avente la funzione di impedire all'operatore l'accesso alle zone in movimento. Per il prelievo del pezzo lavorato dal mandrino, inoltre il dispositivo di protezione deputato era il pedale del freno, che avrebbe dovuto essere azionato prima di avvicinare la mano all'organo in movimento, al fine di fermarlo, così da evitare "trascinamenti" pericolosi e dannosi per l'arto utilizzato.

 

La ritenuta necessità di uno schermo "protettivo" sul macchinario in questione è apparso, secondo la Cassazione, il frutto di un ragionamento creativo, secondo la logica del "senno del poi", che, come noto, non può fondare il giudizio di colpevolezza colposa. In tale ambito, infatti, il riscontro della colpa deve essere il risultato di un processo ricognitivo che individui a monte, secondo una valutazione ex ante, la regola cautelare che si assume violata. La sentenza impugnata, di contro, ha individuato la regola cautelare sulla base di una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto, in maniera del tutto astratta e svincolata dal caso concreto; non aveva, infatti, considerata la fase di lavorazione in cui si è verificato l'incidente e non si era posta il problema di quali fossero le misure di protezione previste per quella specifica fase.

 

La motivazione della Corte di Appello, ha così proseguito la Sezione IV, si era limitata a prendere atto della condotta colposa del lavoratore, definendola non abnorme, e aveva invece liquidata come mera "illazione" la corretta considerazione difensiva secondo cui la presenza dello schermo richiesto (ma apparentemente non previsto neanche dalla normativa UNI) non avrebbe comunque scongiurato il verificarsi dell'evento, visto che il lavoratore avrebbe comunque dovuto aggirarlo per accedere al pezzo lavorato, inserendo la mano nell'organo in movimento.

 

Non era stata, in conclusione, valutata adeguatamente la circostanza che il tornio era dotato di un apposito dispositivo di protezione, in relazione alla fase lavorativa nel corso del quale è avvenuto l'infortunio, costituito dal pedale del freno; azionandolo, il mandrino si sarebbe fermato, consentendo all'operaio di prelevare il pezzo senza problemi. La regola cautelare dello schermo "protettivo" era stata ricavata ex post ed in maniera congetturale dai giudici di merito, senza una effettiva analisi dell'utilità e percorribilità in concreto di una simile soluzione alla luce delle modalità di funzionamento del macchinario e, soprattutto, della fase di lavorazione in cui si era verificato l'infortunio.

 

Alla luce dei vizi logico-giuridici sopra evidenziati quindi la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata rinviandola ai giudici di merito affinché tenessero conto dell'orientamento secondo cui “in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore”. La suprema Corte ha così concluso precisando e ricordando che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 836 del 13 gennaio 2022 (u.p. 12 novembre 2021) - Pres. Ciampi - Est. Ranaldi - Ric. R.S., S.A. e A.M.B.. - Il datore di lavoro, che ha valutato preventivamente i rischi, fornito al lavoratore i relativi dpi e adempiuto agli obblighi propri di sicurezza, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.




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