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Quando la validazione di una buona prassi è in conflitto con la legge

Quando la validazione di una buona prassi è in conflitto con la legge

Autore: Pietro Ferrari

Categoria: Linee guida e buone prassi

28/11/2013

Secondo una sentenza del giudice del lavoro di Roma la validazione di una “buona prassi” rimane priva di effetti se in conflitto col dettato di legge. La sentenza e le conseguenze. A cura di Pietro Ferrari.

 
Brescia, 28 Nov – La problematica in oggetto prende le mosse dalla richiesta di un'azienda metallurgica bresciana di richiedere la collaborazione del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale - Università degli Studi di Brescia, allo scopo di predisporre “un sistema di video monitoraggio nell'incrementare il livello di sicurezza aziendale”.
 
Tale progetto si proponeva di individuare sia le “condizioni a rischio”, sia “i comportamenti a rischio o sicuri”, così da poter “conseguentemente intraprendere mirate azioni correttive e migliorative attraverso un continuo processo di feedback”.
Rispetto all'obiettivo, si riteneva perciò che “di primaria importanza è la predisposizione e l'erogazione di interventi formativi che sfruttino sia le videoriprese per evidenziare rischiose modalità di svolgimento delle attività lavorative (comportamenti a rischio) da analizzare e correggere, che videoriprese delle migliori modalità lavorative (comportamenti sicuri) da selezionare e diffondere come prassi aziendale”. (1)
 
L'implementazione del sistema ha poi fatto sì che  “grazie all'analisi delle videoriprese è stato possibile definire un elenco di priorità di interventi da attuare per il miglioramento del livello di sicurezza in azienda. Per ciascuna delle criticità evidenziate si è anche suggerita la modalità di intervento da intraprendere: tecnico, organizzativo e/o formativo.
Inoltre, per ciascuno dei comportamenti a rischio individuati, si sono resi disponibili numerosi spezzoni di videoriprese utilizzabili per massimizzare l'incisività e l'efficacia degli interventi formativi correttivi. ….
Un altro beneficio connesso con l'utilizzo del sistema, riguarda il monitoraggio della performance di sicurezza. Infatti, i dati raccolti tramite l'analisi delle videoriprese hanno permesso di introdurre in azienda un sistema di misura e monitoraggio che non si basasse solo sulla valutazione di indicatori di tipo reattivo, sostanzialmente connessi con accadimenti infortunistici, ma che contenesse prevalentemente indicatori di tipo proattivo, ovvero indicatori che misurano ciò che precede il verificarsi dell'evento incidentale, cioè gli eventi che sono precursori di un potenziale danno e consentono quindi un approccio alla gestione della sicurezza di tipo preventivo e non solo correttivo (…)”. (1)
 

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Il progetto, a titolo “Utilizzo della videosorveglianza per incrementare il livello di sicurezza sul lavoro”, veniva infine proposto alla Commissione consultiva permanente per la validazione come “buona prassi”, ex art. 6, comma 8, lett. d), del D.Lgs. 81/08:
 
Articolo 6 - Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro
(...)
8. La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di:
(...)
d) validare le buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
(...)
 
In data 29 maggio 2013, il progetto veniva validato come “ buona prassi” dalla Commissione consultiva, con voto contrario della CGIL.
Preoccupazione dell'organizzazione sindacale era quella di salvaguardare il diritto generale dei lavoratori garantito dall'art. 4, commi 1 e 2, della legge 300/70 (cd. Statuto dei lavoratori)
 
Legge 20 maggio 1970, n. 300 - Norme sulla tutela della libertà e dignità del lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nel luoghi di lavoro e norme sul collocamento
 
Art. 4 - Impianti audiovisivi.
 
1. È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
2. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti
 
e la protezione dei dati personali di cui al D.Lgs. 196/03, specie l'art. 114.
 
Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali
 
Art. 114. Controllo a distanza
 
1. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
 
Sulla base di questo assunto, l'organizzazione sindacale poneva ricorso al giudice del lavoro, chiedendo di dichiarare “la illegittimità e illiceità e comunque l'inefficacia dell'atto [validativo] nonché di “inibire la diffusione in quanto validata della supposta “buona prassi”...”.
Le parti costituite in giudizio, Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed INAIL, eccepivano (INAIL) il difetto assoluto di giurisdizione.
Il giudice adito, con sentenza del 13 novembre 2013, accoglieva l'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione - cioè la non applicabilità della tutela giurisdizionale alla materia. E, nel motivarla, illuminando la gerarchia delle fonti giuridiche, introduceva un importante principio.
Non può esserci tutela giurisdizionale - argomenta il giudice - perché l'atto validativo della “buona prassi” “non ha valenza autoritativa e, come tale, non è in grado di incidere sui diritti dei lavoratori.”
Conseguenza sarà che “il comportamento adottato poi da ogni singola impresa potrà sempre essere sindacabile dinanzi al giudice” se considerato in violazione delle norme vigenti.
 
A rafforzamento di tale conclusione, ed accogliendo quanto sostenuto dalla difesa dell'INAIL, il giudice rileva che “la validazione assume la medesima valenza di una circolare amministrativa la quale non è sindacabile dinanzi all'autorità giudiziaria, ...rimanendo priva di effetti se contra legem.”
 
In questa sorta di eterogenesi dei fini, viene dunque affermato quanto veramente stava a cuore all'organizzazione sindacale ricorrente: la validazione di una (qualsiasi) “buona prassi” decade nel caso venga a porsi in conflitto col dettato di legge.
 
Ciò naturalmente non vuole avere incidenza (né lo voleva il ricorso CGIL) sulla specifica “buona prassi” posta in essere dall'azienda bresciana. La quale, peraltro ha provveduto al “preventivo accordo sindacale stipulato tra azienda e le Rappresentanze Sindacali Unitarie”, garantendo che “inoltre il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza è stato costantemente coinvolto, sia a livello decisionale e di controllo, come membro del Comitato di Indirizzo del progetto, sia a livello operativo all'interno del gruppo di lavoro che ha progettato, implementato ed utilizzato il sistema di videomonitoraggio e di misura delle prestazioni.”
 
Resta probabilmente aperto - per es. ad avviso del Prof. V. Angiolini, che per la CGIL ha presentato il ricorso - il problema se davvero ci si trovi in presenza di un “difetto assoluto di giurisdizione”.
 
Ma così ha deciso il giudice e dunque il giudizio può venir messo in discussione soltanto da eventuali pronunce contrarie.
Evidenzio soltanto come, seguendo l'argomentazione del giudice, parrebbe venir messa in discussione, invece, la valenza autoritativa delle “ Indicazioni della Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro-correlato”.
 
Tali indicazioni - nella creatività che contraddistingue il normatore nostrano - hanno infatti visto la luce sotto forma di lettera circolare.
Ma, scrive il giudice, “Le circolari amministrative sono atti meramente interni della pubblica amministrazione e, come tali, non possono spiegare effetti nei confronti dei soggetti estranei all'amministrazione e non costituiscono fonte di diritti a favore di terzi...”.
 
Buon lavoro.
 
 
Pietro Ferrari
Dipartimento Salute Sicurezza Ambiente Camera del Lavoro di Brescia
 
 
 
(1) I corsivi sono tratti dal “Modello di presentazione per la validazione ai sensi dell'art. 6, comma 8, lettera d) del D.Lgs, 81/08 e s.m.i.” proposto dal Dipartimento di Ingegneria di Brescia.
 
 
 




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Rispondi Autore: Aldo Belli - likes: 0
28/11/2013 (09:13:52)
Ne abbiamo fatta di strada dal 1970, ma un sindacato è rimasto lì.
E' giustissima la tutela della privacy, ma delle due l'una: o tuteliamo il lavoratore dal "lupo mannaro che lo spia perchè lo vuole sfruttare" o tuteliamo lo stesso lavoratore da infortuni e malattie professionali nella modalità descritte nelle buone prassi.
Mi va benissimo la strada della tutela della privacy, purchè poi il sindacato in questione non si lamenti di mancati interventi a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori non approntati per inerzia dei datori di lavoro.
C'è qualche sindacalista CGIL che legge?
Rispondi Autore: pietro ferrari - likes: 0
28/11/2013 (09:30:40)
..io, per esempio.
Le suggerisco, cortesemente, di rileggere l'articolo. Potrebbe non trovare l'accanimento che ci imputa.
cordialmente, ferrari
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
28/11/2013 (09:59:43)
Mi sono sempre chiesto come sia possibile che questa attività della Commissione consultiva ma anche quella del Ministero che emana continuamente circolari avvenga, nella maggior parte dei casi, senza la presenza di autentici esperti di diritto, giuristi, avvocati, magistrati, ma sempre e solo con la presenza di tecnici che per quanto qualificati sono non di rado privi di alcuni elementari strumenti del mestiere giuridico. Questo porta a produtrr emolti atti che oltre a issere illegittimi, sono spesso fraintesi, generano enorme confusione e deleteri effetti pratici. Ogni tanto interviene chi ha in base alla costituzione il potere-dovere di applicare le norme nei casi sottoposti alla sua attenzione, il giudice naturale precostituito per legge, e si fa così un po di pulizia. Ma alla base di tutto c'è sempre l'eterna"furbizia" all'italiana, la ricerca di eludere le norme, di inotrbidire le acque, di ottenere vantaggi tirando le norme a destra e manca. A seconda dell'occorrenza e delal convenienza. Se confrontate le direttive europee e le corrispondenti norme del D.Lgs. 81/2008, il testo unico, noterete che la versione italiana è sempr epiù complessa e spesso poco comprensibile, Questa malattia della complicazione, derivante dal lobbismo che infila, a seconda della lobby interessata, le deroghe o eccezzioni più varie, e stravaganti, rende il nostro diritto degno della settimana enigmistica. E quindi eterna incertezza del diritto, incertezza normativa, e grande caos sotto il cielo. Grazie a Ferrari per aver segnalato un tema di grandissima importanza, le circolari del minisero del lavoro valgono solo per i funzionari di questo ministero, da un punto di vista legale non vincolano nessun altro, ne i cittadini ne tanto meno i giudici che difatti le ignorano e/o disapplicano sistematicamente. Ovviamente se contengono considerazioni di buon senso vanno sicuramente tenute in considerazione, ma appunto in quanto sensate.
Rispondi Autore: Andrea Merler - likes: 0
28/11/2013 (17:31:51)
La videosorveglianza nei luoghi di lavoro crea sempre tensioni sindacali anche se dettata da esigenze in materia di sicurezza sul lavoro. Dal punto di vista giuridico non si può che aderire a quanto affermato dall'avv. Dubini. Il problema é la certezza del diritto e il riscontro concreto delle norme nella pratica a causa delle scarsa chiarezza o delle contraddizioni della stessa legge con i regolamenti attuativi. Se a queste fonti ci aggiungiamo anche le circolari intepretative il quadro é spesso confuso ed ecco che la magistratura supplisce alle carenze del legislatore caso per caso.
Rispondi Autore: linoemilio - likes: 0
30/11/2013 (12:05:20)
Ci mancherebbe altro che nelle Commissioni tecniche (anche quelle del Ministero), deputate ad esaminare ed esprimere pareri consultivi su specifiche e specialistiche proposte tecniche, debbano esser presenti "autentici esperti di diritto, giuristi, avvocati, magistrati..."

I componenti di una Commissione tecnica non hanno alcun bisogno di possedere "alcuni elementari strumenti del mestiere giuridico".
Non è questo il loro compito.

Loro compito è quello di esaminare (o proporre) ed esprimere pareri (correttamente) consultivi su soluzioni "tecniche" ritenute migliorative rispetto a quelle fino al momento utilizzate.
Indipendentemente dal fatto che l'espressione tecnica sia o non sia conforme alla normativa in vigore.

Poi... allora sì... dovrebbe intervenire una commissione di "autentici esperti di diritto..." con il compito di esprimere un parere sull'eventuale conflitto, o meno, tra la "norma di buona prassi" proposta e la giungla di normative in vigore.

Parere che, poi, dovrebbe essere trasmesso al Ministero di competenza affinchè prendesse atto della necessità di una possibile modifica normativa o, al contrario, di una sua bocciatura perchè non ritenuta utile e/o migliorativa.

Nel primo caso il Ministero dovrebbe (utilizzo il condizionale alla pari degli avvocati che in queste situazioni mi hanno insegnato molto) avviare, immediatamente, la procedura di modifica della Legge... nel secondo, basterebbe una circolare per far conoscere il parere negativo circa l'applicazione della "buona prassi".

Con la variazione della Legge chiunque saprebbe che le procedure originate dalla "buona prassi" potrebbero essere applicate... diversamente, con una semplice circolare, saprebbe in anticipo (e non dopo una sentenza) da che parte "si alza il sole" e che applicandola comunque, sarebbe conscio di assumersi tutte le conseguenze della decisione.

Troppo difficile farlo nell'italico stivale?
Parrebbe proprio di sì nonostante, magari, la "buona prassi" sia stata partorita utilizzando il buon senso del "padre di famiglia".

E allora non ci resta che attendere le "cavie" che si fanno e faranno processare (a seguito di ricorsi a volte discutibili e altre volte pretestuosi e ideologici) per ottenere una sentenza del Giudice il quale non può e non potrà far altro che interpretare la Legge in vigore.
Rispondi Autore: Aldo Belli - likes: 0
30/11/2013 (17:11:48)
Mi scuso pubblicamente con il Sig. Ferrari, al quale, peraltro, faccio i miei sinceri complimenti per gli interessanti interventi di cui è autore. A proposito dell'articolo, confesso che ne abbiamo parlato con i miei colleghi di lavoro, i quali si sono espressi in senso contrario al videomonitoraggio per l'attuazione della buona prassi. Nonostante ciò, rimango del parere che personalmente non avrei alcun problema nel caso in cui il mio datore di lavoro volesse effettuare delle videoriprese di come espleto le mansioni assegnatemi; sono in pace con la mia coscienza ed, anzi, sarebbe ancora più palese la dedizione e lo scrupolo con cui cerco di svolgere i compiti assegnatimi (mai peraltro messi in dubbio dalla proprietà). In conclusione, bene tutto ciò che viene per migliorare le condizioni di lavoro. Fermo restando che se, dietro il paravento dei miglioramenti, si mettono in atto degli abusi, è giusto e doveroso il ricorso alla magistratura.
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
30/11/2013 (20:04:21)
In merito a quanto scritto condivido i contenuti dell'articolo di Ferrari.

In merito alle osservazioni sulla Commissione Consultiva Permanente (CCP), tra i 40 componenti effettivi della stessa, ci sono una quindicina di esperti di diritto, ecc...
Gli altri sono medici e tecnici degli enti di vigilanza, sindacalisti delle Parti Sociali (tra questi diversi laureati in giurisprudenza).

In compenso, nessuno di questi, può vantare, in concreto, un'esperienza operativa in un'azienda magari nel ruolo di RSPP o di libero professionista nel ruolo di CSP/CSE.
Quando manca quella che si chiama "consapevolezza situazionale", quello che si partorisce è sempre di difficile concreta applicazione.

Perchè non ci sono rappresentanti degli ordini e collegi professionali? (non conto uno in elenco che ha il piede in due scarpe).

Perchè non ci sono rappresentanti del mondo universitario e della ricerca?

A mio parere, quindi, il problema è che il mix della CCP non è ben dosato e l'errore è proprio il criterio con cui è stata composta.
Rispondi Autore: linoemilio - likes: 0
30/11/2013 (21:24:19)
Per l'appunto.
In quella specifica Commissione del Ministero c'è una tale presenza di figure (sempre le stesse) deputate ad esprimere pareri su proposte talmente diverse fra loro (perchè provenienti da settori lavorativi diversi) che difficilmente possono avere la competenza specialistica necessaria a trattarle

Servirebbero pochi tecnici... ogni volta diversi e appartenenti ai settori a cui, appunto, appartiene la proposta di buona prassi.

Poi, pochi esperti del mestiere giuridico e sociale con il compito di verificare l'eventuale contrasto con le normative e i patti sociali in vigore.

Al Ministero resterebbe solo da percorrere la via della modifica alla normativa o quella di respingere la proposta.

Così facendo, dei 40 a cui faceva accenno Carmelo ne dovrebbero avanzare più della metà e, forse, potrebbe essere questo il problema

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