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Il mobbing: tipologie, conseguenze, problemi legali e prevenzione

Disponibile on line un Working Paper dedicato al mobbing con diverse indicazioni pratiche. Le tipologie, le considerazioni legali, le violazioni in ambito civile e penale, le attività datoriali di prevenzione e contrasto.

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L'Associazione per gli Studi internazionali e comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali - Fondazione Universitaria Marco Biagi (ADAPT) ha pubblicato recentemente un Working Paper dedicato al fenomeno del mobbing e scritto da Gianni Bovio, funzionario della Direzione provinciale del lavoro di Verbania.
 
 
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Questo documento, dal titolo “Note pratiche in tema di mobbing”, inizia con una premessa relativa alla mancanza in Italia di una normativa specifica su questo tema.
In questa situazione ci si trova a scontare un “deficit normativo” che “sicuramente non aiuta, soprattutto se rapportato ad un contenzioso che in questa materia conosce, di anno in anno, una progressione numerica senza soste”.
 
Successivamente l’autore affronta la definizione di mobbing, già incontrata in diversi articoli pubblicati in passato da PuntoSicuro, riportando anche una differenziazione del mobbing in:
- “mobbing orizzontale”: aggressioni o vessazioni provenienti da lavoratori sostanzialmente di pari grado rispetto alla vittima;
- “mobbing verticale”: aggressioni riferibili all’attività del datore di lavoro o ad altro superiore gerarchico;
- “mobbing ascendente”: quando i comportamenti lesivi vengono “posti in essere da lavoratori gerarchicamente sottoposti contro un superiore, in genere non il datore di lavoro, ma altro soggetto da questi preposto ad una funzione di coordinamento e responsabilità”.
 
Dopo aver affrontato le conseguenze del mobbing, che in termini strettamente medici porta in una consistente parte di casi alla diagnosi specifica di “disturbo post-traumatico da stress”, viene ricordato che per parlare di mobbing è necessario che il lavoratore dimostri il “nesso eziologico”, la connessione tra i “disturbi che gli sono stati diagnosticati ed i comportamenti illeciti asseritamente subiti”.
 
L’autore ricorda inoltre che il lavoratore, prima di ritenersi legittimato a richiedere tutela in sede giudiziaria, dovrà opportunamente considerare come gli “ambienti lavorativi, così come gli altri contesti in cui si esplica il vivere sociale, siano spesso connotati da continue tensioni e conflitti, quasi sempre inevitabili in quanto costituenti fisiologica conseguenza di umani e non sempre convergenti atteggiamenti”.
Queste considerazioni sono state infatti evidenziate tra gli altri, dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Bari, i cui giudici (sentenze rispettivamente del 20 maggio 2000 e del 12 marzo 2004) rigettando le pretese risarcitorie del lavoratore, hanno avvertito che:
- “l’illecito non coincide con quanto percepito come sgradevole sul piano morale”;
- “la illegittimità di una condotta non può farsi derivare dal semplice verificarsi del danno, ove accertato. Del resto, l’alterazione dell’integrità psicofisica può derivare da fattori differenti: dalla vita familiare, da uno stato di difficoltà emotiva che connota il lavoratore, ed anche da comportamenti legittimi del datore di lavoro, inevitabili, ma subiti in maniera irragionevole dal prestatore di lavoro».
Queste indicazioni dell’autore sono fatte a titolo prudenziale e ricordano infatti che “accuse non provate di mobbing possono indurre il datore di lavoro a farne conseguire, sulla scorta del venuto meno rapporto di fiducia, il licenziamento per giusta causa del lavoratore”.
 
Successivamente vengono sottolineate - in assenza, come sappiamo, di una legge specifica – a quali violazioni di norme si riconducono le cause in ambito civile e in ambito penale.
Ad esempio “sotto l’aspetto civilistico, fatti di mobbing vengono, di norma, ricondotti alla violazione dell’articolo 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le cautele necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
 
Infine il documento ricorda che al datore di lavoro si impongono, nella sua qualità di responsabile della tutela delle condizioni di lavoro, “scelte organizzative idonee a valutare e contrastare anche i fattori di rischio ritenuti meno tradizionali, quali quelli normalmente connessi all’attività di concreta gestione delle risorse umane ed al suo costante monitoraggio, sapendo che è da qui che, potenzialmente, possono trarre origine fattispecie di mobbing”.
In particolare è importante il contributo del medico competente che “dovrà collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione nel rilevare i peculiari aspetti di rischio, affinché trovino opportuna evidenziazione all’interno del documento di valutazione e siano successivamente oggetto di costante monitoraggio”.
In questa ulteriore fase il medico competente dovrà adoperarsi per fornire un ascolto qualificato, “sia sotto l’aspetto professionale che dal punto di vista umano, onde derivarne diagnosi corrette e segnalazioni al datore di lavoro corredate dalla proposta di opportuni interventi correttivi”.
Se necessario e se il suo intervento non migliora la situazione potrà, a seconda dei casi:
- “indirizzare il lavoratore verso carattere specialistico”;
- “operare una segnalazione all’istituto assicuratore, all’organo di vigilanza e all’autorità giudiziaria”.
 
È evidente che nelle aziende non tenute ad avere la figura specialistica del medico competente sia più difficile arginare eventuali fenomeni di mobbing.
Tuttavia nelle piccole aziende potrà essere sufficiente il controllo “che un datore di lavoro sufficientemente accorto potrà effettuare direttamente, indirizzandone gli effetti non ai soli fini di salvaguardia dei ritmi produttivi, ma anche a quelli afferenti l’integrità psicofisica dei propri collaboratori”.
 
 
ADAPT, “Note pratiche in tema di mobbing”, di Gianni Bovio (funzionario della Direzione provinciale del lavoro di Verbania), Working Paper n. 75/2009 (formato PDF, 47 kB).
 
 
Tiziano Menduto

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