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Lo sapevi che - Il significato della massima sicurezza fattibile

Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Approfondimento

06/03/2009

PuntoSicuro lancia una nuova rubrica dedicata ad approfondire i fondamenti della sicurezza sul lavoro. Cominciamo con "Cosa significa l'obbligo della massima sicurezza tecnologicamente fattibile a tutela dei lavoratori?" Prima parte. A cura di R. Dubini.

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Una nuova rubrica si aggiunge agli appuntamenti periodici di PuntoSicuro: “Lo sapevi che…”. Il nuovo appuntamento è dedicato ad approfondire i fondamenti della sicurezza sul lavoro, alle norme e ai princìpi alla base della tutela dei lavoratori. 
 
Questi alcuni degli argomenti che saranno affrontati: il principio di effettività; i profili di responsabilità del lavoratore; l'identificazione di preposti, dirigenti, datori di lavoro; l’irrilevanza giuridica dell'opposizione del lavoratore, organismi paritetici e formazione di lavoratori e RLS; l'obbligo della sorveglianza sanitaria per alcol e stupefacenti; la sospensione dell'attività imprenditoriale per gravi irregolarità.
 
Cominciamo questa nuova rubrica con un articolo dedicato al principio della "massima sicurezza tecnologicamente fattibile”, a cura di Rolando Dubini.
L’articolo è suddiviso in due parti, entrambe pubblicate in questo numero di PuntoSicuro.
 
La redazione di PuntoSicuro è a disposizione dei lettori per valutare suggerimenti e consigli sugli argomenti da trattare nella rubrica. Buona lettura.
  
La massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Parte prima. 
Commento a cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano 
 
L’art. 2087 del codice civile prevede un obbligo generale prevenzionistico di particolare pregnanza: «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
 
Il datore di lavoro deve perciò adoperarsi, nello svolgimento di quella che è la sua specifica attività professionale, con una diligenza particolare, in base alla quale deve adottare tutte le misure dettate:
1) dalla particolarità del lavoro, in base alla quale devono essere individuati i rischi, nocività specifiche e misure necessarie;
2) dall'esperienza, in base alla quale devono essere previste le conseguenze dannose, sulla scorta di eventi e di pericoli già verificatisi (comportamenti e situazioni pericolosi) e dunque valutabili al fine di definire adeguate ed idonee misure di prevenzione e protezione;
3) dalla tecnica, in base alle nuove conoscenze in materia di sicurezza, salute e antincendio messe a disposizione dal progresso tecnico-scientifico.
 
 
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Questo è il fondamentale principio della «massima sicurezza tecnologicamente possibile» (Guariniello), ovvero della massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale concretamente possibile.
 
In particolare l'art. 2087 del codice civile (disponibile nella Banca dati di PuntoSicuro, ndr) è una “disposizione che ribadisce, con riferimento al settore del lavoro, la necessità che il garante ottemperi non soltanto alle regole cautelari "scritte", ma anche alle norme prevenzionali che una figura -modello di buon imprenditore è in grado di ricavare dall'esperienza, secondo i canoni di diligenza, prudenza e perizia” (Cassazione penale, sez. V, sentenza 14.10.2008 n. 38819).
 
Dunque la violazione di quest’obbligo costituisce a carico del datore di lavoro una precisa responsabilità contrattuale, ovvero un inadempimento del contratto di lavoro, e come tale risarcibile, oltre a consentire al lavoratore di rifiutare la prestazione: il difetto di conoscenze sicure ed attendibili sui rischi cui sono esposti i lavoratori rende incensurabile il rifiuto della prestazione da parte dei lavoratori, la cui posizione debitoria è tutelabile con l'eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), ossia rifiutando la prestazione senza perdere il diritto al corrispettivo [Trib. Torino 24 febbraio 2000, e art. 44 D.Lgs. n. 81/2008, già art. 14 D.Lgs. n. 626/94].
 
L'articolo 2087 c.c. prevede  inderogabili obblighi contrattuali di sicurezza a carico del datore di lavoro e, in senso traslato, della sua stessa organizzazione gerarchica. Si tratta di obblighi che precostituiscono una responsabilità contrattuale vera e propria, come emerge, tra le tante, dalla  massima della sentenza del 5 febbraio 2000 con la quale la Suprema Corte, nel superare la concezione extracontrattuale, ha definitivamente riconosciuto la responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo ex art. 2087 c.c.: “la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. - in base al quale il potere imprenditoriale, volto alla massimizzazione della produzione, incontra un’imprescindibile limite nella necessità di non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e nel far sì che nell’attività richiesta ai dipendenti venga predisposta una serie di misure, oltre quelle legali, che appaiono utili ad impedire l’insorgere o l’ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche idonee a causare effetti dannosi alla salute del lavoratore - ha natura contrattuale”.
 
Questo principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile ex art. 2087 del codice civile  è espressamente ribadito con particolare efficacia e pertinenza nella nuova definizione di “prevenzione” di cui all’art. 2 c. 1 lett. n) del decreto n. 81/2008, la quale rappresenta  “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”. 
Viene quindi rafforzato l'obbligo contrattuale del datore di lavoro di procedere alla più ampia e completa individuazione di tutte le misure necessarie, anche al di là di quanto strettamente previsto dalle norme di legge vigenti, al fine di tutelare l'integrità dei lavoratori presenti nell'organizzazione lavorativa del datore di lavoro ma anche i terzi estranei (Cass. Pen., Sez. III. 1 luglio 1993 n. 6686). Questa tutela dei terzi estranei esprime un fondamentale principio di protezione oggettiva, ovvero di sicurezza in sè del luogo di lavoro, che quando rispondente ai requisiti normativi e di cui all'art. 2087 del c.c. sarà sicuro tanto per i lavoratori quanto per chiunque a qualunque titolo si ritroverà a frequentare il luogo di lavoro: «anche i terzi quando si trovino esposti a pericoli derivanti da un'attività lavorativa da altri svolta nell'ambiente di lavoro, devono ritenersi destinatari alle misure di prevenzione. Sussiste, pertanto, il così detto rischio aziendale, connesso all'ambiente, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro. La disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ. se prevede un'obbligazione a carico del datore di lavoro, valevole nei rapporti fra le parti ed integrativa di quella strettamente contrattuale tende nei contempo a realizzare la tutela di un interesse di carattere generale, quale quello della sicurezza e dell'igiene del lavoro.
 
La Cassazione è costantemente orientata nel ritenere che la sicurezza non può essere subordinata a criteri di fattibilità economica o produttiva; la tutela dell'integrità fisica del lavoratore (art. 32 Cost. e art. 2087 c.c.) non tollera alcun condizionamento economico: d'altro canto la stessa direttiva quadro del Consiglio delle Comunità Europee (89/391/CEE) del 12 giugno 1989 recante “Attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro” considera “che il miglioramento della sicurezza, dell'igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico;”. 
 
Con sentenza n. 4012 del 20 aprile 1998 - nel rigettare il ricorso proposto da una Banca – la Suprema Corte ha richiamato a sostegno delle proprie argomentazioni la sua precedente decisione n. 5048 del 1988 e la sentenza della Corte costituzionale n. 399 del 1996, affermando che: “coerentemente, in adempimento del principio della massima sicurezza “tecnologicamente possibile” vigente nel nostro ordinamento ai sensi del più volte citato art. 2087 c.c. (peraltro, di recente riaffermato dal D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626), secondo cui la sicurezza non può essere subordinata a criteri di fattibilità economica o  produttiva (Cass. sez. pen. 9 gennaio 1984, in causa Gorla), lo stesso datore di lavoro è tenuto a trovare le misure sufficienti a conseguire il fine della protezione della salute e dell’integrità fisica dei propri dipendenti in modo conforme al principio direttivo costituzionale dell’art. 32”. 
Inoltre, il datore di lavoro “qualora utilizzi una macchina non dotata dal costruttore del prescritto dispositivo di sicurezza, il datore di lavoro non può invocare a sua discolpa l'impossibilità pratica di realizzare tale dispositivo, né l'onerosità delle modifiche necessarie per la sua applicazione” (Cass. Sez. IV Pen., sent. del 2 gennaio 1990, n. 4, Tontini).
 
Nel caso in cui particolari cautele antinfortunistiche siano prescritte da una circolare ministeriale, l'omessa attuazione di tali misure “integra gli estremi dell'imprudenza per la inosservanza di indicazioni legittimamente suggerite, riferite a norme di esperienza e di conoscenza tecnica, che assume rilevanza di colpa penale” (Cass. Sez. IV Pen,, 24 gennaio 1990, n. 906, Libero, in motivazione).
 
In effetti l'art. 2087 del codice civile, nell'individuare l'obbligo della massima sicurezza tecnologicamente fattibile, non attribuisce ad alcuna fonte l'esclusività: ben può una circolare, avente contenuto tecnico, individuare la frontiera più avanzata ai fini della sicurezza del lavoro, sia essa relativa all'antincendio, come pure ad altre materie prevenzionistiche.
È infatti sì vero che la circolare ministeriale, qualora consista esclusivamente di interpretazioni giuridiche, vincola solo coloro che appartengono all'amministrazione che l'ha emanata, e in caso di contrasto con la norma di legge verrà disapplicata dall'organo giudicante, ma è anche vero che, qualora non sia in contrasto con la legge, ma anzi di questa ne rappresenti la necessaria specificazione applicativa, per di più da un punto di vista tecnico, della tecnica più avanzata, risulterà evidente l'obbligo conseguente di adozione a carico del datore di lavoro e della sua organizzazione aziendale per quanto di competenza.
 
Quanto alla natura giuridica di norma aperta dell'art. 2087 c.c., la Cassazione afferma: “in questi termini, va quindi condiviso il canone interpretativo suggerito dalla sentenza n. 5048/1988, laddove si è affermato che “l’art. 2087, per le sue caratteristiche di norma aperta, vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione, sussidiaria rispetto a quest’ultima, di adeguamento di essa al caso concreto”, senza che ciò costituisca “strappi ai principi”, poiché il dovere di protezione (dei lavoratori) che grava sull’imprenditore - collegato, del resto, al rischio d’impresa - comporta che debba essere lo stesso imprenditore a valutare se l’attività della sua azienda presenti rischi extra-lavorativi “di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il suo obbligo di prevenzione”, giusta il principio per cui ciascun datore, in riferimento alla particolarità del lavoro, da una parte, ed all’esperienza e alla tecnica, dall’altra, deve nella rappresentazione dell’evento (prevedibilità) prospettare a se stesso l’adozione delle misure (e, dunque, di tutte le misure) più consone e più aggiornate, al fine di scongiurare la sua realizzazione (prevedibilità)” (Cass.,  sent. n. 4012 del 20 aprile 1998).
 
La seconda parte dell'articolo è pubblicata in PuntoSicuro numero 2119 del 6 marzo 2009).



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