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La Cassazione: una sentenza pro RSPP

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: RSPP, ASPP

19/01/2009

Nella altalenante posizione assunta dalla Corte di Cassazione si registra una sentenza pro RSPP. La sua funzione è di consulente del datore di lavoro. L’obbligo di vigilanza e controllo rimane a carico del datore di lavoro. A cura di G. Porreca.

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Nella altalenante posizione che la Corte di Cassazione ha assunto con il passar del tempo nei confronti del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) si registra un’altra sentenza a favore di questa figura professionale. La sua funzione è, in generale, quella di consulente del datore di lavoro dotato di competenze tecniche, nonché quella di svolgere compiti diversi, quali la individuazione dei fattori di rischio, l’elaborazione delle misure preventive e protettive e la determinazione delle procedure di sicurezza aziendale e non ha certamente il compito di controllo e di vigilanza dei lavoratori. Infatti l’obbligo di controllare l’osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni di legge e delle procedure aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro è di competenza del datore di lavoro, anche se delegate, e non viene meno con la istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione e tanto meno con la nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). Il datore di lavoro, si desume dalla massima di questa sentenza, può anche delegare l’adempimento di tale obbligo al RSPP ma se lo fa si verrebbe di fatto ad alterare le funzioni tipiche che la legge attribuisce a tale figura professionale.
 
Con questa sentenza viene, inoltre, messa in evidenza ancora una volta la posizione di garanzia che il datore di lavoro assume in materia di sicurezza sul lavoro nei confronti dei propri lavoratori dipendenti, ai sensi della normativa di cui al D. Lgs. n. 626/1994 ed al D. Lgs. n. 81/2008 nonché in riferimento anche alla norma cosiddetta di “chiusura del sistema”  di cui all’articolo 2087 c.c. con la conseguenza che, ove non ottemperi agli obblighi di tutela in materia di sicurezza sul lavoro, gli viene giustamente attribuita la responsabilità di un eventuale evento lesivo, in forza del meccanismo previsto dall’art. 40 comma 2 c.p. in base al quale “Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.   
 
Il caso di cui alla presente sentenza riguarda il legale rappresentante di una società che è stato tratto in giudizio dinanzi al Tribunale per rispondere della contravvenzione di cui all’art. 391 del D. P. R. 27/4/1955 n. 547 e del delitto di cui all'articolo 590 c.p., comma 2, per non avere esercitato la dovuta vigilanza sui lavoratori dipendenti e per aver così provocato ad uno di essi lesioni personali gravissime con postumi invalidanti. Era avvenuto,  infatti, che il lavoratore infortunato stava lavorando come capo squadra presso un impianto automatizzato di cataforesi nello stabilimento della società di cui l’imputato era il legale rappresentante, esercente attività di verniciatura di pezzi di auto, allorquando si è verificato un blocco dell'impianto determinato dall'accavallamento e dal ribaltamento di una delle "bilancelle" utilizzate per il trasporto dei pezzi all'interno dell’impianto medesimo. Il lavoratore, per poter riattivare l'impianto, era salito sul carro ponte lungo le strutture esterne e si stava accingendo ad intervenire dal di sopra per sbloccare l’impianto allorquando, avendo perso l'equilibrio, è caduto dalla altezza di 5 metri rimanendo impigliato con una scarpa in uno dei ganci dove venivano appesi i pezzi da portare alla verniciatura e rimanendo così a testa in giù sino all'intervento di soccorso dei colleghi.
 
Il Tribunale, ritenendo l'imputato responsabile dell’accaduto, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione ed euro 700,00 di multa nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio.
 
L’imputato ha fatto ricorso alla Corte di Appello la quale ha confermata la sentenza di primo grado in punto di responsabilità ed ha rideterminata la pena inflitta in giorni 15 di reclusione, concedendo il beneficio della non menzione. Il Giudice di Appello ha, infatti,  ribadita la responsabilità del legale rappresentante per non avere vigilato, nella qualità di datore di lavoro, in ordine all'attuazione delle misure di sicurezza ed al rispetto delle stesse da parte dei lavoratori. Ha sottolineato anzi la Corte di Appello che nel caso in esame era diventata prassi aziendale quella di consentire l'intervento dei dipendenti, per risistemare le "bilancelle" accavallatesi, e tra l’altro con le stesse modalità seguite dal lavoratore infortunato.
 
L’intervento, secondo la Corte di Appello avrebbe dovuto invece essere eseguito, in base alla normativa di sicurezza, utilizzando un'impalcatura con parapetti innalzata da terra ovvero operando dall'alto del carroponte facendo però uso di cinture adeguatamente ancorate. Ad avviso inoltre della Corte di merito “la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno ai sensi del Decreto Legislativo n. 626 del 1994 articoli 4, 8 e 9 (come avvenuto nella vicenda in esame) non esimeva il datore di lavoro dal rispetto degli obblighi di vigilanza posti a suo carico”.
 
L'imputato ha avanzato ricorso anche alla Corte di Cassazione chiedendo alla stessa l’annullamento della sentenza impugnata e facendo presente che nella circostanza era stato redatto il documento aziendale programmatico per la sicurezza e la prevenzione degli infortuni ed era stato altresì designato il responsabile del servizio prevenzione.
 
La Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale –, pur annullando la sentenza impugnata limitatamente al reato contravvenzionale che ha dichiarato estinto per prescrizione, e pur avendo rideterminando la pena detentiva sostituendola con la sanzione della multa di euro 570,00 (cinquecentosettanta), ha però rigettato il ricorso in ordine al delitto colposo.
 
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, la Corte di Appello ha correttamente individuata la responsabilità del legale rappresentate della società. “Invero, - prosegue la Sez. IV – a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 (articolo 391, articolo 392, comma 6) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (Decreto Legislativo n. 626 del 1994 articolo 4) ed anche in riferimento alla norma cd. ‘di chiusura del sistema’ ex articolo 2087 c.c., sussiste un obbligo di controllo dell'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'articolo 40 c.p. comma 2”.
 
Secondo la Suprema Corte, inoltre, gli obblighi di vigilanza e di controllo da parte del datore di lavoro “non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione al quale sono demandati compiti diversi (v. Decreto Legislativo n. 626 del 1994 articoli 8 e 9) intesi ad individuare i fattori a rischio, ad elaborare le misure preventive e protettive, le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali”. “Per contro, - conclude la Corte - la vigilanza sull'applicazione delle misure disposte e sull'osservanza di queste da parte dei lavoratori rimane a carico del datore di lavoro, se non ritualmente delegate ad altri soggetti”, cosa che peraltro non è risultato essere avvenuto nel caso in esame.


 
 



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